Giappone, non è più la terza economia del mondo

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Giappone, non è più la terza economia del mondo


La Germania sorpassa il Paese del Sol Levante che certifica la recessione alla fine del 2023.

L’ufficialità è arrivata in settimana, un po’ a sorpresa, anche se tutti i segnali già da tempo andavano in quella direzione: il Giappone non è più la terza economia mondiale.

La Germania è la terza economia

Dopo Stati Uniti e Cina, il gradino più basso del podio è adesso occupato dalla   Germania che pure non se la passa bene, come abbiamo ricordato recentemente. Il sorpasso tedesco ai danni del Paese del Sol Levante è frutto della recessione tecnica, certificata dalla contrazione del Pil dell’ultimo trimestre del 2023, che seguiva lo stesso andamento del precedente trimestre.

Lo yen e il suo deprezzamento 

A determinare la perdita del gradino più basso del podio per il Giappone, in realtà, è soprattutto il forte deprezzamento della valuta nazionale, lo yen, che a differenza dell’euro ha perso molto valore nell’ultimo periodo. Per farla semplice, l’economia giapponese, se misurata in dollari, vale complessivamente meno di quella tedesca.

E questo spiega perché, nonostante il 2023, il Pil di Tokyo abbia fatto registrare un +1,9%, la crescita nominale dell’economia tedesca sia stata comunque più alta.

Quando avvenne il sorpasso della Cina

Il Giappone diventò la seconda potenza economica al mondo nel 1968, prima di vedersi superato a tutta velocità dalla Cina nel 2010 e, da quel momento, ha continuato ad occupare stabilmente il terzo posto.

Affacciatosi relativamente tardi al modello industriale e capitalista, dopo secoli di isolazionismo e una società di stampo feudale, il Giappone entrò nel Novecento affidandosi al settore del tessile e alle esportazioni di tè, seta grezza e piccoli manufatti artigianali, fra cui giocattoli e porcellane.

In quel periodo praticò una feroce politica coloniale nell’Asia orientale e Sud-Orientale, a caccia di risorse naturali, che le permise in poco tempo di affermarsi come potenza industriale, nell’energia elettrica e nell’acciaio.

La svalutazione dello yen, una politica monetaria basata sul pareggio di bilancio e su bassi tassi d’interesse, permisero al Giappone di non subire il contraccolpo della Grande Depressione del 1929 e di dedicarsi ad un imponente piano di riarmo.

Dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, il Giappone uscì con un’occupazione americana affidata al generale MacArtuhr, che impose obblighi di carattere politico e civile, tra cui la rinuncia totale ad ogni tipo di forza militare. Tutti gli sforzi vennero così dedicati alla ricostruzione economica, aiutata da una riforma agraria che permise di impiegare la manodopera agricola in altri settori produttivi.

Su impulso americano, il Governo giapponese introdusse controlli di qualità sulla propria industria manifatturiera che si sarebbe poi rivelata la sua fortuna più grande.  

Con la fine dell’occupazione statunitense suggellata dal Trattato di San Francisco, infatti, il Giappone espanse la propria economia rivolgendosi ai mercati europei e nordamericani, attraverso l’esportazione di mezzi di trasporto e di elettronica di consumo.

Ben presto, nel tecnologico, nella robotica e nei motori il “Made in Japan” si impose a livello globale: fra le prime dieci aziende leader del settore, almeno sette erano giapponesi. Non disponendo di particolari risorse naturali e materie prime, il Sol Levante si affermò come esportatore di beni e prodotti ad alto valore aggiunto.

Uno dei fattori che favorì l’aumento della produttività del Paese, fu senza dubbio la cultura maniacale del lavoro ampiamente diffusa fra dipendenti e manovali di ogni settore.

Che cos’è il Karoshi

Ciascuno di loro sentiva sulle proprie spalle il peso della rinascita economica, auto-imponendosi turni di lavoro insostenibili, andando incontro allo spettro del karoshi, una sindrome drammatica tuttora presente nel Paese, che letteralmente significa “morte per troppo lavoro,” a causa dell’eccessiva fatica, dello stress o addirittura attraverso il suicidio.

Il miracolo economico giapponese andò in frantumi a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, con lo scoppio di bolla speculativa, che segnò l’inizio di un prolungato periodo di stagnazione, ribattezzato “ventennio perduto”.

Per dare nuova vitalità al sistema, le autorità giapponesi decisero di ridefinire la propria offerta nel mondo, capitalizzando al massimo l’immagine iconica di cui godeva ovunque, grazie al fascino e all’unicità della sua cultura popolare.

Attraverso il fondo Cool Japan, si percorse così la strada del soft power per rilanciare la propria economia ed affermarsi a superpotenza culturale, grazie alla notorietà universale dei suoi manga, anime, videogiochi, ma anche bonsai e sushi.

Ancora oggi, la cucina giapponese è la più diffusa al mondo. Pokèmon il franchise più redditizio di sempre. One Piece è il secondo fumetto più venduto di tutti i tempi.

E l’elenco potrebbe continuare a lungo, sebbene nessun altro dato sarebbe emblematico quanto rievocare il Primo Ministro Shinzo Abe, nel 2016 allo stadio Maracana di Rio de Janeiro, travestito da Super Mario, per il passaggio di consegne in vista dei Giochi Olimpici di Tokyo del 2020.

Qualche anno prima di indossare il berretto rosso, Shinzo Abe, fu promotore di una profonda strategia economica, basata sull’espansione monetaria, lo stimolo fiscale e la riforma del sistema previdenziale, passata alle cronache come Abenomics, che aiutò il Giappone a risollevarsi dopo il ventennio perduto.  

La crisi pandemica ha avuto poi l’effetto di contrarre i consumi e incentivare il risparmio, con tassi quasi quadruplicati rispetto al periodo pre-covid.

L’inflazione ha poi eroso il potere d’acquisto delle famiglie, come nel resto del mondo, ma qui, dovuto soprattutto alla debolezza dello yen, con evidenti ricadute sul costo delle importazioni e dunque della vita.

Contrariamente a quanto osservato nel resto del mondo, la Banca Centrale Giapponese non ha reagito con un aumento dei tassi di interesse.

Nonostante le sue fragilità, su tutte il debito pubblico più alto al mondo e l’invecchiamento della sua popolazione, il Giappone resta comunque una economia sviluppata e un presidio fondamentale nel delicato contesto geopolitico dell’Indo-Pacifico.