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Damidas. Chi fa musica da Kiev

Damidas

All’Eurovision tifava ovviamente per la Kalush Orchestra, i concorrenti ucraini che hanno vinto il festival con Stefania, ma i suoi preferiti erano in realtà Mahmood e Blanco con Brividi. Tant’è che quando l’ho intervistato, Dmytro Bannov me l’ha cantata per davvero.

In arte si chiama Damidas, fa il producer da anni: canta e scrive musica per vari artisti ucraini, suoi connazionali. Lui abita proprio a Kiev, dove si trova il suo studio, e mi chiama da lì. È lo stesso studio in cui ha registrato anche le voci di Deepest Dreams, un pezzo electro-house prodotto assieme a Lorenzo Filippin, producer carpigiano.

Inciampando sull’inglese, parliamo di musica, di guerra e del debito che i russi non finiranno mai di pagare all’Ucraina. Un debito che non è (solo) di terra, soldi o vite umane, ma (anche) di cultura.

L’ultima uscita di Damidas, prodotta con Lorenzo Filippin.

Dmytro o Damidas?

Meglio Dmytro, è più naturale!

Va bene, Dmytro. Mi stai chiamando dal tuo studio, che si trova a Kiev. Lo hai costruito te?

Sì, l’ho tirato in piedi durante la pandemia. È qui che nel 2020 ho iniziato a cantare e fare musica.

Non lo facevi prima?

Sì, in realtà canto e suono da quando sono bambino, ma solo con la pandemia ho iniziato a produrre musica per me stesso. Per 15 anni ho scritto musica e lyrics per altri artisti ucraini, ma ho iniziato a farlo per me stesso dal 2020. Sai, anche per noi il lockdown è stato proprio quell’occasione per spingersi a fare qualcosa di nuovo.

Ci sono musicisti che scrivono musica per allontanarsi dal mondo, inventandosi realtà ideali. Altri invece lo affrontano, e fanno critica. Tu dove ti metti, soprattutto in questo momento storico?

Io mi metto a metà, sinceramente. Avere la guerra sotto casa mi ha aiutato a capirlo.

A dire la verità, dopo lo scoppio della guerra, non sono riuscito a fare musica per un po’. Fuori c’erano le bombe, ma io sentivo un silenzio assoluto dentro me.

Poi ho ricominciato a comporre: adesso la mia musica parla di guerra, del mondo in cui vivo, ma voglio spingermi verso ciò che verrà dopo. In questi giorni sto lavorando a un pezzo sui nostri soldati: ha a che vedere col presente, ma io voglio guardare oltre, a quando saremo liberi.

Questo è il senso di quello che faccio.

Quindi la guerra alla fine è arrivata anche nella tua musica.

Sì, ma c’è tanto dolore, c’è tanta rabbia. Parlo proprio di rabbia, la rabbia che senti quando un tuo parente ti tradisce – parenti che entrano in casa e uccidono la tua famiglia.

Io la vivo così, perché Russia e Ucraina per decenni hanno avuto un legame veramente famigliare. Un legame economico, ma anche e soprattutto culturale. I russi lo hanno infranto, ci hanno tradito.

Non è facile per noi europei vedere questo legame. Da quando ci interessiamo di Ucraina, pensiamo solo a due fazioni nemiche.

Perché è anche una questione culturale, che ha a che vedere con la nostra arte, la nostra musica e via dicendo.

Fra i nostri paesi, infatti, c’è sempre stato un bilanciamento: la Russia economicamente forte, a differenza dell’Ucraina; ma l’Ucraina estremamente florida sull’arte, a discapito della Russia. Musica, arte, moda, advertising. Noi abbiamo sempre avuto molte idee, e le abbiamo sempre condivise coi russi.

Ed è così anche nella musica?

Lo sapevi che gran parte degli artisti amati dai russi sono in realtà ucraini? Penso a Ani Lorak, Taisia Povaliy o Loboda, per dirne alcuni. Ma soprattutto Loboda: con lo scoppio della guerra, è tornata a Kiev e si è schierata apertamente con la nostra causa, a differenza di altri musicisti.

Ad ogni modo, anche se sono nelle top liste russe, sono ucraini.

Sempre parlando di musica, tutti abbiamo sentito la Kalush Orchestra all’Eurovision. Quest’anno eravamo un po’ patriottici, visto che il festival era a casa nostra.

Ma i miei preferiti erano proprio Mahmood e Blanco!

Comunque la Kalush Orchestra ha suonato un pezzo molto intenso, ed è stato premiato come doveva.

Cosa ne pensi della decisione di spostare l’Eurovision 2023 a Londra, anziché farlo a Kiev come da regolamento?

Condivido la decisione, in realtà. Non si può pretendere di svolgere un festival così importante in una zona così a rischio. È un grande dispiacere, ma la sicurezza è più importante.

Domanda secca: secondo Damidas, cosa può fare la musica per questo momento storico?

Sì, è il senso di quello che fanno i musicisti. Non solo cambiare il mondo, ma anche raccontarlo: perché per cambiare le cose, dobbiamo prima conoscerle. Conoscere ciò che siamo, e poi cambiarlo. La musica è qui per questo.