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Il direttore d’orchestra, “Un leader, non un generale”

Roma, Auditorium Parco della Musica 18 04 2018 Stagione di Musica Sinfonica Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia Nicola Luisotti direttore Sabine Devieilhe soprano ©Musacchio & Ianniello

C’è qualcosa di infinitamente magico negli atti compiuti da chi dirige. A raccontarci meglio questo ruolo è Nicola Luisotti, uno dei direttori più celebri a livello internazionale.

“Dirigere, può farlo anche un asino. Ma fare musica è un’altra cosa” queste parole furono pronunciate da Arturo Toscanini, grande direttore d’orchestra italiano, scomparso nel 1957, per descrivere e raccontare la sua professione.

Il direttore infatti non è soltanto colui che scandisce tempo e dinamiche del suono conferendo personalità all’esecuzione, la sua abilità è riconosciuta nel coordinamento dei musicisti, un popolo che pur eterogeneo si deve muovere in sincrono, generando una complessa opera d’arte.

C’è qualcosa di infinitamente magico negli atti compiuti, nei gesti, nell’incedere elegante e sicuro sul palcoscenico, la sua autorevolezza nel sollevare una bacchetta, l’immediato silenzio e ordine supremo che ne consegue.

Assolutamente consapevole di trovarsi di fronte a musicisti professionisti, sa che non dovrà privilegiare la sua posizione, ma solo mediarla come un umile servitore a disposizione della musica.  

A raccontarci meglio questo ruolo è Nicola Luisotti, uno dei direttori d’orchestra più celebri a livello internazionale che ha saputo trasformare il suo sogno, coltivato fin dall’infanzia: aveva solo 11 anni quando si trovò a condurre il coro della chiesa del paese. Una parabola felice la sua a cui i numerosi sacrifici si sono contrapposti agli infiniti successi, portandolo a dirigere nei teatri più prestigiosi del mondo.

“La musica deve sedurre, deve appassionare, soprattutto in questo particolare momento, in cui viviamo un contesto di guerra, la musica deve essere la nostra ancora di salvezza”

Inizia con queste parole la conversazione informale con il Maestro Nicola Luisotti, da cui traspare l’infinito entusiasmo che nutre per l’opera e di cui intimamente ne è parte.

Siamo tutti affascinati dal linguaggio non verbale che si intrattiene fra il direttore e la sua orchestra, ci può svelare qualche mistero? “Molti anni fa, durante una Turandot al Festival Pucciniano, dove lavoravo come assistente, chiesi al maestro Yuri Ahronovich spiegazioni sul gesto. La sua breve e laconica risposta fu: “Carissimo, è molto semplice: idea chiara, gesto chiaro, idea confusa, gesto confuso!” Questa fu per me una grande lezione e continua ancora oggi, dopo tanti anni di carriera, ad essere motivo di ispirazione”.

È una persona solare, estremamente paziente, quella che ci troviamo di fronte, che con termini semplici riesce a spiegare concetti estremamente complessi.

Quella del direttore d’orchestra è una professione di cui non si parla molto. Può raccontarcela partendo dalla sua esperienza?Non se ne parla poiché credo non ve ne siano così tanti! È qualcosa che nasce da bambini, di solito è il sogno di poter suonare lo strumento più grande che esista, poi ci si ritrova su quel piccolo podio e non si può più tornare indietro, la musica ti travolge e il sogno si trasforma in realtà”.

Nicola Luisotti (Berlino Staatsoper)

Quando chiediamo quanto le radici italiane, patria di grandi musicisti, possano averlo aiutato a distinguersi in questo contesto ci spiega Credo che la musica non abbia né passaporto né confini. Personalmente quando dirigo un’opera nella lingua con la quale ho maggiore confidenza, diciamo che mi sento più a casa. Toscanini tuttavia diresse in modo straordinario Tristan and Isolde pur non conoscendo il tedesco! E devo aggiungere che, quando mi è capitato di dirigere opere in lingua straniera, pur faticando di più per comprenderne il testo, ho ottenuto migliori risultati rispetto a quelli che avrei immaginato!”.

La conversazione prosegue spaziando fra le infinite collaborazioni e i progetti sostenuti nel corso della carriera.

Con leggerezza ci riporta al periodo trascorso in America, dove è stato a lungo direttore dell’Opera di San Francisco e ha avuto importanti incarichi dal Metropolitan Opera di New York. Conservo ancora oggi ricordi straordinari, e spesso ripenso a tutte le opere e ai concerti che vi ho diretto, così come alle importanti orchestre con cui ho avuto rapporti veramente speciali. Un progetto su tutti, la commissione de “La Ciociara” al compositore Marco Tutino, presentata in prima mondiale a San Francisco nel 2015, che si è rivelata un trionfo assoluto. Ogni tanto ritorno, ma i miei numerosi impegni in Europa hanno purtroppo limitato la mia presenza negli Stati Uniti. Tuttavia, con mia moglie Rita – ogni volta che si sofferma sul suo nome traspare il legame profondo che li unisce – condividiamo spesso ricordi degli anni trascorsi in quel luogo, momenti che resteranno indelebili nella nostra memoria”. 

