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Chiese e Conventi. S.O.S

di Pier Luigi Cervellati

Architetto e urbanista italiano, è stato professore presso le Università di Bologna e di Venezia

Bologna – Le statistiche ci informano che prima del 2050 non ci saranno più conventi. Tutti chiusi. Assenza di vocazioni. La frequenza nelle chiese è progressivamente calata ancor prima del covid 19.

Chiese e conventi costituiscono i cardini dell’impianto urbano di tutte le città italiane e in particolare di quelle di origine etrusca o greco-romana, le città che definiamo storiche. Chi si occupa di loro, fra cui chi scrive, fa iniziare la formazione (o la crescita) nell’alto medioevo e ultimamente ha stabilito la fine della città storica nel 1939, sia per il rapporto che hanno avuto con la campagna fino a quella data, sia per gli sventramenti subiti  e lo sviluppo del traffico motorizzato. Sia per l’equilibrio raggiunto fra numero di famiglie e di alloggi, nonostante gli sventramenti subiti e la crescita modesta della popolazione, favorendo l’espulsione dei ceti meno abbienti all’esterno del perimetro murario ancor prima dell’abbattimento delle loro case.

I conventi in particolare hanno già registrato in epoca napoleonica e con l’istituzione del Regno d’Italia, forti cambiamenti d’uso, che tuttavia tranne pochi casi non ha alterato la proprietà “pubblica”, la fisonomia, la struttura e soprattutto la loro ubicazione.  Il convento o monastero in epoca medioevale in particolare i due grandi ordini “mendicanti” i cui Frati vivevano di elemosine (Francescano e Domenicano) e prima i Benedettini, tutti ordini con la chiesa  inserita nel complesso  conventuale, occupavano vaste zone strategiche in seguito occupate da case e dalla chiesa parrocchiale e da altre chiese con funzioni diverse.  L’impianto delle chiese parrocchiali è stato modificato e adattato al numero crescente di abitanti rimanendo all’interno dell’ultima cerchia delle mura. Ovviamente c’erano parrocchie e conventi esterni e di campagna, (le Certose in cui i “certosini” vivevano con il ricavo delle coltivazioni).  

Bologna era considerata la “ capitale del Nord” dello Stato Pontificio.  L’avamposto di uno Stato non solo confinante con altri Stati dove stavano attecchendo altre religioni Cristiane; i Calvinisti, i Luterani, gli Ortodossi, e la cospicua presenza di studenti stranieri, fanno di Bologna la capitale/vetrina più a nord del Regno Pontificio.  

Alcuni conventi sono diventati museo o scuola, ad esempio il noviziato dei Gesuiti -sempre a Bologna- diventa, già in epoca napoleonica, Accademia di Belle Arti e Pinacoteca. Bologna rispecchia più di qualsiasi altra città, il Regno Pontificio. Nel ‘700, sono oltre 110 i conventi all’interno o ai margini della città.  Centinaia di chiese e almeno una o più decine di Parrocchie, che furono poi accorpate dai napoleonici anche se in misura minore rispetto a Venezia. Le parrocchie applicano regole che la comunità dei parrocchiani esegue scrupolosamente. Ogni 10 anni, in occasione del Decennale Eucaristico, sono d’obbligo per la proprietà della casa, lavori di manutenzione: sostituzione delle parti ammalorate, dai tetti alle imposte, alle grondaie… Già nel medioevo i portici di proprietà privata sono di uso pubblico. E sempre alla comunità –con particolare riferimento ai proprietari di case o palazzi è  chiesto un contributo per adornare o ritinteggiare e restaurare la chiesa.

12 le Porte, come nella Gerusalemme Celeste. Le strade fiancheggiate da portici, raffigurano una chiesa a tre navate in cui la centrale è coperta dal cielo. 

La presenza della chiesa è stata fondamentale. Per tutti i cittadini, cristiani o atei che fossero.  Oltre l’obbligatoria presenza alle funzioni religiose, esse svolgevano uno specifico ruolo  sociale e culturale ed educativo. Erano -quello che oggi è definito- un “bene comune”. Chiese e conventi, pur espropriati rimasero fino ai giorni nostri pubblici, al servizio dello Stato o dei cittadini.

