Iran, il blocco di Internet per silenziare le proteste

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Iran, il blocco di Internet per silenziare le proteste

Dopo la morte di Mahsa Amini le manifestazioni in Iran contro l’uso obbligatorio dello hijab sono esplose e, mentre il governo iraniano blocca internet, in sostegno delle proteste si schierano anche gli hacker.

Il velo si toglie, si brucia, lo si lancia via e nel frattempo ci si taglia una ciocca di capelli. Questi i gesti di libertà delle donne iraniane che da mesi, insieme agli uomini loro alleati, compiono per le strade e le piazze ininterrottamente ogni ora e ogni giorno, per combattere un regime dittatoriale che impone al paese condotte e principi religiosi fondamentalisti che i cittadini e le cittadine iraniane non vogliono più accettare. 

Sopprimere il dissenso è la prima regola dei regimi

Il gesto delle donne iraniane di togliersi il velo si replica in continuazione, ed è stato ripetuto anche durante il funerale di Mahsa Amini, giovane curda di 22 anni, morta nell’ospedale di Teheran il 16 settembre dopo tre giorni di coma dopo essere stata arrestata per aver indossato in modo improprio lo hijab. 

La lotta del popolo iraniano è un atto di amore verso la libertà, ma qui non si combatte un nemico esterno, un invasore; il nemico in questo caso è interno, un frutto nato da quella stessa terra, una terra che vuole dire basta e che ha il diritto di cambiare.

Se da una parte abbiamo i cittadini che si oppongo al regime e chiedono che le loro libertà di pensiero siano rispettate, dall’altra abbiamo il governo che attua la soppressione e prova a zittire i manifestanti usando qualsiasi metodo: sparando sulla folla (molto usati sono i proiettili di metallo), incarcerando (in questo caso anche cittadini stranieri), e torturando o giustiziando coloro che il regime ritiene dissidenti. Iran Human Right ha stimato che al 17 ottobre il numero dei manifestanti uccisi è non meno di 215 persone, una cifra che sicuramente nel frattempo è aumentata.  

Il blocco di internet: l’arma usata dal governo per limitare le manifestazioni

Il governo sta però attuando anche un altro tipo di soppressione, decisamente più invisibile, mi riferisco al blocco di internet. Come già spiegato in un precedente articolo, le proteste hanno origine dal passaparola che avviene tramite i social network, raggiungendo un elevatissimo numero di persone che così si possono organizzare e radunarsi Per questa ragione interrompere la connessione internet è un’arma usata per evitare che le persone comunichino tra di loro, auspicando che le proteste si disperdano e che non se ne formino dinuove. Una pratica, questa, divenuta consueta per il governo iraniano specialmente in concomitanza di disordini civili. 

Come si può notare dai vari siti di organizzazioni che monitorano internet, tra cui NetblocksCloudflare e l‘Open observatory of network Interference, in Iran da metà settembre, ovvero dopo la morte di Amini a cui coincide un’intensificazione delle proteste, si sono verificate sostanziose interruzioni del funzionamento della rete internet, e non sono mancati blackout anche di grandi fornitori quali Irancell, Rightel e Mci.

Ma non sono stati gli unici blocchi: la censura è stata attuata anche verso Instagram e WhatsApp. In un contesto dove quasi tutti i social network e le app di messaggistica sono vietati o altamente sorvegliati,limitare l’accesso anche ai pochissimi canali rimasti significa letteralmente isolare la popolazione.

C’è però chi come l’account Instagram 1500tasvir non smette di diffondere video che mostrano le violenze e le repressioni subite dai manifestanti, o i gesti di rivolta, come togliersi il velo, e gli inni di libertà intonati delle donne iraniane. Il profilo, gestito da attivisti, è nato a seguito delle proteste del 2019 che insorsero in Iran contro l’aumento del carburante, e che anche in quel caso il governo provò a reprimere, attuando il blocco di internet e limitando alle informazioni di circolare. 

Gli hacker arrivano in sostegno dei manifestanti

A sostegno dei manifestanti iraniani compaiono anche gli hacker. Eclatante è stata l’azione dimostrativa di Edalat-e Ali, gruppo contro il governo iraniano, che l’8 ottobre ha interrotto il telegiornale di stato facendo comparire l’immagine dell’Ayatollah Seyyid Ali Khamenei avvolto tra le fiamme e con un bersaglio sul volto, con accanto inserite le foto di Hads Najafi, Nika Shahkarami, Sarina Esmailzadeh e Masha Amini, ragazze uccise il mese scorso a seguito degli scontri con le forze di sicurezza, seguite dal messaggio: «Il sangue della nostra giovinezza gocciola tra i tuoi artigli».

La stessa organizzazione hacker nel 2021 aveva diffuso documenti con lo scopo di denunciare gli abusi sui prigionieri nella prigione di Evin a Teheran, mentre lo scorso agosto hanno violato i sistemi di sicurezza delcarcere Ghezel Heassar situata nella città di Karaj, a nord di Teheran, hackeraggio che, anche in questo caso, è servito per rendere pubbliche le disumane condizioni in cui i detenuti sono costretti a stare. 

Edalat-e Ali non sono soli ad affiancare gli iraniani nella loro lotta, anche Anonymous ha reso inaccessibili siti istituzionali e di informazione iraniani vicini al governo all’interno di quella che è stata definita come OpIran: operazione, oramai divenuta internazionale, avente l’obiettivo di sostenere il popolo iraniano e aiutarli nell’aggirare la censura e i numerosi blocchi di internet