Lei è ritenuta una delle eccellenze italiane nel mondo, avverte pressione o responsabilità in merito a questo, ha mai timore di deludere le aspettative?Il timore di deludere è una delle sensazioni più importanti nel bagaglio personale di ogni artista, – rispondendo con estrema umiltà aggiunge – guai non si avesse! Si studierebbe di meno e si darebbe per scontato il successo ottenuto durante tutti gli anni di carriera”. 

In una sua precedente intervista aveva dichiarato “si dirige poco in Italia perché i nostri teatri non hanno una programmazione di lungo periodo”. Ritiene stia cambiando qualcosa dopo l’avvenuta ripresa post Covid?L’Italia, che adoro, è un  Paese straordinario ma i Teatri sono stati in passato spesso “bloccati” da cambi troppo repentini ai vertici delle direzioni artistiche e delle sovrintendenze. Questo è un problema però che riscontravo molti anni fa, mi auguro che oggi le cose siano cambiate. Ho comunque bei progetti in futuro con La Fenice di Venezia e con La Scala di Milano, due Istituzioni leggendarie che tutto il mondo ci invidia”.

Ci incuriosisce sapere come riesce a trovare ogni volta rinnovato entusiasmo e la giusta chiave esecutiva, per la direzione di opere che vengono eseguite ripetutamente. Senza troppo indugiare ci risponde “Quando si impara una partitura non ci si ferma alla prima esecuzione. La musica è un “demone” che si affronta con le armi dello studio, dell’amore e della pazienza! – il tono diviene più severo – Serve, infatti, un grandissimo lavoro, lungo molti anni, per comprendere la profondità dei grandi capolavori, ripeterli ci fa crescere e ci fa scoprire dettagli che le volte precedenti non avevamo notato”. 

Agli occhi dei profani il direttore d’orchestra appare una figura piuttosto isolata e temuta dai musicisti, ma è davvero così? – Sorride – e in questo attimo di silenzio c’è da interrogarsi se la domanda possa essere stata inappropriata “Il direttore d’orchestra è uno contro tutti e a volte deve farsi rispettare in qualche modo. Dovrebbe però, a mio avviso, sedurre più che comandare. È di fatto un leader, non un generale”.

Ci vuol raccontare questa nuova collaborazione con il Teatro dell’Opera di Berlino?Beh, mi trovo a Berlino a dirigere questa nuova produzione di Aida che ha inaugurato con grandissimo successo la stagione 2023/2024, Il cast è straordinario e lavorare con la Staatskapelle è una grande esperienza, sia musicale sia umana”. 

Mischiando la realtà con la fantasia. Il regista Todd Field attraverso il biopic della direttrice d’orchestra Lydia Tar, che pare essere ispirato alla storia di Marin Alsop, ha voluto porre il focus sul potere, che spesso esalta, ma allo stesso tempo fagocita, portando a condotte nefaste, piuttosto che etiche. Lei che rapporto ha con il successo?Non so cosa sia il successo. Sono un musicista e solo quando leggo il mio curriculum mi rendo conto di quanto ho fatto sino ad oggi, – ci racconta questo abbassando lo sguardo quasi a voler sottolineare la profonda distanza che a volte può esserci fra la persona e il personaggio – non penso mai di aver raggiunto risultati straordinari. Posso dire di essere stato molto fortunato, di aver realizzato il mio sogno e di continuare a viverlo. Il film su Lydia Tar è una fiction. I direttori d’orchestra che dirigono a quel livello, sono più semplici di quello che si crede”.

Entrando nella sua sfera più privata proviamo a chiedere se c’è un luogo speciale fuori dall’Italia che può definire casa gli occhi si illuminano e non ci sono dubbi che il suo posto speciale lo abbia davvero trovato “Oh sì, Madrid! Sono il Direttore Ospite Principale del Teatro Real e dalla stagione 2025/2026 ne sarò il Direttore Emerito. Lì mi sento veramente a casa, quando non sono a Corsanico, ovviamente! (il piccolo borgo in provincia di Lucca dove ha vissuto appena sposato e dove trascorre le sue vacanze). La città è veramente speciale. Io e mia moglie – che confida di volerla sedurre ogni singolo giorno – ci siamo trasferiti lì, dove passiamo la maggior parte del tempo, e ne siamo entusiasti! Quando siamo in altre città, pensiamo alla nostra casa a Madrid e ne sentiamo nostalgia!”.

Proviamo a chiedere pur immaginando la risposta.

Per intraprendere questo “mestiere” è fondamentale avere talento o può essere sufficiente una buona preparazione?Purtroppo, occorre talento. Ovviamente è necessaria anche un’ottima preparazione, ma senza il supporto del dono che viene “non si sa da dove”, è impossibile proseguire una carriera artistica o in qualunque altro campo! Il talento, ahimè, non fa parte delle cose che si imparano”.