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Intel, la partita dei semiconduttori si può giocare in Italia

di Salvatore Baldari

Trasformare l’Italia, sempre più, in una gigafactory e renderla una protagonista imprescindibile del percorso di autonomia digitale europea, può diventare un’ambizione percorribile e concreta.

Stando a delle indiscrezioni di stampa dell’agenzia Reuters, il Governo italiano avrebbe avviato una intensa trattativa con il colosso tecnologico americano Intel, per far rientrare il nostro Paese nel maxi-investimento della società in programma per l’Europa.

Intel è fra le aziende leader a livello mondiale, nella lavorazione del silicio e nella realizzazione di semiconduttori, ovvero dei microchip, presenti in qualunque dispositivo tecnologico, di cui sono il motore vero e proprio di ogni loro specifica funzionalità.

Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da una drammatica carenza di questi semiconduttori, dovuta a fattori strettamente collegati a logiche di domanda e offerta, quanto alla penuria di materie prime e, soprattutto a dinamiche puramente geopolitiche. I primi produttori al mondo di semiconduttori, infatti, si trovano sull’altra sponda del Pacifìco e la tensione commerciale, inaugurata dall’amministrazione Trump, non ha di certo favorito l’approvvigionamento dei componenti.  

In un mondo sempre più digitalizzato, la carenza di semiconduttori assume le proporzioni di un dramma. Ne sa qualcosa, ad esempio, l’industria automobilistica costretta a dover interrompere le produzioni, per lunghi periodi, nell’ultimo anno, proprio a causa della crisi globale dei chip.

E non è un caso che diversi analisti internazionali, abbiano già definito i semiconduttori, come l’oro dei nostri giorni.

Semiconduttori, Usa e Ue insieme per limitare la dipendenza asiatica

È qui che si gioca la guerra commerciale del prossimo decennio. Anche per questi motivi, la nuova amministrazione Biden ha deciso di incentivare la produzione domestica di semiconduttori, stanziando almeno 50 miliardi di dollari al settore e attivando una serie di interlocuzioni con le principali corporations. Anche l’Unione europea, nel piano “2030 Digital Compass” prevede che entro la fine del decennio l’Europa sarà in grado di produrre il 20 per cento dei semiconduttori, integrando le risorse del NextGenerationEu.

I nostri lettori più affezionati ricorderanno come il nostro giornale si rivelò uno dei più attenti su questa tema e già approfondimmo lo scenario cui andavamo incontro, in una inchiesta pubblicata il 24 Aprile.

In questo contesto, l’amministratore della Intel, Pat Gelsinger ha recentemente incontrato il Commissario Europeo Breton, per manifestargli il suo ambizioso progetto: raggiungere entro il 2030 la metà della produzione mondiale di semiconduttori, fra Usa ed Ue, così da poter definitivamente limitare la dipendenza dai prodotti asiatici e migliorare la situazione globale delle scorte.

Il piano di investimento di Intel tocca i cento miliardi di euro, per due impianti da realizzare nel territorio europeo, di cui uno sicuramente sorgerà in Germania, a Dresda, già cuore pulsante dell’industria europea di chip, sede di altre eccellenze del settore dalla Infineon, alla Global Foundries. Per l’altro sito, invece, come si diceva in apertura, sono intensi i contatti fra l’azienda e il Governo italiano, che sarebbe disposto a mettere sul tavolo una serie di incentivi, da un minimo di 4 miliardi di euro, pur di vederlo realizzare lungo la Penisola. La partita è aperta e, certamente, Spagna, Polonia e la stessa Germania non stanno a guardare. I retroscena raccontano di un esecutivo già al lavoro da diverso tempo su questo delicato dossier, lontano dai riflettori. Lo stesso Draghi avrebbe ricevuto a Palazzo Chigi, nel mese di luglio, il Ceo Intel e, proprio degli incontri ulteriori, si sarebbero svolti direttamente nella Silicon Valley, questa volta con il Ministro Giorgetti, nel corso della sua recente trasferta statunitense.