Anche adesso si sta registrando un accorpamento di più parrocchie. E ogni chiesa continua a essere una presenza importante. Un luogo che arricchisce: tutti –credenti e non credenti- consente di entrare, contemplare la loro bellezza e ricchezza di opere d’arte e la loro intrinseca spiritualità. Chiesa e convento con la loro presenza così numerosa nel tessuto urbano (come ha detto in un’intervista Adriano Prosperi) definiscono la “dimensione dell’ignoto e il fondo inesplicabile della vita e della morte, in una parola del sacro”. Sono assimilabili al museo. Più di un museo. Il museo espone opere d’arte che in misura non piccola proviene dalle chiese. L’Estasi di Santa Cecilia del sommo Raffaello ora in Pinacoteca,  faceva parte del patrimonio della chiesa di San Giovanni in Monte. Chiesa conventuale, il cui convento fu espropriato e trasformato in carcere; ultimamente restaurata e adibita a sede universitaria. Nessun quadro è mai stato dipinto per il museo. Mentre per la chiesa l’artista conosceva il luogo, l’orientamento, le ore di maggiore o minore luminosità.

Le chiese “moderne” spesso confondono la loro presenza per somiglianza con le nuove costruzioni. La loro immagine si confonde e non a caso si trovano in periferia… nella non “città”, grande o piccola che sia . 

Consciamente o no, la chiesa storica suggestiona per la ricchezza delle opere d’arte e delle forme e stili dell’architettura.  Anche quelle di campagna.   Un esempio.

Un celebre fotografo, uno dei massimi del neorealismo italiano, negli anni ’50 fotografò le mondine, le lavoratrici della gramolatura della canapa, la vita faticosa di chi vive e lavora nelle montagne appenniniche, o nelle acquitrinosa pianura; allora pubblicate solo dai giornali di sinistra in quanto illustravano la vita faticosa e povera dei contadini, dei coloni o dei mezzadri. Queste foto allora erano pubblicate solo dai giornali di sinistra. Il fotografo, Enrico Pasquali, era nato a Medicina da una famiglia di contadini, era povero e frequentò distrattamente le scuole elementari, per poi continuare a fare il contadino con la passione per le macchine fotografiche e andò come apprendista/garzone da un fotografo di campagna che fotografava matrimoni e funerali, cresime e comunioni. L’approfondimento dell’arte di Pasquali, fotografo di campagna, rozzo, quasi analfabeta che si appropria della tecnica per esprimere non solo il sudore, la fatica di questi lavoratori una raffinata cultura figurativa del tutto inconscia.  La messa in posa delle mondine, delle altre lavoratrici e dei lavoratori per formare una rappresentazione dominata dall’armonia delle forme umane con il paesaggio, in un rapporto che secondo Andrea Emiliani, concordando con altri storici o letterati, deriva dal riaffiorare nella sua memoria le immagini sacre delle pale di altare (di origine sei-settecentesca di scuola bolognese) presenti nelle chiese e in particolare nella parrocchiale di Medicina. La composizione figurativa dei dipinti rimane impressa al giovanissimo e incolto contadino consentendogli fin dall’inizio inquadrature colte, pose e particolari di chi fa scatti tutt’altro che improvvisati.  

Nella città storica chiese e conventi hanno una valenza superiore a qualsiasi altro fabbricato perché la loro presenza conferisce un senso di appartenenza, di uguaglianza  propria di un patrimonio di tutti.  Un luogo che oltre alle funzioni religiose permette la contemplazione e la meditazione. La chiusura dei conventi, l’accorpamento delle parrocchie, lo stato di precarietà statica di molte chiese, la necessità urgente di restauri e la loro progressiva privatizzazione, l’occultamento della loro bellezza con gigantesche pubblicità (che sfiorano  quasi sempre la volgarità) cancellano la loro presenza. Segnano un progressivo degrado urbano. Non un ammodernamento, come si vuol far credere , bensì un involgarimento della città storica. Si pensi all’infilata di manifesti che coprono la fiancata dirimpetto al portico dell’Archiginnasio. Un’infilata di pubblicità, con tanto di potente illuminazione appositamente studiata e rinnovata, sembra un impianto tutt’altro che precario che stride con le crepe e decori cadenti o gli affreschi esterni anneriti dallo smog. Servono  o dovrebbero servire) per finanziare  il restauro della chiesa. Restauro architettonico ma anche artistico. Il ricavo dev’essere assai modesto: se queste strutture da più anni – con alterna merce messa in mostra- sono presenti.  E che dire del grandissimo manifesto luminoso sorto fra le monumentali tombe dei glossatori che copre parte dell’abside di San Francesco? 

Lo scopo sembra giustificare l’occultamento dei luoghi di massimo pregio cittadino, ma l’’esaltazione della merce produce solo senso di abbandono. Anche se si faranno i restauri –e c’è chi dubita-  chi e cosa ridarà a quei luoghi la loro perduta sacralità?

