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Transizione ecologica, o è solidale o non è

Sarà necessaria una cassa di compensazione attraverso una fiscalità equa, per accompagnare la transizione industriale

di Salvatore Luigi Baldari

Sarà quindi lo scienziato Roberto Cingolani a guidare il nuovo Ministero della Transizione Ecologica. Annunciato mercoledì 10 Febbraio, dopo la consultazione alla Camera dei Deputati con le associazioni ambientaliste, dalla Presidente del WWF Donatella Bianchi, a seguito delle richieste dell’On. Muroni e del Fridays For Future, è stato sin da subito gravato di uno spiccato valore politico e comunicativo. L’istituzione del Ministero della Transizione Ecologica era divenuta la principale e forse unica condizione del MoVimento 5 Stelle, per accettare l’appoggio al nascente Governo. E, infatti, il Movimento ha subito rivendicato l’istituzione di questo dicastero come un proprio successo, aprendo le consuete votazioni sulla piattaforma Rousseau, attraverso un quesito che suggeriva senza ambiguità la posizione favorevole all’ingresso nella maggioranza, da parte della dirigenza (Grillo, Crimi, Di Maio). L’insistenza improvvisa per il ‹‹Super-Ministero››, che fin a dieci giorni fa non era mai stata discussa né proposta, nonostante i Governi uscenti fossero proprio a trazione M5S, è stata secondo molti osservatori una strategia per trovare qualcosa da presentare ai propri elettori e attivisti come una vittoria politica ottenuta nelle consultazioni, una ragione per entrare nella maggioranza. Il principale promotore di questa operazione, nei fatti, è stato Grillo, tornato a occuparsi direttamente della gestione politica del partito dopo una lunga assenza. Ad un’attenta analisi, si potrebbe attestare che nelle due precedenti esperienze di Governo, il M5S abbia già avuto per sé il Ministero per la Transizione Ecologica, dal momento che tanto nel Conte I, quanto nel Conte II, il Ministero dello Sviluppo Economico e quello dell’Ambiente erano guidati da esponenti pentastellati, con l’en plein totale nell’esecutivo giallo-verde, dove fra le proprie fila, poteva schierare anche il Ministro dei Trasporti. In molti, hanno poi fatto notare che da decenni, già esista un Dipartimento per la Transizione ecologica e gli investimenti verdi, in origine incardinato presso la Presidenza del Consiglio, successivamente integrato nelle strutture del Ministero per l’Ambiente. Come si legge sui portali ufficiali, il Dipartimento «cura le competenze del Ministero in materia di economia circolare, contrasto ai cambiamenti climatici, efficientamento energetico, miglioramento della qualità dell’aria e sviluppo sostenibile, cooperazione internazionale ambientale, valutazione e autorizzazione ambientale e di risanamento ambientale».

Ma la vera portata di questa operazione politica, si comprende meglio, se parametrata al grande obbiettivo del Next Generation Eu, il programma di fondi europei, che destina all’Italia, per la missione della transizione ecologica, 70 miliardi di euro, ovvero un terzo del totale delle risorse, con una valutazione pari al 37% in ogni altro tipo di progetto da implementare.

L’auspico del M5S era quella di una fusione pura tra Ambiente e Sviluppo, che nei fatti non c’è stata, al punto da sollevare, sin dal momento del suo annuncio, le agguerrite critiche dei suoi esponenti più ortodossi, accusando di aver disatteso la condizione richiesta e chiedendo persino di ripetere il voto su Rousseau. L’opzione scelta dal Presidente Draghi, invece, è stata un potenziamento dell’attuale Ministero dell’Ambiente, attribuendogli la materia dell’energia e ponendolo a capo di un istituendo Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica.

La fusione pura avrebbe implicato inevitabilmente un riordino, con forte impatto anche su altre materie. Il Mise, infatti, non si occupa solamente di crisi industriali e di energia, ma anche di telecomunicazioni, commercio internazionale, mercato e consumatori. Molti fra questi ambiti sarebbero dovuto essere trasferiti ad altri dicasteri, compresi uffici e personale. 