I numeri di Intel 

Il player californiano, per questo secondo impianto, che si occuperà prevalentemente di testing e packaging, necessita di un’area libera di 350 mila metri quadrati, senza dover ricorrere a bonifiche e ristrutturazioni di impianti esistenti.  

Un impatto economico sul territorio interessato, stimato in almeno mille posti di lavoro, in grado di generare nell’arco di dieci anni, valori aggiunti diretti e indiretti da 100 miliardi di dollari.

Il Governo italiano si è promesso di presentare l’offerta ufficiale entro la fine di quest’anno, ma le voci già iniziano a rincorrersi e già si fanno largo le prime grandi esclusioni.

La stessa Intel, infatti, non sarebbe rimasta soddisfatta dal dossier inoltrato dalla Regione Piemonte per ospitare il sito nell’area Mirafiori di Torino, individuandovi diverse criticità e incompatibilità. A questo punto, la short-list italiana si riduce al Veneto, alla Puglia e alla Sicilia. Considerando, però, che quest’ultima, beneficerà degli 850 milioni di euro stanziati dal Pnrr, per realizzare a Catania l’impianto della italo-francese Stmicroelectronics, sembra ormai essere di fronte ad una corsa a due.

E, proprio sulla Stm, è necessario aprire una opportuna parentesi che meglio aiuta a comprendere le dimensioni dell’argomento che stiamo trattando.

Nel bilaterale fra i Ministri per lo Sviluppo Economico di Italia e Francia avvenuto, il 27 ottobre, è stato sancito un patto di ferro fra i due Governi per sostenere, con tutti gli sforzi del caso, questo gruppo franco-italiano che produce microchip di alta qualità nei siti di Grenoble e, appunto, presto anche a Catania, oltre ad un altro sito in progetto ad Agrate Brianza, in Lombardia.

E, soltanto alcune settimane prima, nel corso del Consiglio informale sulla Competitività di Lubiana, il Ministro Giorgetti aveva lanciato un appello alla Commissione Europea, invocando un inequivocabile revisione delle regole fiscali: “Serve una riflessione sulla compatibilità tra sovranità tecnologica e aiuti di Stato”.

Un tassello di un grande puzzle che descrive una vera e propria strategia politica, se riannodando i fili del tempo, torniamo al 9 aprile, quando nel corso di una conferenza stampa il Presidente del Consiglio Draghi annunciò di aver ricorso al golden power per arginare l’acquisizione del 70 per cento dell’azienda italiana Lpe, impegnata nello sviluppo di reattori necessari a produrre semiconduttori, da parte di una holding cinese.

Tanti segnali che messi insieme, raccontano di una consapevolezza forte da parte di tutti i Governi europei, pronti a ricorrere a qualsiasi strumento normativo e fiscale, pur di salvaguardare un settore ritenuto funzionale allo sviluppo auspicato.  

Puglia e Veneto sarebbero tra le candidate a ospitare lo stabilimento 

L’insediamento Intel in Italia permetterebbe, ancora di più ai nostri territori, di agganciarsi alle sfide globali del futuro, con un ruolo da assoluto protagonista, in uno nei settori-chiave dell’economia. In piedi rimangono le candidature del Veneto e della Puglia.

C’è da dire che la fabbrica Intel in Puglia, sarebbe un passo inequivocabile e coerente, verso l’annunciato impegno del Governo per il rilancio del Sud Italia, a fronte di un riequilibrio della industrializzazione con il Settentrione del nostro Paese.

Ma nulla di meglio che un dossier di proposta territoriale puntuale, competitivo e funzionale agli obbiettivi dell’azienda, sarebbe la chiave per poter risolvere in maniera trasparente ed inappellabile, questo rebus.

Mai come oggi, pare opportuno lasciarsi con le stesse parole di chiusura del nostro approfondimento del 24 Aprile: la nuova corsa all’oro, alla ricerca della sovranità digitale, insomma, è appena cominciata.