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Hong Kong, aumenta la censura


In soli undici giorni, passa il provvedimento sulla “Salvaguardia della Sicurezza Nazionale”., contenuto in una sorta di Costituzione locale: è un atto di fedeltà a Xi Jinping.

Per molti decenni, una città-stato di sette milioni e mezzo di abitanti è stata la quarta borsa più importante al mondo. Un luogo magico per i soldi e per i business-man. Solo recentemente la capitalizzazione delle borse indiane, l’ha scalzata dal gradino più alto sotto il podio, ma in realtà il crollo del trading sulla piazza di Hong Kong è in rapido declino già da qualche anno. I locali frequentati dagli uomini d’affari stanno abbassando le saracinesche, molti dei giovani più qualificati decidono di emigrare e quella città-stato un tempo famosa per il mercato azionario, oggi è famosa per le leggi repressive e assomiglia sempre più a una qualunque città della Cina.

I nuovi reati ad Hong Kong

L’ultimo mattoncino è stato posato pochissimi giorni fa, quando il Consiglio legislativo, ovvero il “Parlamento” di Hong Kong ha approvato, con l’unanimità dei suoi ottantanove “deputati”, l’ampliamento della Legge sulla sicurezza nazionale. Nel mirino finiscono i reati di tradimento, sabotaggio, sedizione, furto di segreti di Stato, interferenza esterna e spionaggio, con pene che prevedono anche il carcere a vita. Le definizioni di alcuni di questi reati, nel testo della Legge sono talmente vaghe che diverrà semplice dare l’ergastolo a un qualsiasi dissidente politico. La fine dell’opposizione è stata sancita per la città-stato che tradotta dal cinese significa “porto profumato”. Le libertà e l’autonomia dei cittadini hanno subito un altro, forse fatale, colpo. Le critiche principali infatti sono arrivate dagli osservatori internazionali, pochi erano i manifestanti davanti il Parlamento o per le strade. Tutti gli oppositori sono ormai in carcere o in esilio, da tempo. Il processo di sinizzazione, che la Repubblica Popolare ha forzato nell’ultimo ventennio è ormai quasi ultimato.

La storia di Hong Kong

Hong Kong è stata una colonia britannica dai tempi della Guerra dell’oppio di metà Ottocento fino al 1997, con una breve parentesi di quattro anni di occupazione giapponese, ai tempi del Secondo conflitto mondiale. Stando agli accordi cui presenziò anche l’allora Principe Carlo, dopo che l’ultimo governatore britannico Chris Patten avrebbe lasciato il territorio, Hong Kong sarebbe entrata in una fase di transizione verso l’amministrazione centrale di Pechino, che le avrebbe garantito una certa autonomia per cinquanta anni, ovvero sino al 2047, sancendo la cosiddetta politica del “un Paese, due sistemi”.

Così non è stato.

La protesta degli ombrelli

Già nel 2003, la popolazione locale scese nelle strade per impedire le prime strette sulle libertà personali. Nel 2014, poi, la mobilitazione si organizzò nella “protesta degli ombrelli”, inizialmente utilizzati per proteggersi dai lacrimogeni lanciati dalla polizia, per chiedere di difendere il suffragio universale. Il 2019 è l’anno in cui Pechino ha smantellato l’autonomia giudiziaria dell’ex-colonia, con una Legge speciale sull’estradizione verso la Cina per una varietà di reati. Anche in quel caso le proteste di popolo furono plateali, ma sterili.

La legge sulla sicurezza nazionale

Le misure di contrasto alla diffusione di Covid19 hanno poi dato modo alle autorità di calcare la mano sulla limitazione delle libertà di associazione e di spostamento. Proprio durante i lockdown fu approvata una prima Legge sulla sicurezza nazionale, sulla cui base furono arrestate almeno duecentocinquanta persone, compresi il leader delle proteste studentesche e l’editore del principale quotidiano di opposizione. La riforma elettorale del 2022 ha imposto “candidature patriottiche”, con il risultato che l’attuale esecutivo di Hong Kong, guidato dall’ex poliziotto John Lee, è affiancato da una Assemblea composta da parlamentari filo-cinesi, cui vanno aggiunti quelli della componente non-eletta direttamente nominati dal Partito Comunista di Pechino.

“Salvaguardia della Sicurezza Nazionale”


In questo contesto, dopo anni di falliti tentativi di approvazione a causa delle sempre accese opposizioni nelle istituzioni e nelle piazze, è stato adesso possibile, far passare in soli undici giorni, il provvedimento sulla “Salvaguardia della Sicurezza Nazionale”. Contenuto nell’art.23 della Basic Law, una sorta di Costituzione locale, è un atto di fedeltà a Xi Jinping, che spesso aveva rimproverato le autorità locali per non essere state capaci di promulgarla prima. Un giro di vite definitivo sul controllo della società civile che sino a pochi decenni fa godevano di libertà individuali legalmente garantite mai esistite in Cina. Ma adesso, la città-stato di “porto profumato” si avvia a diventare un luogo caratterizzato da sospetto, intimidazioni e censura, si avvia a diventare semplicemente sempre più cinese.

Riproponiamo anche un’intervista (di @maria-elena-mele) a una cittadina italiana residente a Hong Kong, realizzata nel 2021.