Salman Rushdie, cosa c’è scritto nel suo libro e perché è stato pugnalato

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Salman Rushdie, cosa c’è scritto nel suo libro e perché è stato pugnalato

“I versi satanici”, l’accusa di blasfemia e la condanna a morte dagli integralisti. Già nel 1991 fu gravemente ferito nella sua abitazione milanese Ettore Capriolo, traduttore del libro in italiano. Sorte peggiore toccò al traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi, che venne ucciso a Tokyo il 12 luglio 1991, mentre l’editore norvegese William Nygaard fu ferito nel 1993.

di Paolo Trapani 

Nei giorni scorsi il noto scrittore, saggista e attore indiano naturalizzato britannico, Salman Rushdie, è stato gravemente ferito poco prima di intervenire ad una conferenza presso il Chautauqua Institution, a sud-ovest nello Stato di New York. L’aggressore, che ha colpito lo scrittore al collo, ad un occhio, al braccio, all’addome, è stato arrestato e identificato: è un 24enne di origini libanesi, Hadi Matar, ammiratore dell’Iran, della rivoluzione islamica dei pasdaran (1979) e dei loro alleati Hezbollah (in arabo “Il partito di Dio” che dal Libano combatte da anni contro lo Stato di Israele).

La fama e le controversie su Rushdie

Lo scrittore è famoso nel mondo per aver pubblicato nel 1988 l’opera intitolata “I versi satanici” (nell’originale inglese “The Satanic Verses”). Si tratta di un romanzo ispirato alla vita del profeta Maometto. Nel libro, Rushdie utilizzava il realismo magico per fare riferimento a eventi contemporanei e creare i personaggi del suo racconto. Il titolo richiamava un gruppo di versi del Corano (il testo sacro della religione islamica) che menzionava tre divinità pagane della Mecca (Allāt, Al-Uzza e Manāt), basandosi sui resoconti storici di al-Waqidi e al-Tabari. Il romanzo, articolato in nove capitoli, alternava il racconto delle vicende di due musulmani indiani miracolosamente scampati a un incidente, Gibreel Farishta e Saladin Chamcha, e la rivisitazione romanzesca di alcuni aspetti della cultura islamica.

Proteste e violenze dopo la pubblicazione 

Appena pubblicato, il libro in Europa non ebbe molto clamore, mentre in pochi giorni tutti i Paesi a maggioranza musulmana ne vietarono la vendita. Nel volgere di pochi mesi ci fu una escalation di proteste e violenze su scala planetaria. Nel dicembre del 1988, nel Regno Unito, 7mila musulmani si riunirono nella città di Bolton (vicino Manchester) per bruciare copie del libro. Nel gennaio 1989 una folla inferocita organizzò un altro rogo, mentre molte associazioni musulmane chiesero al governo britannico di utilizzare una vecchia legge mai applicata, il Blasphemy Act, per bloccare la stampa e la vendita dei Versi satanici. Ben presto Rushdie iniziò a vivere sotto scorta. 

Gli episodi più gravi e la fatwa

Gli episodi più gravi seguirono poco dopo: il 12 febbraio, a Islamabad, in Pakistan, 10mila persone si riunirono per protestare contro il libro e contro Rushdie. Durante la manifestazione si tentò l’assalto ad un Centro culturale americano. La polizia sparò sulla folla: sei persone rimasero uccise e altre cento ferite. Il 13 febbraio ci fu un altro morto e altre decine di feriti in una manifestazione a Srinagar, in India, mentre il 14 febbraio, l’ayatollah iraniano Ruhollah Khomeini (considerato la guida spirituale suprema della rivoluzione islamica filo-sciita), dichiarò alla radio di Stato iraniana la seguente fatwā (condanna a morte per blasfemia): “Informo tutti i buoni musulmani del mondo che l’autore dei Versi satanici, un testo scritto e pubblicato contro la religione islamica, contro il profeta dell’Islam e contro il Corano, insieme a tutti gli editori e coloro che hanno partecipato con consapevolezza alla sua pubblicazione, sono condannati a morte. Chiedo a tutti i coraggiosi musulmani, ovunque si trovino, di ucciderli immediatamente, cosicché nessuno osi mai più insultare la sacra fede dei musulmani. Chiunque sarà ucciso per questa causa sarà un martire per il volere di Allah“. Qualche anno dopo, il 3 luglio 1991 venne gravemente ferito nella sua abitazione milanese Ettore Capriolo, traduttore del libro in italiano. Sorte peggiore toccò al traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi, che venne ucciso a Tokyo il 12 luglio 1991, mentre l’editore norvegese William Nygaard fu ferito a colpi d’arma da fuoco nell’ottobre del 1993.

Cos’è la Fatwā

Fatwā nel diritto islamico corrisponde ai responsa del diritto romano. La parola è composta da tre lettere e deriva da aftā-hu fī-l-amr (“consultare qualcuno riguardo qualcosa”) e istaftā (“richiedere una spiegazione o un chiarimento”). La parola significa “novità”, “chiarificazione”, “gioventù”, “perfezione”, “spiegazione”, “ricerca una decisione da una corte” e compare undici volte nel Corano, in cinque Sure diverse. La fatwa è il risultato di due azioni: l’istiftā, la domanda, e l’iftā, la risposta e chiarimento. Si tratta di una risposta data a un qāḍī, cioè a un giudice musulmano di nomina governativa, da un faqīh (esperto di legge coranica), quando questi sia interpellato per conoscere quale sia l’orientamento prevalente riguardo ad una certa fattispecie giuridica. In caso di risposta che affermi la liceità di un comportamento, il faqīh viene detto muftī.

Una vita vissuta pericolosamente 

Dalla pubblicazione del libro, per anni, Salman Rushdie ha vissuto protetto e in semi-clandestinità, continuando a scrivere e divenendo un simbolo mondiale della libertà di pensiero e di espressione. A 34 anni dalla pubblicazione de “I versi satanici”, lo scrittore stava per pubblicare il suo quindicesimo romanzo quando è stato aggredito negli Usa da un giovane fanatico di origini libanesi.