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Alfa Romeo, appena nata e già sbattezzata

L’Alfa Romeo Milano, annunciata con tanto di cerimonia nei locali dell’Automobile Club Milano, è durata meno di una settimana ed è diventata Alfa Romeo Junior.

Oggi vi raccontiamo una barzelletta che, una volta imparata, potrete raccontare durante i vostri pranzi di famiglia o nelle serate fra amici. Una casa automobilistica, che facciamo finta si chiami Alfa Romeo, mette in produzione un baby-suv e lancia un sondaggio fra i suoi affezionati consumatori per decidere che nome darvi. Il sondaggio decide che quell’auto sportiva si dovrà chiamare Alfa Romeo Milano.

A questo punto, il Ministro allo Sviluppo Economico della Repubblica italiana, che facciamo finta si chiami Adolfo Urso, va in escandescenza. Fa il tour di tutte le televisioni per polemizzare contro la decisione presa dalla casa automobilistica. Quella macchina non si può chiamare Milano perché non è prodotta in Italia.

La casa automobilistica dopo pochi giorni cambia il nome alla vettura. Se avete finito di ridere, adesso possiamo dirvi che questa non è una barzelletta, ma qualcosa di realmente accaduto, poche settimane fa, durante la prima metà di aprile.

L’Alfa Romeo Milano, annunciata con tanto di cerimonia nei locali dell’Automobile Club Milano, è durata meno di una settimana ed è diventata Alfa Romeo Junior.

Gli appassionati di motori ci insegnano che il legame fra il marchio e la città di Milano si intreccia con la storia e la tradizione dei pionieri dell’industria italiana, che risale sin dalle origini di A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) nel 1910 proprio nella città meneghina, già otto anni prima dell’acquisizione della società da parte di Nicola Romeo. Ma anche senza dover fare ricerche storiche, basterebbe dare una occhiata allo stemma noto in tutto il mondo, su cui si impongono il biscione visconteo e la croce rossa su campo bianco di Giovanni da Rho, simboli di Milano. Per non parlare dell’iscrizione “Milano” che sino al 1972 è sempre stata lì, sulla circonferenza inferiore del logo.

Questo non è bastato tuttavia al Ministro Urso per giustificare la scelta della casa automobilistica di dare il nome Milano ad una sua vettura.

Del resto, per il Ministro che ha istituito il fondo sovrano con le tasse dei cittadini, ha imposto ai distributori di carburante di mettere i cartelli con i prezzi medi quotidiani, ha bloccato l’algoritmo che determina il prezzo dei voli low-cost, ha dichiarato di voler contrastare le grandi multinazionali come Uber, ha inventato il Carrello tricolore per fissare il prezzo della spesa dei prodotti essenziali “secondo lui”, ha pensato a un intervento retroattivo sui crediti deteriorati delle banche, ha fatto largo uso del golden power, cosa volete fosse interferire pubblicamente nella strategia di naming di un’azienda privata?

Il motivo di questa levata di scudi del Ministro Urso è la produzione di questa auto nello stabilimento di Tychy, in Polonia, e pertanto violerebbe la legge sul contrasto all’italian-sounding. Una norma che prevede che non bisogna dare indicazioni che inducano in errore il consumatore. Per farla breve, a detta del Ministro, l’Alfa Romeo Milano prodotta in Polonia sarebbe come il famoso “Parmesan.”

Al Ministro sarà sfuggito che già tanti modelli di auto e di moto portano nomi di località e città di Paesi stranieri rispetto a quello della casa produttrice. È il caso della Hyundai Tucson, della Kia Rio, della Moto Guzzi California e tante altre. Semmai un domani anche negli Stati Uniti o in Brasile, sbarcherà Adolfo Urso tutte queste case automobilistiche dovranno iniziare a tremare.

Fra le righe di questa polemica, in realtà, si intravede un nuovo round del duello a colpi di dichiarazioni e punzecchiature fra il Governo italiano e Stellantis, che va avanti da diversi mesi. Alfa Romeo appartiene infatti alla galassia Stellantis, cui l’Esecutivo imputa la decisione di ridurre progressivamente la produzione negli stabilimenti italiani e di spostare alcune fabbriche all’estero. L’azienda si è sempre difesa, parlando di scelta obbligata dovuta alla carenza di sussidi nel nostro Paese per incentivare l’acquisto di automobili elettriche. Celebre l’uscita di febbraio da parte del Ministro che, in cambio, invocava provocatoriamente l’ingresso dello Stato nel capitale dell’azienda, al pari della Francia. Per fare cosa, poi? Sarebbe stato curioso in tal senso sapere se, a quel punto, l’Italia avrebbe spinto per realizzare progetti anti-economici e quindi avrebbe accolto anche le perdite dell’attività.

