Un paio di scarpe non conformi

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Un paio di scarpe non conformi

Continua la nostra inchiesta sull’Iran, abbiamo incontrato a Milano una studentessa iraniana, Mahsa, così si e voluta far chiamare per paura perché presto dovrà rientrare in Iran. Ci ha raccontato cosa significa vivere ogni giorno nel Paese, sotto il regime, con la polizia verde che si occupa della morale.

A Milano l’autunno è già inoltrato e una brezza mattutina sferza ruvidamente il viso. L’appuntamento è in una caffetteria del centro, pochi passi e sono da lei. Mi ripeto velocemente le tracce degli argomenti che vorrei sfiorare, ma come sempre accade le parole escono seguendo percorsi propri. La vedo seduta al tavolo con il suo ragazzo e la mia amica che ha reso possibile questo incontro, sorridente e rilassata si presenta. Il suo sguardo è profondo, penetrante, sembra più matura dei suoi ventisei anni. 

Chiamami Mahsa

Mi chiede di non usare il suo nome ma quello di Mahsa la ragazza simbolo delle proteste. Mi spiega che in Iran vive ancora la sua famiglia e che la paura di ripercussioni è ancora tanta. In Italia si sente libera e al sicuro, ma terminato il suo corso di laurea magistrale dovrà rientrare. Consapevole che sarà controllata, che le sarà ritirato il cellulare, consapevole che per una parola di troppo si finisce frustate, se non addirittura stuprate o uccise. Nonostante il suo inglese sia impeccabile fatico a seguirla, non solo per la lingua, certi concetti mi sembrano così lontani, così irreali, ma per lei invece sono stati fino a due anni fa la sua quotidiana normalità. Vissuta in una famiglia piuttosto aperta, non conservatrice ha potuto godere di una certa libertà, andare all’università, trasferirsi all’estero.

Un paio di scarpe non conformi

Tutti i giorni per poter seguire i corsi a Teheran doveva affrontare tre ore di viaggio all’andata e altre tre al ritorno e sempre con la preoccupazione di essere fermata, perquisita e portata in cella come accaduto a sua sorella per un paio di scarpe – non conformi.. Mi dice “Ci sono due tipi di polizia in Iran, quelli con la divisa blu e quelli con la verde e questi sono i più temibili, sono quelli della morale e, se è il tuo giorno sbagliato, ti prendono e non sai quando e se riuscirai a tornare a casa, augurandoti di non dover trascorrere la notte con loro, perché il buio con quello che accadrà ti scenderà nell’anima e te lo porterai addosso l’intera vita”. Si sofferma a raccontarmi della sua terra che ha una storia millenaria ma che gli uomini per potere e interesse l’hanno tradita. Si chiama Repubblica ma di fatto è divenuta un regime in cui le elezioni vengono sempre manipolate, c’è una grande inflazione perché tutte e sono molte le ricchezze possedute, per volere di pochi vengono svendute ai paesi limitrofi lasciando molti, in condizioni abiette.

Niente musica e niente bicicletta

Mi descrive la sua infanzia, la sua adolescenza vissuta fra le infinite limitazioni, non si può ascoltare musica, non si può ballare, non si può andare in motorino o in bicicletta (renderebbe troppo visibili le forme) non si può restare da soli neppure in un luogo aperto con un uomo, a meno che non sia tuo padre, tuo fratello o tuo zio. Mi dice che questo è uno dei motivi per cui le ragazze si sposano sempre più giovani, per cercare una nuova libertà che di fatto è solo apparente, perché uscite dal controllo della famiglia si passa a quella del marito. Mi racconta che negli ultimi tempi si sono inaspriti i controlli e può davvero bastare una ciocca di capelli fuori posto per far perdere la vita. Crede che questo sia davvero il momento della svolta, del cambiamento perché nonostante le repressioni, le proteste continuano senza sosta e per la prima volta tutti, uomini donne e bambini sono scesi in piazza per migliorare le loro condizioni, capendo che uniti possono farcela. 

La rivoluzione senza leader

Masha Amini ha solo fornito il pretesto di quella che per noi è una solo una protesta ma che per loro invece rappresenta – una rivoluzione senza leader – per dirla con le sue parole poiché nessuno li sta guidando. In ogni città, paese, provincia si è scesi nelle strade spontaneamente capendo, che questa poteva essere l’unica giusta occasione per farlo. La repressione è divenuta violenta e in ogni modo possibile il regime sta impedendo la comunicazione cercando di spegnere le voci che vogliono raccontare al mondo quanto sta accadendo. “Ci sono grandi difficoltà a metterci in contatto anche telefonicamente, ho un’amica che si reca alle rivolte e se riesce a collegarsi crea delle dirette live evitando di registrare, perché è divenuto estremamente pericoloso. Tutti noi cerchiamo di rimanere informati attraverso il NIAC (National Iranian American Council) una ONG senza scopo di lucro, della società civile, con sede a Washington), che diffonde informazioni e materiale inedito fornendo uno spaccato di verità”.

Provo ad approfondire

L’Iran ha sempre affondato le sue radici in una grande cultura matriarcale come siamo potuti arrivare a questo punto?

Il ruolo manageriale delle donne nella famiglia iraniana è innegabile, ma è sempre stato l’uomo alla fine ad avere l’ultima parola. Nel corso degli anni si sono maggiormente evolute comparendo in società, nonostante le molteplici difficoltà incontrate. Entrando all’università, nel mondo del lavoro si è avuto un maggiore rispetto per loro, ma la libertà è ancora lontana e l’evoluzione di una società passa anche attraverso il rispetto per le sue donne.

C’è molta apprensione per chi è rimasto in patria? Come stanno affrontando la quotidianità?

Per chi è rimasto c’è veramente molta preoccupazione, ci sono ancora tanti, troppi controlli, soprattutto per chi si reca nelle scuole o all’università. I miei genitori cercano di bilanciare i giorni in cui mio fratello rimane a casa, spostarsi è sempre svantaggioso, rispetto a quelli in cui si reca a scuola, sta frequentando le superiori. Le assenze possono indurre a pensare a un’adesione alle proteste. Mia cognata invece ha smesso di frequentare i corsi universitari perché ormai tutti i professori sono in carcere e le proteste che vengono organizzate dagli studenti li vedono spesso feriti e con frequenza sempre maggiore scomparire senza che più se ne abbiano notizie. Anche i bambini risentono di questo clima, da noi una tradizione antica li vede protagonisti, per un’intera notte possono rimanere alzati ascoltando il narrare di antiche fiabe. Ovviamente adesso qualsiasi tipo di aggregazione è bandito.

Cosa pensi sarebbe opportuno fare per aiutare le donne il popolo iraniano?

Diffondere notizie certe, per continuare a supportare, dare coraggio. Noi iraniani che viviamo in Italia cerchiamo di aiutarci anche psicologicamente per attenuare l’ansia che ci opprime ormai da settimane.

Come spesso mi accade esco da questo incontro con una nuova e rinnovata consapevolezza. Il grande valore della libertà che non può mai essere dato per scontato. La nostra costituzione attraverso l’articolo 19 ci tutela alla libertà di pensiero, coscienza e religione. Sicuramente nel nostro paese ci sono ancora molti aspetti da migliorare ma ognuno di noi può scegliere chi essere e chi divenire, cosa non altrettanto possibile tuttora in alcune aree del mondo soprattutto se sei una donna.