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I cent’anni di solitudine degli afroamericani di Tucker’s Town, alle Bermuda

Per lasciare il posto al più grande campo da golf dei primi del Novecento e al “turismo bianco”, la comunità venne portata via con la forza

di Lorenza Cianci

Si è consumato il centenario di una delle più inascoltate e complesse forme di resistenza che la storia dei primi del Novecento ricordi. Questa storia, forse, non è mai diventata veramente Storia. Era il 23 luglio del 1920, e 24 persone, uomini e donne, tutte afrodiscendenti eccetto uno, apponevano la firma per chiedere che la propria casa e la propria comunità non venissero espropriate. Una firma inutile contro un trasferimento forzoso, senza se e senza ma

Ancora è difficile capire di preciso il modo in cui questa storia sia successa per davvero.

Era una piccola comunità di anime, Tucker’s Town. Per la maggior parte composta da afroamericani, viveva alla foce di Castle Harbour, un porto naturale e una baia, ricca di ambra grigia e famosa per la pesca delle perle. Una piccola parrocchia, quella di St George, una delle nove dell’arcipelago britannico delle Bermuda nel Nord Atlantico. 

Oggi, la nuova Tucker’s Town ha smarrito del tutto la vecchia Tucker’s. Oggi, quell’area, ospita uno dei più importanti campi da golf del mondo, il Mid Ocean Club

Lo storico di origini canadesi McDowall nel suo articolo Trading places su Bermuda magazine, ha descritto la piccola Tucker’s Town vent’anni prima dell’esproprio: «c’erano due chiese, un negozio generale, una scuola, un campo da cricket, un ufficio postale e un cementificio sulla collina alle spalle della chiesa». E, continua, descrivendo la sua gente: «quando il lavoro cessava, gli uomini di Tucker’s Town amavano recuperare un vecchio barile di rum di Frith, farvi scorrere l’acqua e poi sorseggiarlo alla baia, durante una serata a base di zuppa di pesce e gioco di carte». 

Questa è stata Tucker’s Town. Oggi, è una lunga, inascoltata, storia. 

Un incrociatore navale malandato, il Charbdys

Questa storia comincia quando un piroscafo merci decide di trasportare anche persone, borbottando fumo e sventolando bianchi fazzoletti. Imbarca gente a New York e la sbarca alla parrocchia di St George. Il collegamento era settimanale: poco prima della guerra, il piroscafo riuscì a portare a Tucker’s Town molti turisti. E, con essi, una grande ricchezza. Secondo le stime di McDowall, nel 1911, a Tucker’s Town, c’erano più turisti (27mila all’anno) che residenti. 

Ma la Prima guerra mondiale è alle porte. Con essa scoppia l’incertezza. Il piroscafo, prima colmo di gente in fuga dalla trafficata New York e in cerca di pace in una baia di corallo e sogni, smette di arrivare. Nel 1917 l’Ammiragliato britannico lo ritira. 

Ma i bermudiani avevano intuito che il turismo poteva produrre quel benessere che avrebbe permesso di uscire dall’impaludamento di una vita che sembrava modesta. Chiesero all’Ammiragliato, e l’Ammiragliato rispose mandandogli, come un pacco postale, il Charbdys. Un malandato incrociatore, che aveva bisogno di manutenzione e rattoppi per tenersi su. Strano a dirsi, ma è da quell’incrociatore malandato che il magnate di una delle più grandi compagnie navali intuì una grande possibilità di profitto. Diventò il Tucker’s Town deal, l’affare Tucker’s Town. Quest’uomo d’affari si chiamava Lord Marmarduke Furness. 

