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Semiconduttori, arriva il Chips act europeo, mentre la Cina governa la produzione mondiale

Nel 2020 mille miliardi di microchip prodotti nel mondo, circa 130 per abitante

di Salvatore Baldari

In un nostro articolo di aprile 2021, ve l’avevamo presentata come la sfida commerciale del prossimo decennio. E non avevamo tutti i torti. Con la nuova misura presentata da Ursula von der Leyen martedì 8 Febbraio, anche l’Unione Europea vi prenderà parte. E non più da semplice spettatrice.

Il riferimento è al giornalisticamente ribattezzato “Chips Act”, un piano di investimenti da 43 miliardi di euro sino al 2030, per portare il Vecchio Continente in una condizione di sovranità tecnologica e ad affermare la leadership europea nel digitale.

Ve lo avevamo anticipato proprio in quell’articolo, ma adesso, a nove mesi di distanza, abbiamo la possibilità di presentarvi concretamente il contenuto del piano.

Che cos’è il Chips Act

Il “Chips Act” si pone il traguardo di raddoppiare, entro la fine del decennio, l’ingerenza europea nel mercato dei semiconduttori, arrivando ad una quota del 20%.

Il piano è alimentato dagli stanziamenti di programmi precedenti come Horizon Europe e Digital Europe, per favorire un ecosistema di investimenti che riguardi la filiera totale, dalla ricerca, al design, dei microchip, sino all’assemblaggio e al packaging.

Il Chips Act comprende una serie di misure sulla condivisione e l’accesso agli strumenti di progettazione e sperimentazione, sui modelli di certificazione di chip efficienti sotto il profilo energetico. Si dedica a sostenere le start-up nella microelettronica, agevolando l’accesso ai finanziamenti in grado di condurle verso una maturazione delle loro innovazioni. Il fondo dedicato includerà anche uno strumento per gli investimenti in equity nell’ambito di InvestEU per aiutare le scale-up e le PMI a espandersi gradualmente sul mercato.

Non da ultimo si propone di risolvere la carenza di competenze, sostenendo percorsi formativi.

La dotazione complessiva sarà di 43 miliardi euro, ripartita secondo tre aree di intervento: dodici miliardi (di cui sei a carico degli Stati membri) per la ricerca, trenta miliardi per attrarre le aziende, cinque miliardi per incoraggiare il venture capital. Componente imprescindibile della misura è un allentamento dei vincoli sugli aiuti di Stato, così da consentire ai players del settore di ricorrere alle risorse pubbliche.

Fra le righe del Chips Act è presente anche un meccanismo di coordinamento tra gli Stati membri e la Commissione per monitorare la domanda e prevedere le carenze.

Cosa sono i semiconduttori

Non fa mai male ribadire di cosa stiamo parlando e qual è la funzione dei semiconduttori.

In maniera molto elementare, potremmo definirli quei microchips che permettono il funzionamento di quasi la totalità degli oggetti e dei sistemi di comunicazione alla base dell’economia odierna e della nostra vita quotidiana. Dagli smartphone alle auto e alle moto, dagli elettrodomestici ai sistemi di gestione aziendale, i data center, le console, il cloud e l’internet of things.

Se si prende in considerazione il solo anno solare 2020, sono stati fabbricati oltre mille miliardi di microchip nel mondo, circa 130 per ogni abitante presente sul globo.

Ciononostante si sono rivelati insufficienti al fabbisogno, al punto tale che molte aziende si sono ritrovate costrette a ridurre o sospendere le proprie produzioni.

È il caso della filiera automobilistica che ha rallentato i propri ritmi fino al 30%.

Chips, chi sono i leader mondiali

Attualmente l’Europa è dipendente dalle forniture provenienti, soprattutto, dal Sud-est asiatico. Le produzioni principali a livello mondiale si concentrano a Taiwan e in Cina, che realizzano in conto-terzi i chips, disegnati altrove.

La crisi globale dei semiconduttori ha avuto origine con lo scoppio della pandemia, durante la quale le proiezioni di vendita da parte delle case automobilistiche erano più prudenziali rispetto a ciò che poi si è effettivamente verificato sul mercato. L’enorme richiesta di nuovi dispositivi tecnologici, per far fronte ai rinnovati stili di vita imposti dai vari lockdown, messi insieme alle carenze di materie prime come il silicio e i  cambiamenti climatici che hanno limitato l’approvvigionamento di acqua, hanno fatto il resto. Il tutto inserito in un clima di forti tensioni geopolitiche, fra blocchi contrapposti del mondo.

Questi fattori hanno spostato i volumi e la domanda di semiconduttori, per i quali i produttori lavorano rinegoziando regolarmente il contratto col fornitore, così da avere sempre il magazzino vuoto e contenere i costi di logistica.

Basti citare un’analisi secondo cui le scorte presso gli utilizzatori si sono ridotte dai quaranta giorni del 2019, ai cinque giorni nel 2021.

In questo contesto schizofrenico si comprende la strategicità del Chips Act, un vero e proprio atto di politica industriale che fa sponda con una mossa simile, in cantiere negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Biden ha sottoposto al Congresso un piano da 52 miliardi con le stesse finalità di quello europeo, tuttavia impantanato alla Camera da diverse settimane.

La risposta degli Stati Uniti e dell’Europa, di fronte alla crisi dei semiconduttori si consolida, pertanto, in due impulsi legislativi simili fra loro, imperniati su incentivi pubblici, finalizzati ad attrarre gli investimenti delle principali imprese del settore, che oggi programmano smisurate spese per fronteggiare l’espansione del mercato.

La strategia europea per i semiconduttori

Senza forse rendercene conto, dipendiamo ormai dai semiconduttori.

Il Chips Act è pertanto un’azione per rendere i cittadini europei autonomi nelle infrastrutture tecnologiche e riequilibrare la gestione dell’intera filiera, riuscendo anche a diventare terreno fertile per investimenti privati, in grado di generare occupazione e sviluppo sui singoli territori.

È il caso dell’americana Intel, unico produttore mondiale in grado di tener testa allo strapotere asiatico nella fabbricazione di microprocessori, che come vi avevamo anticipato in un altro nostro recente articolo, ha puntato l’Europa per un progetto di investimento da oltre ottanta miliardi di euro.

Proprio il Ceo Intel, Pat Gelsinger ha commentato positivamente la misura presentata dal Presidente Von der Loyen definendola un “ottimo intervento.”

Naturalmente, anche l’Italia spera di poter essere della partita e frequenti sono stati i contatti fra il colosso della Silicon Valley ed i nostri rappresentanti di Governo.

Governo, che tra l’altro, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha già destinato 850 milioni per realizzare a Catania un insediamento della italo-francese Stmicroelectronics.

Tanti segnali che messi insieme, descrivono una vera e propria strategia politica e raccontano di una consapevolezza forte da parte di tutti i Governi europei, pronti a ricorrere a qualsiasi strumento normativo e fiscale, pur di salvaguardare un settore ritenuto funzionale allo sviluppo auspicato.