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Tā moko māori, quando l’essenziale diventa visibile agli occhi grazie al coraggio di una ragazza

di Lorenza Cianci

La scelta di una ragazza di tatuarsi e tenere visibile un tā moko, un tatuaggio sacro, pur frequentando una prestigiosa scuola cattolica, potrebbe essere un primo passo verso una scuola e una società libera dagli stereotipi legati allidentità spirituale e culturale del popolo māori in Nuova Zelanda.

Tohunga tā moko significa “esperto di tā moko” e tā moko, in lingua māori, significa, per una parte del popolo delle isole dei mari del Sud, segno sacro sulla propria pelle, che dice al mondo: sono diventata adulta. Un tā moko è connessione con il proprio passato. Per una donna di spirito māori serve a dire: ecco, qui è da dove vengo. Un moko è sacro, perché è associato al mana dell’universo cosmico, e il mana è una forza intenzionale che permea ed è nelle cose dell’universo, conferendogli autorità, prestigio, energia vitale. Tā moko è un segno sacro sulla pelle, di dignità e legittimità umana in questo universo. Un moko è una bussola in un mondo di “tempesta e tuoni”, per una donna di carne e spirito maori.

Renata Karena è un tohunga tā moko da decine di anni. Nessuno dei tohunga tā moko come lui inchiostrano sulla pelle, con ago e macchina, un tatuaggio uguale a un altro. Perché chiunque abbia un’identità culturale, spirituale, familiare māori sa che il proprio percorso nel mondo non è uguale a quello di un’altra o un altro su questa terra. Non è uno stereotipo in serie. Sulla pelle, Renata Karena ha tatuato, lo scorso 8 luglio, un tā moko a una giovane donna di 16 anni di nome Dixie-Leigh Burr. Prima di lei, aveva provveduto al tā moko di tutta la sua famiglia.

Ma la vera notizia non è questa.

La vera notizia è che, pochi giorni fa, la giovane Dixie-Leigh Burr ha compiuto, con quell’inchiostro visibile su pelle, una rivoluzione silenziosa. Perché ha voluto farsi tatuare il suo tā moko nonostante frequenti, sin dalle elementari, una scuola cattolica e conservatrice. O meglio, una delle più importanti scuole cattoliche di tutta la Nuova Zelanda e di tutta l’Australia: il St Peter’s College, a Gore, nell’Isola del Sud. Il suo gesto ha portato la scuola cattolica a interrogarsi e a cambiare le regole delle uniformi studentesche. Dallo scorso 8 agosto, infatti, si può indossare e tenere visibile il tā moko, il segno sacro che dice al mondo: sono diventata adulta in una famiglia di identità spirituale māori e questo segno è la mia identità. Non era mai successo, prima di allora, in una scuola cattolica neozelandese, che venissero esplicitamente inserite regole inerenti al tā moko spirituale.

A darne notizia, uno dei più importanti siti di informazione neozelandese, Stuff.co.

La scelta rivoluzionaria dei ragazzi del St Peters College

Il St Peter’s College, fondato ufficialmente nel 1969, è stata la prima scuola, in Nuova Zelanda e in Australia, a co-educare, insieme, ragazze e ragazzi. Fortemente improntata ai valori tradizionali cattolici, è, dalla sua istituzione, gestita sotto la supervisione dell’ordine dei Rosminiani dell’Istituto di Carità e dalle suore della Misericordia. Ecco quello che si legge dal sito ufficiale della scuola, a sottolinearne i valori: «ll St Peter’s College rappresenta un impegno della comunità cattolica locale per preservare i valori cristiani nei propri figli».

Prima di Dixie-Leigh Burr, i tatuaggi erano necessariamente da evitare benché, nel regolamento scolastico, non fosse scritta nemmeno una parola sull’argomento. Comunque, da tacita norma, i tatuaggi dovevano rimanere ben nascosti sotto una precisa uniforme, normata da un’etichetta scolastica: per le ragazze, come si vede dai gruppi di giovani donne che affollano le foto ricordo del sito della scuola, rappresenta una gonna a fondo grigio e scacchi al ginocchio, calze collant nere, maglia bianca.

Ancora secondo il sito d’informazione neozelandese Stuff, prima di Dixie-Leigh, vi era stato un altro ragazzo ad aver posto in discussione le regole del Collegio in merito alla possibilità di farsi tatuare un tā moko visibile. Dopo la seconda richiesta, quella, appunto, di Dixie-Leigh, la preside, Tara Quinney, si è rivolta, per consultazione, al Hokonui Rūnanga, uno dei diciotto consigli locali che si occupano della guida e del benessere spirituale delle unità maori (gli iwi) locali dell’Isola del Sud della Nuova Zelanda.  L’Hokonui Runanga ha proposto che fossero gli studenti del St Peter’s College a decidere sul da farsi, con un sondaggio. Sul responso, sempre lo Stuff, riporta le parole della preside, in vece di portavoce del risultato: «La stragrande maggioranza voleva che gli studenti rappresentassero la loro cultura, era così che volevano farlo». L’Honokonui Runanga ha poi stabilito le regole da seguire: un tā moko non può essere una scelta superficiale. Bisogna, per questo, aver fatto un percorso, e aver avuto l’approvazione di entrambi i genitori e del proprio koro, un anziano. Perché il moko, dalle parole di Matu Coleman-Clarke, consulente culturale di Hokonui Rūnanga, è «sapere da dove vieni».

Il precedente in una scuola maschile di Auckland, Isola del Nord

Un precedente simile si è verificato anche in un’altra scuola, il 16 luglio scorso, la Westlake Boys High School di Auckland, una scuola esclusivamente maschile nell’Isola del Nord della Nuova Zelanda. Due studenti, infatti, sono stati costretti, sotto ingiunzione delle autorità scolastiche, a nascondere il loro tā moko. Offesi dal pregiudizio legato alla loro identità, hanno fatto pressione per convocare un consiglio scolastico e la scuola ha dovuto rivedere le sue regole di etichetta. Infatti, insieme alle regole che impongono una divisa impeccabile come «le camicie devono essere rimboccate; i calzini devono essere tirati su; cinghie del tallone in posizione», adesso vi è finalmente una parte intitolata “Guida scolastica intorno Taonga Māori visibile. Lo stesso processo di riconoscimento era avvenuto anche con il tradizionale ciondolo al collo Māori. 

Il tā moko maori non doveva continuare ad essere l’essenziale invisibile agli occhi. L’invisibile di una lunga colonizzazione (occidentale) della multidimensionalità culturale, che ha marginalizzato e reso invisibile, per molto tempo, anche l’identità forte e straordinaria del popolo māori.

Un passo può essere solo un passo. Ma messi in fila i passi tracciano una lunga strada. E se i passi li compiono i ragazzi e le ragazze aperti al confronto, quella strada ha davvero la buona probabilità che diventi un patrimonio nuovo del mondo. La scelta di Dixie-Leigh Burr, dei ragazzi del St Peter’s College e della Westlake Boys High School di Auckland vanno certamente in questa direzione.