La compagnia navale Furness–Whity si accorge di Tucker’s Town

Lord Alfred Milner, quando si vide recapitare la lettera firmata dalla mano di Lord Furness, era già tornato da una delle più sanguinose guerre che l’impero britannico avesse sostenuto tra la fine e gli inizi del Novecento, la seconda guerra anglo-boera, in Sudafrica. E, durante quella guerra, era stato uno degli assertori del sistema concentrazionario che vide morire, solo nel 1901, 28mila civili boeri internati. 1 civile boero su 4 perse la vita per la violenza del campo di concentramento. Fatto barone nello stesso 1901, adesso Lord Milner sedeva a capo del ministero delle Colonie britannico. Lord Furness, all’altro capo della corrispondenza per francobollo, era visconte da tre anni, armatore per nascita, l’uomo più ricco del mondo, il presidente dell’azienda di trasporti navali che prende il suo nome, la Furness-Whity. Pochi anni dopo l’avvio della sua impresa commerciale alle Bermuda, avrebbe sposato in seconde nozze Thelma Morris, compagna proprio di quel principe di Galles che avrebbe declinato il trono d’Inghilterra abdicando a favore del fratello, Giorgio VI, padre amato dell’attuale regina, Elisabetta II. L’oggetto della lettera di Lord Furness a Lord Milner, dalle parole dello storico McDowall, era chiaro: l’armatore non «avrebbe badato a spese per mettere a disposizione delle Bermuda la migliore nave possibile». 

 Sir Frederick Lewis era entrato ancora bambino nell’impresa di Lord Furness, e spense la sua tredicesima candelina a bordo di una delle navi della Furness-Withy. Nel 1919 ne era diventato amministratore delegato. Quando gli arrivarono 27mila e 500 sterline dal Trade Bermuda Development, che avrebbero dovuto fruttare come rendita per la costruzione di un piroscafo di collegamento per ripristinare la linea turistica con New York, non fu così ottimista come Lord Furness avrebbe voluto. Sir Frederick Lewis non voleva solo “ripristinare” una linea di collegamento con New York. Voleva molto di più: “plasmare” ad hoc una clientela ricca e stabile che sarebbe, sì, arrivata a Tucker’s Town, ma per rimanere. Nel progetto, ancora dalle parole dello storico canadese, c’era «la costruzione di campi da golf e da tennis di prima classe, disposizioni per bagni di mare, yachting, pesca, equitazione e altri sport all’aria aperta, e la costruzione di un country club e hotel e cottage per visitatori estivi alle Bermuda». Servivano «pochi clienti abituali, ma con grandissima spesa». Una classe vacanziera ricca, che avrebbe scelto ogni estate, e sempre con maggiore convinzione, quel paradiso in terra. E quel sogno estivo nel mondo doveva essere la nuova Tucker’s Town. 

Le condizioni per una nuova Tucker’s Town

Per creare questa “oasi protetta” affacciata alla baia di Castle Harbour ad uso e consumo estivo della classe alta benestante, soprattutto americana e britannica, servivano almeno due condizioni. La prima, era: fornire tutto il genere di divertimenti che i ricchi avrebbero desiderato, con annesse lussuose strutture alberghiere e i club più esclusivi.  Il secondo presupposto era: permettere ai ricchi possidenti americani di passare il proprio tempo esclusivamente «tra i propri “simili”». Il che, vale a dire: «nessun americano benestante, ragionavano gli sviluppatori, avrebbe comprato un costoso lotto di edifici in mezzo all’Atlantico se c’era la minima possibilità che la loro serenità potesse essere turbata dal rum del sabato sera e dai chowder party». Parlando, però, senza mezzi termini, la popolazione di Tucker’s Town era, per la maggior parte, afroamericana, possidente lo stato giuridico di persona libere anche prima dell’abolizione della schiavitù. Secondo le informazioni riportate sul giornale online The Royal Gazzette dal ricercatore LeYoni Junos, «una revisione dei registri di morte presso il Registro Generale da parte dell’autore di questo articolo ha rivelato che la comunità di Tucker’s Town prima del 1920 era composta per circa il 4% da “bianchi” e per il 96% da “neri”».

E fu sulla base di queste condizioni che si decise di costruire un gioiello di architettura turistica a Tucker’s Town. Sulle ceneri di una comunità afro-discendente espropriata. 

