Inflazione, salari e scioperi: cosa sta succedendo in Italia e in Europa

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Inflazione, salari e scioperi: cosa sta succedendo in Italia e in Europa


Nel nostro Paese nel 2022 l’inflazione è cresciuta dell’8,1%, le retribuzioni sono ferme al 1990. Intanto per carovita e pensioni in Gran Bretagna e Francia esplodono le proteste.

 “Il divario tra la dinamica dei prezzi e quella delle retribuzioni contrattuali è salito a 7,6 punti percentuali, raggiungendo il valore più elevato dal 2001, primo anno di diffusione dell’indicatore dei prezzi armonizzato a livello europeo”. Questo è quanto rilevato dall’Istat che ha analizzato il 2022 sotto l’aspetto delle retribuzioni e dei prezzi di mercato in relazione al caro vita. Infatti, “l’intensa stagione contrattuale ha portato al recepimento di 33 contratti collettivi e la crescita delle retribuzioni contrattuali è stata, nella media dell’anno, pari a +1,1%”. Di certo un dato che non può lasciare indifferenti. 

Inflazione all’8% nel 2022

Nel 2022 l’inflazione è cresciuta mediamente con una percentuale che si aggira intorno all’8,1%, ma non per questo le retribuzioni sono aumentate, anzi. 

I salari aumentano dell’0,3% in trent’anni 

Secondo i recenti dati dell’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in Italia i salari dei lavoratori dal 1990 sono cresciuti soltanto dello 0,3%. Dunque da oltre 30 anni sono praticamente in stallo nonostante il caro prezzi e la crescita esponenziale dell’inflazione. 

Proprio per questo motivo negli ultimi anni è sempre più forte il continuo riferimento al cosiddetto salario minimo garantito, ovvero alla retribuzione base stabilita per legge spettante ad ogni lavoratore in base alla propria categoria. Come sappiamo, in Italia ancora non esiste una norma che disciplini i rapporti di lavoro in questo senso. 

Il salario minimo garantito in Europa

Finora nell’Unione Europea sono soltanto 21 dei 27 Stati membri ad aver introdotto il salario minimo; i Paesi in cui ancora non si è provveduto ad ovviare a questa riforma sono, oltre l’Italia, la Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia, dove i salari sono disciplinati dai contratti collettivi nazionali. Del resto, l’ultimo dato rilasciato dall’Istat cade proprio nelle settimane in cui il Regno Unito lotta per l’adeguamento dei salari e il miglioramento delle condizioni lavorative con continui scioperi e mobilitazioni anche se non è l’unico. Infatti, anche la Francia è alle prese con scioperi e manifestazioni che bloccano l’intero Paese contro la riforma delle pensioni. Vediamo nel dettaglio cosa sta succedendo nei vicini Paesi europei. 

Perché si sciopera in Inghilterra

Dai recenti sondaggi è emerso che per la maggior parte dei britannici la Brexit abbia peggiorato la qualità della vita. Del resto, il cambio di tre premier nel giro di qualche anno (Boris Johnson, Liz Truss e l’attuale incaricato Rishi Sunak) non ha di certo aiutato. Il caro prezzi, l’aumento dell’inflazione e la crisi energetica hanno alzato al 22 % la soglia della povertà della popolazione, accrescendo così il malcontento sfociato in scioperi e manifestazioni per adeguare i salari al caro inflazione. 

Da metà dicembre il personale sanitario, il mondo dei trasporti, i lavoratori delle poste e dei controlli aeroportuali stanno bloccando il Paese e la protesta sembra non arrestarsi. Le principali città del Regno Unito, Londra in testa, sono state scenario di manifestazioni contro questa instabilità non solo economica, ma anche politica che si riflette nella crisi che la Nazione sta vivendo. 

Secondo i dati del British Retail Consortium nel dicembre 2022 i soli prodotti alimentari hanno toccato una soglia dell’inflazione pari al 13,3 %. Ma c’è di più. Una recente indagine condotta dal Financial Times ha prospettato come gli inglesi dovranno essere pronti ad affrontare una grave recessione nei prossimi anni e come le famiglie pagheranno il prezzo più alto. Ma invece di risposte concrete, il governo britannico sta mettendo a punto delle norme che limitino il diritto allo sciopero e il blocco del Paese, affermando che gli aumenti salariali renderebbero allo stesso modo alta l’inflazione in maniera cronica. Il popolo, però, continua per la propria strada e anche i sindacati sono schierati in suo favore, ritenendo che i lavoratori non debbano pagare loro il prezzo del caro vita. Molti lavoratori, in testa infermieri e insegnanti, stanno difatti lasciando il posto di lavoro demotivati dalle prospettive future e dal peggioramento in vita.

Perché si sciopera in Francia

Anche la Francia non sta di certo vivendo uno dei suoi periodi più rosei. Stessa lotta, ma di diversa natura. E’ ormai da un po’ che si vocifera di una riforma delle pensioni che vuole aumentare l’età per poter lasciare il lavoro dagli attuali 62 anni a 64. Proprio per questo i sindacati il 19 gennaio 2023 hanno mobilitato più di un milione di francesi con una grande manifestazione nel cuore di Parigi e nelle principali città del Paese, in particolar modo radunando lavoratori nel settore pubblico e privato. Alla recente dichiarazione della prima ministra Elisabeth Borne secondo cui l’innalzamento a 64 anni dell’età pensionabile non è “più negoziabile”, i sindacati hanno risposto promettendo un ulteriore grande manifestazione nei prossimi giorni richiamando con loro molte più persone della precedente occasione. In questo senso, infatti, sono stati già dispiegati 11.000 poliziotti e gendarmi in tutto il Paese per garantire l’ordine pubblico.


Ma se nel 2019 la proposta di riforma era stata rimandata dal presidente Emmanuel Macron, data la grande ondata di Covid-19, questa volta invece sembra non voler mollare. Ritenendosi d’accordo con le parole della prima ministra, ha infatti spiegato che la riforma previdenziale “è indispensabile, quando la si paragona al resto d’Europa e se si vuole salvare il nostro sistema per ripartizione”. Il 6 febbraio è prevista la decisione in plenaria all’Assemblée Nationale: sebbene il governo sia fermo sulla propria decisione, tra scioperi e opposizione la strada sembra tutta in salita.