Diet culture e disturbi alimentari, Addio alla “morale” dei cibi

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Diet culture e disturbi alimentari, Addio alla “morale” dei cibi

In opposizione alla cultura della dieta, sempre più profili social stanno promuovendo l’hashtag #dietculturedropout, espressione che significa abbandono della diet culture

Ad oggi, i media e in particolare Internet e i social sono pervasi da consigli per perdere peso e migliorare il proprio fisico. Ricette senza sensi di colpa, presunti allenamenti senza sforzo e programmi miracolosi che assicurano un completo detox. Dettami che sono figli della cosiddetta cultura della dieta, o diet culture, che non è altro che l’esaltazione della magrezza ad ogni costo, associata a valore morale, bellezza, successo e salute, e la conseguente divisione dei cibi in buoni e cattivi, che comporta restrizioni in termini di calorie.

Diet culture e aumento dei DCA

In un quadro generale in cui magrezza equivale a bellezza, e ogni sforzo e privazione sono ben accetti, se finalizzati alla perdita di peso, non viene dunque tenuta in considerazione la salute mentale, né tantomeno i disturbi del comportamento alimentare (i cosiddetti DCA), come anoressia, bulimia e binge eating, una vera epidemia silenziosa degli ultimi vent’anni, soprattutto tra adolescenti e giovani adulti. 

Disturbi alimentari, un milione e mezzo di casi

È ritenuta una vera e propria emergenza dall’Istituto Superiore della Sanità. Infatti, stando ai dati nazionali del Ministero della Salute 2019-2023, che si basano sulle schede di dimissioni ospedaliera, gli accessi ai centri specializzati e al pronto soccorso e sulle esenzioni, nel 2019 i casi di disturbi alimentari erano stati 680.569, mentre nel 2022 sono balzati a 1.450.567. Il tutto mentre i canoni di bellezza sembrano diventare sempre più irraggiungibili.

“La pandemia di Covid 19 ha dato il colpo di grazia a un’epidemia in corso, confermando un trend che era già in crescita. Negli ultimi anni i disturbi alimentari hanno registrato un costante aumento, con un’attenzione particolare per la fascia d’età compresa tra i 12 e i 14 anni e con un anticipo evidente nell’insorgenza di queste patologie: oggi si ammalano ragazzini e ragazzine di dieci anni. Emerge infine un forte aumento dei maschi che negli ultimi anni sono entrati in contatto con i servizi” dice Laura Dalla Ragione, ex Presidente della Società italiana Riabilitazione Disturbi del Comportamento Alimentare e del peso.

I social e la diet culture

Sempre più popolari nei media sono parole come sgarro e cibi fit, le quali sono divenute una vera e propria tendenza sui social, motivo per cui numerosi utenti, in particolare giovani, sono esposti a contenuti da cui spesso vengono inevitabilmente condizionati.

In opposizione alla cultura della dieta, sempre più profili su social network come Instagram e Facebook stanno promuovendo l’hashtag #dietculturedropout, espressione che significa abbandono della diet culture e che dà il nome anche ad un popolare podcast su Spotify, che si propone di “rompere la pervasiva narrazione culturale riguardante le diete e la relazione disordinata col cibo e con l’immagine corporea”.

Diet culture dropout: un fenomeno mondiale

Su Instagram, sempre più profili da tutto il mondo stanno promuovendo una normalizzazione dell’equilibrio alimentare, unito all’eliminazione del senso di colpa e della connotazione morale del cibo. “Nonostante ciò che la diet culture dice, è normale se: mangi più dei tuoi amici, scegli bibite zuccherate, mangi dopo le otto di sera (o a qualunque ora), non compri prodotti biologici, mangi un pasto senza proteine” scrive la nutrizionista americana Abbie Attwood (@abbieattwoodwellness) e ancora “una delle cose migliori che puoi fare per la tua immagine corporea è fare a pezzi la bilancia. Salirci non deve più determinare il tuo umore o ciò che ti concedi di mangiare. Inoltre, i bambini non devono vedere bilance in casa, perché anche se non si menziona il peso in famiglia, la sua presenza manda già un messaggio” afferma Sinéad Crowe (@intuitive.eating.ireland) che si definisce ex binge eater e consulente alimentare. Dall’Inghilterra, la dietista Toni Rudd (@the.binge.dietitian) spiega invece la differenza tra la mentalità della dieta e pensieri al di fuori di essa: “scegliere un’insalata perché è più sana, anche se vorresti qualcos’altro, e non per il suo gusto; dire no ai dessert perché quel giorno non ti sei allenato, anziché perché sei sazio, andare in palestra non per staccare la testa dopo un’impegnativa giornata di lavoro, ma perché senti di aver mangiato troppi biscotti”.

Diet culture dropout in Italia

Sui social, e in particolare su Instagram, si fanno promotori dell’abbandono della cultura della dieta in Italia profili come quello di Francesca Mittoni (@francescamittoni_), creator guarita dai DCA, la quale in un post afferma che “Non ci sono cibi buoni o cattivi: il cibo non ha valore morale, è cibo. Sarà più o meno nutriente, ma sempre cibo rimane. Non si è persone migliori se si è magri. Una persona è valida per quello che è, non per come appare”. Infine, Edoardo Mocini, medico e specialista in alimentazione (@edoardomocini_) si focalizza sulla cosiddetta ortoressia, ovvero l’ossessione per il cibo sano, e sostiene che “anche l’ossessione per il cibo sano può essere problematica: quando la dieta ultra-salutare diventa un’ossessione, si parla di ortoressia nervosa, un possibile disturbo dell’alimentazione e della nutrizione poco noto. Il comportamento tipico di chi soffre di ortoressia nervosa è la progressiva eliminazione dalla dieta di tutti gli alimenti considerati “pericolosi” per la salute”, facendo riferimento a dolci, carboidrati e altre categorie connotate negativamente dalla cultura della dieta.

Si inneggia dunque all’equilibrio, ad un sereno rapporto col cibo, a una maggiore libertà e alla ricerca di un benessere che unisca corpo e mente.

Che sia in atto una vera e propria rivoluzione del pensiero?