Il «progetto più stupendo che ha mai occupato l’attenzione di coloro che controllano i destini della nostra isola natale»: il Mid Ocean Club

Era il 1920. Il piroscafo mercantile SS Morish Prince arrivò quel giorno ad Hamilton, capitale delle Bermuda. A bordo, Sir Frederick Lewis guardava l’orizzonte. Con lui un newyorkese, Hanry Blockiston; un architetto, Charles D Wetmore. E, in ultimo, il «padre del golf americano» Charles Blair Macdonald. Questo gruppo composito avrebbe dovuto progettare una nuova Tucker’s Town. Ma, per farlo, aveva bisogno di proposte. Ma, soprattutto, di “alleati locali”. Li trovarono nella persona di Francis Goodwin Gosling.

L’anello mancante, Goodwin Gosling

Non è raro trovare il nome di Goodwin Gosling ancora oggi, su famose bottiglie di rum dalle Bermuda. Assistente segretario alle colonie nel 1920, possedeva 100 acri proprio a Tucker’s Town. Quando fu chiamato a collaborare al progetto e a fornire i suoi acri alla costruzione della nuova Tucker’s Town si era già ritirato nella piccola baia di Castle Harbour, a pescare e tirare al piattello, con sua moglie Alice e i suoi tre figli, Alice Emily, William e Bernard.  

Insieme a Gosling, venne così eletta un’Assemblea per raccogliere i progetti e, nel luglio del 1920, fu istituita la Bermuda Development Company per guidare il progetto di progresso della comunità. 

Il campione del golf americano Charles Blair MacDonald avrebbe creato la prima pianta del famoso Mid Ocean Club, un campo da golf esclusivo di 18 buche tra i più importanti del mondo. 

La tela audace di una nuova Tucker’s Town 

Per costruire “la tela audace” della nuova Tucker’s Town erano necessari 510 acri di terreno. L’area comprendeva l’intera comunità di Tucker’s Town e una parte della parrocchia di Hamilton. La maggior parte dei bermudiani, consci del proprio destino, accettarono subito di cedere alle richieste dei magnati della nuova Tucker’s e vendettero la proprietà a un prezzo nettamente sottostimato rispetto al valore reale delle terre. Soprattutto proporzionando il profitto che, da lì a breve, i ricchi possidenti avrebbero tratto da quei luoghi. 

Venne promulgato anche un atto, il Bermuda Development Company 2 Act per l’esproprio e il trasferimento dei residenti. Nell’atto è scritto espressamente che se i legittimi proprietari avessero declinato il patteggiamento in denaro (sempre al ribasso), e si fossero rifiutati di lasciare le proprie case, sarebbero stati espropriati, anche senza il loro consenso.

La petizione del 23 luglio 1920 

In risposta al Bermuda Development Company 2 Act, il 23 luglio 1920, 24 titolari liberi della comunità di Tucker’s Town presentarono all’Assemblea eletta la loro rimostranza. La petizione trasuda della caparbietà di una popolazione che ha costruito «la propria casa e la propria vita» in quella comunità, con un «senso amorevole di attaccamento» a quei posti, alla sua gente. 

Quell’atto di resistenza civile di 24 bermudiani, tutti afro-discenti eccetto uno, si rivelò improduttivo: il progetto della nuova Tucker’s passò noncurante, e rapida fu l’approvazione dell’atto di espropriazione. Il Bermuda Development Company 2 Act passò con soli due voti contrari dell’Assemblea, su 21. Come scrive ancora LeYoni Junon a The Royal Gazzette: «Ancora una volta, tale era l’inadeguatezza di un giusto processo e di una seria considerazione dei diritti civili della comunità nera emarginata, ma maggioritaria. Qualsiasi racconto della saga di Tucker’s Town deve essere studiato attraverso questa lente». Ormai si poteva parlare di una nuova Tucker’s Town, con tanto di benedizione del principe del Galles, che venne di lì a poco a fare visita alle Bermuda e toccò quei luoghi, facendo gli onori da parte della corona britannica.