Ci si è dimenticati del recente passato, quando per evitare l’abbattimento della chiesa di San Giorgio in Poggiale, danneggiata dai bombardamenti, ma con la facciata cinquecentesca rimasta quasi intatta, oltre le proteste di enti come Italia Nostra, o l’INU (Istituto Nazione di Urbanistica), molte voci si levarono contro l’abbattimento -(proposto dal Cardinal Lercaro e avvallato dal Sindaco Dozza, per realizzare un Albergo con il cui ricavo si sarebbe dovuto costruire una nuova chiesa in periferia)- a queste voci, in particolare di intellettuali, si unirono quelle degli operai che avevano organizzato corsi per imparare la storia dell’arte.  La chiesa si salvò. Fu restaurata e trasformata in una biblioteca che per quanto privata svolge una funzione pubblica. I privati adesso se intervengono lo fanno solo per aumentare i loro profitti.  Come sta facendo un noto e bravissimo industriale che ha acquistato l’ex Ospedale provinciale adibito all’Infanzia e alla Maternità -già denominato dei Bastardini- e prima ancora Ospizio di San Procolo (chiesa e ospizio dei Benedettini) per gli infermi e i pellegrini. Nessuno conosce quale destinazione avrà. Anche il Monte di Pietà che fiancheggiava la Cattedrale di San Pietro e ospitava anche i canonici di San Pietro  si sta trasformando in un supermercato come se via dell’Indipendenza  fosse priva di negozi e bancarelle come un suk.  Questo edificio era l’unico, pur adibito a Banca che non avesse vetrine sulla strada.  Non ci saranno ma sarà difficile non intravvedere ciò che si svolgerà all’interno. L’interno si affaccia sulla corte della curia arcivescovile…. E sulla strada sarà difficile non intravvedere  luci e insegne. Tutti tacciono. Nessuno prote.esta.  Nel silenzio (o quasi) è passata anche la “scellerata” riforma del Ministro Franceschini…

Che cosa ci separa dal passato recentissimo. Due capovolgimenti culturali. Il primo lo spiega  Octavio Paz in un articolo degli anni 90:: “é difficile sapere se siamo alla fine o in una fase di cambiamento dell’Età moderna….Pensare l’oggi, significa  riconquistare uno sguardo critico.. Si prenda a esempio il “mercato”. esso é un meccanismo efficace, ma come tutti i meccanismi non é dotato di coscienza e tanto meno di pietà. Bisogna trovare una maniera per stringerlo nella società in modo che risulti espressione di un patto sociale e strumento di giustizia e di equità. Le società democratiche hanno raggiunto un livello invidiabile di prosperità; sono però isole di abbondanza in un mare di universale miseria. Il “mercato” è strettamente relazionato con il degrado dell’ambiente naturale. L’inquinamento, insiste Paz, non infesta solo le acque e gli alberi, ma anche le anime. Produrre di più per più consumare, tende a trasformare le idee, i sentimenti, l’arte, l’amore, l’amicizia e le stesse persone, in cose da consumare. Nessuna società come la nostra ha prodotto tanti rifiuti. “Tanti rifiuti, morali e materiali”. Lo storico  aggiorna il poeta. L’ultimo scritto di uno storico, Adriano Prosperi: Un tempo senza storia (2021 potrebbe condensarsi nel “il processo di cancellazione della memoria”. Si afferma che “l’oblio della memoria è dovuto al modo di produzione capitalista in quanto ha reificato il tempo del lavoro incorporato nel prodotto trasformandolo nel <feticcio> della merce. L’oblio del lavoro e dei luoghi e delle storie di chi vi è impiegato “e diventato travolgente con l’avvento  della finanziarizzazione dell’economia capitalistica e col trionfo del neoliberalismo.[… ] in particolare nella realtà italiana di oggi […]  la crisi si avverte  nelle due direzioni del passato e del futuro […] come problema di diffusa ignoranza e di false idee e su eventi del passato specialmente tra i giovani: un’ignoranza  che si allea con il voltare le spalle  al futuro, una specie di malattia della speranza”. 

Le chiese possono diventare un museo? Lo sono già., anzi lo sono di più, in quanto le opere d’arte sono state fatte appositamente per loro. Devono rimanere di proprietà comun come lo sono sempre state…

Lo stessso dicasi per i conventi smilitarizzati o  quelli che la tecnologia svuoterà dei loro impiegati.  Diventeremo ancora più incolti, pazienza. Tanto si vivrà meno. Da anni si riducono le spese per la sanità.