Usa, addio alle quote per le etnie nelle università

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Usa, addio alle quote per le etnie nelle università

La sentenza della Corte suprema mette fine alla pratica dell’affermative action, il colore della pelle o l’origine latina non saranno più un titolo di preferenza per essere ammessi nelle università.

È arrivata giovedì 29 giugno una delle sentenze più attese della Corte Suprema americana: con una decisione di sei voti a tre, i giudici guidati dal Presidente John Roberts hanno bocciato i piani di ammissione di Harvard e dell’Università della Carolina del Nord, rispettivamente l’istituto pubblico e quello privato più antichi della federazione.

L’affermative action

La sentenza mette fine alla pratica dell’affermative action, il colore della pelle o l’origine latina non saranno più un titolo di preferenza per essere ammessi nelle università. L’affermative action è stata reputata ingiusta, in quanto penalizza e divide secondo criteri razziali ed è illegale al cospetto dell’Equal Protection Clause, espressa nel Quattordicesimo Emendamento.

Perentorio il commento del giudice Robert, Presidente della Corte, secondo cui i college hanno per troppo tempo «concluso, a torto, che il punto di riferimento dell’identità di un individuo non è costituita dalle sfide vinte, dalle abilità acquisite o dalle lezioni imparate, ma dal colore della sua pelle. La nostra storia costituzionale non tollera questa scelta».

Il dissenso rispetto alla decisione

Portavoce del dissenso fra i componenti della Corte è il giudice Sonia Sotomayor che ha dichiarato: «Ignorare l’etnia non renderà egualitaria una società che è etnicamente disuguale. Ciò che era vero nel 1860, e di nuovo nel 1954, è vero oggi: l’uguaglianza richiede il riconoscimento della disuguaglianza».

Harvard ha subito diramato una nota con cui si oppone alla pronuncia: “Scriviamo oggi per riaffermare il principio fondamentale secondo cui l’insegnamento, l’apprendimento e la ricerca profondi e trasformativi dipendono da una comunità composta da persone con diversi background, prospettive ed esperienze. Questo principio è vero e importante oggi come lo era ieri”.

E non si è fatta attendere neanche la reazione del Presidente Biden, che in un’intervista rilasciata a Msnbc ha detto: «Penso che questa corte sia fuori fase con il sistema di valori fondamentali del popolo americano. La grande maggioranza degli americani non è d’accordo con le sue recenti decisioni».

Che cos’è l’affermative action 

Le affermative actions vengono introdotte negli Usa a partire dagli anni ’60, con la finalità di compensare le ingiustizie sociali subite dalle minoranze escluse dagli studi superiori. Col passare degli anni, tuttavia, sono diventate un strumento per tutelare “diverse diversità” nei contesti studenteschi, assumendo connotati puramente simbolici. Non è un caso se già nel 1978 la Corte Suprema si ritrovò a doverne dare un primo giudizio, di fronte alle accuse di reverse discrimination avanzate da un ragazzo bianco alle politiche di ammissione dell’Università della California,

Seguiranno poi due ulteriori pronunce nel 2003 a mitigarne la dirompenza, bandendo le pratiche che attribuivano 20 punti in più ai candidati appartenenti alle minoranze.

I sostenitori delle quote

I sostenitori delle quote di ammissione basate sul criterio etnico sostengono che esse mirino a correggere le ingiustizie storiche che le persone Bipoc (Black, Indigenous and Peaple of Colours) hanno affrontato nel Paese.

Dai dati dello Us Census Bureau, in effetti, si evince che gli studenti neri americani sono ancora oggi una minoranza in tutto il Paese.

Nel 2021, il 13% dei giovani iscritti alle scuole superiori americane era nero. La situazione si è ingigantita, quanto a partire dagli anni Novanta hanno iniziato a frequentare le Università americane gli studenti asiatici, vietnamiti in fuga, indiani, cinesi, che la maggior parte delle volte riportavano risultati e voti migliori degli stessi bianchi americani.

In nove Stati americani, le quote di accesso alle università riservate a studenti Bipoc sono già vietate da anni e questo ha permesso a molti istituti di sviluppare strategie alternative e più efficaci per contrastare la disparità etnica nell’accesso agli studi.

È il caso della California dove le quote sono illegali da inizio millennio, dove i finanziamenti statali sono rivolti al sostegno degli studenti in difficoltà per la loro situazione socio-economica e per reclutare in maniera mirata studenti provenienti da scuole con un alto tasso di minoranze.

La questione etnica diventa influente solo marginalmente perché con il sistema dei test è la preparazione scolastica, che dipende dalla possibilità di apprendere fornita a bianchi, neri, ispanici o asiatici, a fare la differenza.

Harvard e i redditi degli studenti 

A supporto di questa tesi, giungono i dati relativi all’estrazione sociale degli studenti, per cui ad Harvardi i tre quarti degli iscritti neri, latini e nativi provengono da famiglie con redditi superiori alla media nazionale. Se si considera l’intera platea del corpo studentesco di Harvard, gli studenti provenienti dalle famiglie con i redditi più alti sono quindici volte più numerosi di quelli provenienti da famiglie con i livelli di reddito più bassi.

Alla luce di questo, mettere in soffitta una volta per tutte le affirmative actions non è sinonimo di conservatorismo o anti-liberal, se diventa uno stimolo a trovare criteri privilegiati di accesso in grado di superare la questione del colore della pelle e incentrarsi sulla condizione socio-economica degli studenti, così da consentire ai meno abbienti meritevoli di competere con i coetanei, più fortunati.

Politiche simili sono già state implementati negli Stati che da tempo hanno vietato le quote basate sulla razza. E citiamo nuovamente la California in cui spicca l’esperienza di Berkeley che vede la più alta diversità in termini etnici nella sua popolazione studentesca di sempre e la percentuale maggiore di studenti in condizioni socio-economiche disagiate.

Non ci sarebbe da sorprendersi, pertanto, se la sentenza di una Corte Suprema conservatrice riuscirà a produrre l’effetto progressista di incentivare nuovi meccanismi di ammissione nei college statunitensi, privilegiando la classe rispetto alla razza, dal momento che, a prescindere dal colore della pelle, i meno abbienti sono tutti uguali e tutti hanno bisogno dello stesso aiuto.

Far pagare alle nuove generazioni di bianchi le colpe dei loro antenati, come fossero portatori di un peccato originale da espiare per tutta la vita è il vero contrappasso di una società bigotta e incapace di affrontare sul serio i problemi che la attanagliano, trincerandosi dietro le soluzioni comode del politicamente corretto e della cultura woke

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