Per avanzare celermente alle espropriazioni, si procedette alla creazione di una commissione, di cui non rimane traccia registrata. In una recente intervista su The Royal Gazzette, lo storico canadese McDowall è riuscito a quantificare a quale prezzo la popolazione di Tucker’s Town ha accettato di vendere la propria terra, acro per acro: 75 sterline per acro. Alcuni, sempre secondo lo storico, hanno accettato immediatamente il prezzo proposto; una parte, proseguì tramite contrattazione del prezzo, attraverso l’istituto dell’arbitrato. Una terza parte fu molto restia a cedere, conscia anche del fatto che il prezzo contrattato sarebbe potuto salire ancora di più. 

I fratelli Talbots delle Bermuda

Benjamin Tarell DB Talbot, per molti, lo zio Ben, non è passato alla storia solo perché aveva l’abitudine di zappare il suo orto in giacca e cravatta da maggiordomo. Nemmeno perché, prima della sua espropriazione, era il primo abitante di Tucker’s Town e il custode dell’unico emporio alimentare della comunità. Benjamin Tarell DB Talbot doveva essere ricordato per la sua resistenza all’espropriazione della sua terra, venduta a vantaggio del profitto del suprematismo bianco del primo ventennio del Novecento. Alla fine, però, per poco più di 8mila sterline dovette vendere i suoi 74 acri di terreno per favorire la costruzione del più grande campo da golf che il primo ventennio del Novecento ricordi.

I parenti di seconda generazione della famiglia Talbot di Tucker’s Town hanno fondato uno dei gruppi calypso più importanti della storia delle Bermuda e del genere calypso in generale, i The Talbots brother of Bermuda. Nel secondo dopoguerra, i The Talbots si guadagnavano da vivere intrattenendo i turisti alle Bermuda, nei famosi hotel di lusso aperti ai turisti. Suonavano swing e caraibico al Castle- Harbour hotel, costruito a due passi dal Mid Ocean Club, su quella terra per il quale il suo avo, il caro vecchio zio Ben, era stato espropriato per sempre.  

L’ultima donna di Tucker’s Town che fu, Dina Smith

Dina Smith era una nipote di Benjamin Darrell Talbot. È stata l’ultima ad arrendersi. E l’ultima residente della vecchia ed espropriata Tucker’s Town. Portata con la forza via dalla sua casa di proprietà, all’età di 74 anni. La descrivevano come una donna energica, che cucinava zuppa di pesce e alla luce della luna fumava instancabilmente la sua pipa. E quando passava lui, lei cantava: Goodwin Gosling è un ladro/ E lo sanno tutti (…)

Questa è stata Tucker’s Town. L’unica cosa rimasta ancora di quella Tucker’s Town, resistente ai tempi e alle intemperie del profitto era, fino a poco fa, un cimitero. Custodiva le spoglie dell’ultima comunità afro, residente in quei luoghi. Nel 2008 si era sostenuta la necessità della sua preziosa conservazione. Dalla conservazione di un patrimonio si poteva partire per rimettere in moto la memoria. La memoria è fatta di luoghi, di nomi, di targhe. O a volte, solo di lapidi

Nel 2012 i bulldozer sono passati e hanno ridotto in macerie, con la loro forza meccanica, anche quei resti di lapidi. Per far posto allo sviluppo turistico della città: campi da golf, mazze da golf, hotel per i turisti appassionati di golf. 

Gli studiosi del CURB, Citizens Uprooting Racism in Bermuda inaugurando, qualche giorno fa, sul giornale online Bernews, un webinar sull’argomento, hanno scritto, a proposito del cimitero di Tucker’s Town: «Tucker’s Town Burial Ground è un memoriale duraturo di una comunità nera libera un tempo fiorente nelle Bermuda. La terra occupata dalla comunità è stata riallocata per lo sviluppo turistico ed è ora occupata da mazze da golf, hotel e case dei ricchi».

Il 23 luglio si sarà spento anche il centenario dal giorno della petizione dei residenti di Tucker’s Town. Saranno passati 101 anni. La voce di Tucker’s Town aspetta ancora di essere ascoltata, dopo 100, lunghi, anni di solitudine.