Più volte, Urso ha rimbalzato le dichiarazioni di Tavares (Amministratore Delegato Stellantis) facendo sapere che alla porta del suo Ministero si sono affacciate almeno sette/otto altre case automobilistiche per investire in Italia.

I più informati raccontano con convinzione che ci siano brand cinesi pronti a mettere radici nel nostro Paese, suggestioni che non circolavano neanche ai tempi del memorandum per la Via della Seta, firmato da Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. Ad onor del vero, ci sarebbe da rievocare il fiume di denari pubblici che lo Stato italiano ha versato alla ex-Fiat negli anni. Almeno 220 miliardi dal 1975 ai giorni nostri, fra Cassa integrazione, rottamazione, sussidi alla disoccupazione, ammodernamento degli stabilimenti, sino alla maxi-linea di credito da 6,3 miliardi con garanzia Sace concessa nel 2020, in piena pandemia. Soldi che, se da un lato, hanno dato ossigeno alla più importante azienda automobilista del nostro Paese, dall’altra non hanno spinto la produzione e i livelli occupazionali come auspicato. Il nuovo piano di incentivi da quasi un miliardo di euro messo a punto dal Governo non accontenta Stellantis e, pochi giorni fa, l’azienda ha annunciato la chiusura dello stabilimento di Mirafiori. Anche se il titolare dello Sviluppo Economico ci ha tenuto a precisare che non sia legato a questo. Nel frattempo, Urso continua a promettere il milione di auto da produrre, nascondendosi dietro un tranello che già ad inizio anno, Annarita Digiorgio sul Riformista, ha spiegato come meglio nessun altro avrebbe potuto fare.

Non sorprende, pertanto, se Stellantis, per tramite dell’Ad di Alfa Romeo, Jean-Philippe Imaparato, nel darla vinta al Ministro sulla polemica del nome della Milano, lo abbia evocato chiamandolo genericamente “un esponente del Governo”, rincarando la dose in un comunicato al limite del sarcasmo. “In una delle settimane più importanti per il futuro di Alfa Romeo, un esponente del governo italiano dichiara che l’utilizzo del nome Milano, scelto dal marchio per chiamare la nuova compatta sportiva appena presentata, è vietato per legge. Il nome Milano, tra i favoriti del pubblico, era stato scelto per rendere tributo alla città dove tutto ebbe origine nel 1910. Pur ritenendo che il nome Milano rispetti tutte le prescrizioni di legge, e in considerazione del fatto che ci sono temi di stretta attualità più rilevanti del nome di una nuova autovettura, Alfa Romeo decide di cambiare il nome da Milano a Junior, nell’ottica di promuovere un clima di serenità e distensione. Ringraziamo il Governo per la pubblicità gratuita indotta da questo dibattito. L’attenzione riservata in questi giorni alla nostra nuova compatta sportiva è qualcosa di unico, con un numero di accessi al configuratore online senza precedenti, che ha provocato il crash del sito web per alcune ore”.

Il Ministro ha esultato, lui ha vinto la sua battaglia.

Poco importa se c’è da risolvere la crisi del settore auto-motive, ciò che conta è aver fatto cambiare il nome dell’auto. Nessuno gli faccia sapere che la Ford Torino è prodotta a Detroit. In quel caso, andrebbe citato in tribunale anche Clint Eastwood.

Mi domando come abbiano assistito a questa vicenda, quelle “sette/otto” altre case automobilistiche interessate ad investire in Italia. Una politica che interferisce in modo così plateale nelle scelte aziendali è un danno d’immagine per l’intero Paese, che certamente non rassicura gli investitori stranieri. Alla faccia del “non disturbare chi vuole fare” pronunciato dal Presidente Meloni. Forse, piuttosto che cambiare il nome dell’auto, ci sarebbe da cambiare il nome al Ministro, da Adolfo Urso, da Adolfo Urss…o cambiare proprio il Ministro?