Il nuovo Ministero, quindi, non si occuperà più soltanto di rifiuti e piste ciclabili. Non sarà, cioè, un Ministero dell’Ambiente tradizionale, dove l’ambiente ha un carattere legato ad azioni ancora timide dal punto di vista della trasversalità. L’azione del nuovo Ministero allude anche alla necessità di imprimere un’accelerazione alla riconversione dell’industria italiana. La maggior parte dei tavoli di crisi che sono attivi al Mise riguardano aziende della siderurgia, della metallurgia, della raffinazione, della chimica. Tutti settori che devono entrare ancora appieno nel ciclo della riconversione green. La vertenza Ex Ilva, tornata di strettissima attualità sabato 13 Febbraio con la sentenza del Tar di Lecce che impone lo spegnimento dell’area caldo degli impianti, sarà una bussola in questo senso.

La trasversalità riguarderà innanzitutto il coordinamento unico che sarà affidato al Ministero della Transizione Ecologica. Qui ci sono sostanzialmente due obiettivi. Il primo è intervenire sulla catena burocratica che rallenta gli interventi. È sufficiente pensare a quanto accade oggi per tirare su un impianto eolico. Lo autorizza il Mise, la valutazione dell’impatto ambientale la fa l’Ambiente, gli incentivi li dà ancora il Mise. E via dicendo. Il secondo obiettivo è un aggiornamento professionale delle strutture tecniche di Ministeri, Regioni e Comuni. Ma, una vera e propria Transizione Ecologica, non potrà prescindere da altre materie fondamentali, ancora affidate ad altri dicasteri.

Su tutte, l’agricoltura. Troppo spesso non considerata quando si parla di impatto ambientale. Siamo nel pieno della stesura della nuova Pac, la riforma della politica agricola comunitaria che gestisce decine di miliardi di euro. Su questo punto c’è uno scontro molto forte. Quei soldi devono continuare ad andare al vecchio modello agricolo che è uno dei responsabili dell’inquinamento che ci assedia? O devono sostenere il passaggio a un’agricoltura a basso impatto ambientale, un’agricoltura capace di alleggerire la pressione della crisi climatica stoccando il carbonio nel terreno, difendendo la fertilità del suolo, dando agli agricoltori la possibilità di avere un reddito aggiunto utilizzando energie rinnovabili?

Un’altra materia ad alta influenza per la Transizione Ecologica è la mobilità. La rivoluzione dei trasporti urbani attraverso la decongestione delle città con la micro-mobilità elettrica, affiancata alla cosiddetta “cura del ferro” per i movimenti extraurbani dei pendolari e delle merci, sono tutti dei capitoli ricchissimi.

E, per finire, la ricerca e l’innovazione, con ambiti ancora inesplorati come le batterie elettriche e l’idrogeno facendo attenzione a non farli scadere soltanto in slogan ideologici, come quello che rischia di diventare il dibattito intorno ai vari “colori” dell’idrogeno.

Sicuramente il trasferimento di tutto queste competenze avrebbe comportato uno sconvolgimento significativo e necessitato di un periodo di tempo di adattamento e riorganizzazione che non ci possiamo permettere. Per questo, sarà molto interessante nelle prossime settimane analizzare il lavoro della Commissione Interminesteriale per la Transizione Ecologica, la vera novità ancor più del Ministro stesso, forse ancora sottovalutata dagli opinion-makers.

All’interno di questa Commissione si intravede un asse di esperienze e conoscenze davvero considerevole, se consideriamo Cingolani-Colao-Giovannini. Colao, nominato Ministro della Transizione Digitale, coordinatore della task-force che in primavera aveva messo nero su bianco un Piano di ripresa analitico costruito su tre assi fondamentali “Parità di genere e inclusione” – “Transizione Digitale” – “Rivoluzione Verde” , che senza dubbio verrà rispolverato. Inevitabilmente, lo Transizione Ecologica non potrà fare a meno di quella digitale, alimentandosi di tecnologie sempre più raffinate.

Allo stesso tempo, la figura del Ministro Giovannini, a capo del dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti, risulterà determinante, se solo ricordiamo il suo lungo impegno come fondatore e portavoce dell’associazione Asvis, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che forse per prima in Italia ha cercato di porre al centro del dibattito pubblico il tema della transizione ecologica.

