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Sogni la tua Play Station 5 e ti ritrovi in un intrigo internazionale

È caccia aperta ai semiconduttori, in tutto il mondo 

di Salvatore Luigi Baldari

Il 19 Novembre 2020, con una solo settimana di ritardo dal lancio negli Stati Uniti, è arrivata anche in Italia, la Play Station 5. Una saga romantica che ti ha rapito da bambino e che ti accompagnerà sino alla vecchiaia, offrendoti prestazioni sempre più realistiche e coinvolgenti.

Eppure, ad oggi, navigando fra le principali piattaforme di e-commerce, la console risulta ancora non disponibile. Così, bardato dall’immancabile mascherina, mi sono recato in uno dei più forniti punti vendita di elettronica del mio territorio. Ma, anche lì, la commessa mi ha confermato l’indisponibilità del prodotto. La PS5 introvabile. Un sogno che si è infranto.

Traumatizzato, sono andato a cercare spiegazioni su Internet. Ed è stato allora che il mistero si è infittito.

Oltre alle difficoltà di Sony per la console, c’è Apple che ha riprogrammato la produzione dei nuovi MacBook e iPad, pur di salvare il lancio del nuovo iPhone13, previsto per l’autunno. Samsung, invece, ha rimandato il lancio del nuovo Note. Ma, l’impatto più rovinoso si avverte soprattutto nel settore dell’automotive.

Ford ha dovuto ridurre del 20% la produzione di auto nel primo trimestre. Stellantis ha sospeso le attività in almeno cinque impianti fra Usa, Messico e Canada. General Motors ha dimezzato le capacità di due stabilimenti in Corea. Si stima che il 2021 dovrebbe comportare un crollo di 61 miliardi di dollari per l’intero settore, settore automotive che storicamente ha sempre rappresentato un po’ il termometro dell’economia più in generale.

Senza neanche saperlo mi sono ritrovato ad essere un ingranaggio di trame geopolitiche, crisi globali, supremazie strategiche. Dalla PS5 alla sfida commerciale del prossimo decennio, il passo è breve. Molto breve.

Ma, esattamente, cosa è successo?

Tutte queste aziende accusano la mancanza di componenti essenziali per la realizzazione dei prodotti, in particolare, di semiconduttori. Si tratta di microchip, presenti in qualunque dispositivo tecnologico, di cui sono il motore vero e proprio di ogni loro specifica funzionalità.

A provocare questa crisi è stata naturalmente l’emergenza pandemica che attraverso i lockdown ha innescato un cambiamento negli stili di vita di centinaia di milioni di persone. Smart working e didattica a distanza hanno aumentato la domanda di dispositivi elettronici, sempre più performanti. Le aziende produttrici di dispositivi tecnologici hanno così aumentato enormemente le proprie forniture di componenti, anche in previsione delle future produzioni. Dal canto suo, l’industria dei semiconduttori, avvezza a lavorare limitando le giacenze di magazzino per contenere i costi, si è ritrovata a indirizzare le proprie fornitura verso le aziende tecnologiche.

Va considerata anche la complessità necessaria a produrre questi semiconduttori, dovuta a tecniche di estrema precisione, utilizzo di metalli sensibili e di una enorme quantità di acqua, il tutto in ambienti altamente sterilizzati e con costi notevoli, laddove 1 semiconduttore su 10 viene statisticamente scartato al termine della catena di produzione. Le case automobilistiche, invece, con l’inizio della pandemia, avevano previsto un mercato in calo per il proprio business, sospendendo così l’approvvigionamento di semiconduttori.

Tuttavia, il terzo trimestre 2020 ha riservato una sorprendente esplosione per il mercato a quattro ruote, ma a quel punto, i produttori di semiconduttori non erano più in grado di soddisfare le nuove esigenze dell’automotive. All’emergenza pandemica, si sono poi andate a sovrapporre altre contingenze, strettamente connesse all’epocale fenomeno dei cambiamenti climatici.

A Taiwan, infatti, sede di Tmsc, il primo produttore al mondo di semiconduttori, si è verificata, negli ultimi mesi, la siccità più importante, registrata nell’ultimo secolo. In Texas, invece, dove sorge uno stabilimento della sudcoreana Samsung, secondo produttore al mondo di semiconduttori, una tempesta di neve ha costretto ad interrompere le attività. La compagnia Renesas, poi, in Giappone, si è ritrovata devastata da un terremoto.

Ad una lettura neanche troppo attenta emerge come la produzione di un componente così determinante per lo stile di vita moderno sia soggetta ad estrema fragilità e concentrata in poche società asiatiche.

Con l’avvento del 5G e dell’Internt of Things, nei prossimi anni tutti i dispositivi tenderanno a diventare sempre più computerizzati e la strategicità dei semiconduttori sarà sempre più condizionante. Non soltanto console, smartphone ed autovetture, ma anche elettrodomestici, apparecchiature sanitarie e militari. Niente di tutto ciò può e potrà farne a meno. È per questo che alcuni analisti già hanno definito i semiconduttori l’oro dei nostri giorni. La crisi dell’industria dei semiconduttori si incastra alla perfezione nella guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, il cui impatto ha già sconvolto molte catene produttive globali. Gli Stati Uniti ospitano i più importanti venditori mondiali di chip, da Intel a Bmd, sebbene non protagonisti nella fabbricazione materiale, in quanto non dispongono delle fonderie necessarie, esternalizzate sulla sponda opposta del Pacifico. E dopo l’embargo imposto da Donald Trump nei confronti delle aziende cinesi, Taiwan diventa ancor più indispensabile. In questo contesto, il ruolo della Cina, in grado di poter bloccare le rotte navali da Taiwan e dalla Corea del Sud, rende notevolmente più a rischio il rifornimento americano dei componenti. Anche per questi motivi, la nuova amministrazione Biden ha deciso di incentivare la produzione domestica di semiconduttori, stanziando almeno 50 miliardi di dollari al settore e attivando una serie di interlocuzioni con le principali corporations. Anche l’Unione europea, nel piano “2030 Digital Compass” prevede che entro la fine del decennio l’Europa sarà in grado di produrre il 20 per cento dei semiconduttori, integrando le risorse del NextGenerationEu. In questo affascinante intrico internazionale, anche l’Italia ha recitato la propria parte. Nella conferenza stampa del 9 Aprile, il Presidente del Consiglio Draghi ha annunciato, infatti, di aver ricorso al golden power per bloccare l’acquisizione del 70 per cento dell’azienda italiana Lpe, impegnata nello sviluppo di reattori necessari a produrre semiconduttori, da parte di una holding cinese. La nuova corsa all’oro, alla ricerca della sovranità digitale, insomma, è appena cominciata.