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A passo di tartaruga

La norma essenziale per lo sviluppo del 5G è stata stralciata dal decreto “Asset & Investimenti”, licenziato da Giorgia Meloni e dal suo Gabinetto pochi giorni fa.

Niente da fare, ancora una volta, per quel tanto atteso passo in avanti verso lo sviluppo della rete 5G in Italia.

Il tavolo delle grandi occasioni era apparecchiato per il Consiglio dei Ministri di lunedì 7 agosto, ma nel decreto “Asset & Investimenti” licenziato da Giorgia Meloni e dal suo Gabinetto, la norma essenziale per lo sviluppo del 5G è stata stralciata, rinviando tutto a data da destinarsi. Nulla di nuovo per il nostro Paese, abituato ad affrontare i problemi difficili con l’arma infallibile del rinvio.

Così era stato anche nella precedente legislatura, quando le pressioni in tal senso del Ministro alla Transizione Digitale Vittorio Colao si infransero contro l’ostilità del suo collega allo Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti.

I limiti dei campi magnetici, standard europei

Sul piatto c’era la norma che dava 120 giorni di tempo per adeguare agli standard europei i limiti dei campi magnetici, che si sarebbe dovuto fare nel rispetto delle più recenti e accreditate evidenze scientifiche, definite dall’ Icnirp (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection).

I limiti stabiliti dall’Italia

Il limite che l’Esecutivo ha preso in considerazione sarebbe di 24 volt per metro, comunque più basso del valore indicato dalla Raccomandazione n.519 del 1999 del Consiglio Europeo, pari a 61 volt per metro. Una raccomandazione sottoposta a revisione scientifica ogni quattro anni e sempre convalidata.

Tutto sulla carta, perché, attualmente, mentre il resto dei Paesi europei può permettersi di dare slancio alla transizione digitale, noi continuiamo a zoppicare con il nostro limite stabilito dalla Legge-quadro 36 del 2001, di 6 (sei) volt per metro.

Dovrebbe far riflettere che fra i Paesi che hanno adottato il limite massimo europeo ci siano i portabandiera dell’ecologismo come Svezia, Finlandia, Danimarca, imitati da tutti gli altri più importanti della comunità.

Dalle nostre parti, invece, soltanto parlare di adeguamento dei limiti significa ritrovarsi bersaglio degli attacchi da parte di ambientalisti e sciamani della salute.

Metterci al passo dei parametri europei è fondamentale, non soltanto per favorire i progressi tecnologici nel nostro Paese, ma sarebbe un tassello indispensabile per l’intera Ue a raggiungere gli obbiettivi prefissati dall’agenda digitale 2030, rappresentando noi la terza economia comunitaria.

Transizione digitale, siamo una “tartaruga”

Invece di accelerare, continuiamo a procedere con passo errabondo nel deserto dell’immobilismo, pur di non assumerci le nostre responsabilità, portandoci a spasso il nostro 18° posto su 27 nella graduatoria dell’indice Desi (European Digital Economy and Social Index), che monitora, più in generale, la condizione dei Paesi europei a proposito di transizione digitale.

Il tutto avviene in uno scenario di surreale silenzio, con le nostre imprese che negli scorsi anni hanno dovuto sostenere importanti investimenti per ottenere le licenze 5G ed ora si ritrovano sospese nel nulla, a dover pagare i danni di un gap infrastrutturale di cui non sono colpevoli.

La revisione dei limiti elettromagnetici è necessaria per permettere lo sviluppo del 5G, l’alternativa sarebbe una inevitabile e paradossale moltiplicazione degli impianti di trasmissione, antenne che emettono quantità di gas climalteranti non proprio trascurabili.

La morale della favola sarebbe presto pronta: per l’opposizione dell’oscurantismo antiscientifico e dell’ambientalismo ideologico ci ritroveremmo con maggior inquinamento, ma almeno i finti ecologisti con i loro smartphone 5G potranno scrivere di aver vinto la propria battaglia.