Questo asse di personalità, affiancato da quelli che saranno i più stretti collaboratori del Presidente Draghi, ovvero il Ministro per l’Economia Franco e il Sottosegretario Garofoli, sarà probabilmente quello che più influenzerà la stesura definitiva del Pnrr e ricorda molto più un tradizionale Gabinetto di Presidenza tipico della cultura statunitense che un Governo italiano.

La Transizione Ecologica comporta la trasformazione del sistema produttivo verso un modello più sostenibile, che renda meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia, la produzione industriale e, in generale, lo stile di vita delle persone.

Ci saranno buone possibilità di successo se si comprenderà che una sfida di questo tipo non può gravare sulle spalle di una sola persona. Dovrà essere il Capo del Governo a farsi garante del progetto, a pianificare e armonizzare le scelte che portano in quella direzione.

Come è stato più volte ricordato in questi giorni, Un Ministero della Transizione Ecologica esiste già in altri Paesi Europei. In Francia si occupa di politiche di protezione ambientale, ma anche di trasporti, energia, politiche abitative e di difesa della biodiversità e gestisce quasi 50 miliardi di euro all’anno. In Spagna ha due principali obiettivi: una legge sui cambiamenti climatici e la creazione di un piano energetico. In Svizzera, il ministero si chiama Datec: riunisce ambiente, trasporti, energia e comunicazioni.

La Transizione Ecologica è ormai diventata un sfida geopolitica, da inquadrare nella doppia ottica del raggiungimento degli impegni multilaterali come l’Agenda 2030 Onu, gli Accordi di Parigi sul Clima, la Cop26 (che l’Italia presiederà) e dell’affermazione della leadership nello sviluppo sostenibile. Non è un caso che la Commissione Europea a guida Von Der Leyen abbia deciso di fare della Transizione Ecologica il tratto identificativo del proprio mandato, con l’intento di trasformare la comunità europea nello spazio geografico a più basso impatto inquinante, attraverso i programmi del New Green Deal e del Next Generation Eu. Un percorso ambizioso, che già da diversi anni, alcune grandi aziende hanno intrapreso, aiutate anche da società di investimento che hanno fatto dei green bond un asset fondamentale del proprio business, su tutte la Black Rock. E non è un caso che le aziende che hanno investito per riconvertire i loro processi produttivi ed organizzativi in una direzione ecocompatibile sono quelle che meno di tutte hanno sofferto la crisi pandemica. Sarà fondamentale riuscire a raggiungere con strumenti adeguati, magari attraverso Cassa Depositi e Prestiti, anche le piccole e medie imprese, troppo distanti da queste dinamiche finanziarie.

La Transizione Ecologica oggi è al centro di congiunzione favorevole, che agli impegni delle istituzioni e alle avanguardie delle tecnologie affianca anche una sensibilità da parte delle popolazioni, probabilmente mai così diffusa su questo tema nel corso della storia.  Ci saranno momenti difficili e sarà importante coinvolgere sempre le popolazioni, perché come tutti i cambiamenti, non sarà purtroppo a costo zero. Bisogna lavorare sull’accettabilità della Transizione Ecologica. Attraverso un’analisi onesta di ciò che avverrà nella stagione di passaggio dall’economia dei combustibili fossili a quella delle rinnovabili e dell’efficienza. Ci sarà chi perderà il posto di lavoro e chi lo guadagnerà. E quindi si potrebbe ricorrere ad una cassa di compensazione attraverso una fiscalità equa. Coloro che hanno meno sono quelli che perdono di più per colpa dei disastri provocati dalla crisi climatica. È una tragica contraddizione. Ed è per questo che la Transizione Ecologica o è solidale o non è. Ma per far passare un messaggio del genere ci vuole coerenza nelle azioni, non nelle parole. Abbiamo ancora nella mente i ricordi delle agguerrite manifestazioni dei gillet gialli in Francia, provocate dall’aumento del prezzo dei carburanti fossili e in particolare del diesel, che in pochi mesi lasciarono un bilancio di oltre 12 mila arresti, quasi cinquemila feriti, più di tremila condanne e milioni di danni ad esercenti commerciali.

Una sfida delicata, per cui non è sufficiente né un Super-Ministero, né un Super Mario al Governo.