Valmarecchia, Un nuovo maxi allevamento di polli ma i cittadini dicono no

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Valmarecchia, Un nuovo maxi allevamento di polli ma i cittadini dicono no

Un allevamento intensivo che punterebbe a produrre fino a 800.000 polli all’anno, i lavori sarebbero stati avviati, ma gli abitanti si oppongono. Punto centrale è tutelare la salute di chi vive nella zona. 

La popolazione della Valmarecchia dice no al maxi allevamento di polli biologici che il colosso marchigiano “Fileni” vorrebbe costruire a Maiolo. Le 16 strutture di cemento previste in prossimità della fortezza e del borgo di San Leo andrebbero ad impattare in modo irreversibile sul paesaggio della vallata. La Valmarecchia da anni ha puntato sui suoi valori storici culturali e sulla qualità della vita che verrebbe compromessa da odori insopportabili e traffico. Un mix che rischia di innescare l’abbandono di insediamenti abitativi e borghi, tra l’altro in parte già iniziato.

Nella serata di sabato 11 febbraio presso il gremitissimo teatro sociale di Novafeltria si è tenuto l’evento organizzato dal comitato di cittadini che protesta contro l’intervento di riqualificazione dell’area ex Arena di Maiolo. “L’allevamento intensivo che porta l’Alta Valmarecchia indietro di 50 anni” era il titolo dell’incontro. Cittadini, artisti, intellettuali, medici e professionisti, non solo dell’Alta Valmarecchia, si sono schierati a favore di una campagna che ha l’obiettivo di amplificare la battaglia ed affermare un “no” convinto al nuovo stabilimento. Un allevamento i cui lavori sarebbero stati avviati senza informare preventivamente i cittadini, che hanno appreso il fatto solo quando i mezzi da lavoro sono entrati in funzione nel cantiere. Sulla piattaforma change.org, inoltre, è stata avviata una raccolta firma che sta trovando molti consensi.

Timori per l’impatto ambientale e per l’inquinamento da ammoniaca

Una delle maggiori preoccupazioni è per l’ammoniaca emessa dagli allevamenti intensivi, che causerebbe un inquinamento pesante. I cittadini, peraltro, non ci guadagnano assolutamente niente visto che i nuovi posti di lavoro sono solamente tre, mentre i danni all’ambiente sono numerosi.

Il consumo di acqua

Il dibattito in corso arriva tardivo, visto che il progetto ha già l’approvazione degli enti locali, che sicuramente avrebbero dovuto informare i cittadini  discutendone insieme. Le problematiche relative all’inquinamento sono dovute anche al numero stimato di camion che si sposterebbero nell’arco di un anno e che ammonterebbe a 837.  Tale progetto ha un impatto pesante anche sul fronte dell’acqua necessaria sia all’abbeveraggio di un enorme numero di animali che ad altre operazioni connesse. Le stime parlano di 11.280 metri cubi di acqua per l’allevamento biologico e 24.060 metri cubi per quello convenzionale, praticamente tutti dai pozzi, quindi dalle falde acquifere, in una situazione dove l’acqua è già un bene scarso e prezioso, anche e soprattutto lungo il Marecchia.

Il presidente di Confartigianato Fabrizio Vagnini sottolinea come “La realizzazione di un nuovo allevamento intensivo di polli a Cavallara di Maiolo è in contraddizione con la vocazione turistica della Valmarecchia. Un territorio bello e selvaggio da valorizzare, non certo con un allevamento che porta con sé un impatto ambientale non positivo, tra gas e polveri sottili rilasciati nell’aria. Un impatto che si ripercuote negativamente anche sulla comunicazione di un territorio che si propone al turista come incontaminato. L’immagine naturale della Valmarecchia è una risorsa turistica preziosa anche per Rimini, dobbiamo difendere e sostenere le imprese che hanno intrapreso la strada del turismo e delle produzioni di qualità. La Valmarecchia è per noi una gemma troppo preziosa, che dobbiamo tutelare e inserire, semmai, in un circuito turistico lento e sostenibile che esprima identità di luoghi irripetibili ed eccellenti. Luoghi che tra l’altro hanno ispirato artisti uomini di cultura e di spiritualità, come Piero della Francesca, Leonardo Da Vinci, Dante Alighieri e San Francesco tanto per citarne alcuni”.

Noi diciamo no alla realizzazione del nuovo allevamento di pollame – conclude Vagnini – auspichiamo invece uno sviluppo economico in linea con l’inclinazione della Valmarecchia: una località dedita all’accoglienza, alla ristorazione, all’agricoltura sostenibile, al tempo libero, ai percorsi in bicicletta e camminate. In un’ottica di benessere tra la natura, un allevamento intensivo qualche problema lo crea, tra l’altro non genera neanche un indotto occupazionale, considerando che darà lavoro solo a 3-4 persone. È stato sottolineato che negli anni ’70 esisteva già un allevamento nella stessa zona, ma nel frattempo gli obiettivi e sviluppo della Valmarecchia sono cambiati radicalmente e hanno intrapreso un’altra strada”.

Il benessere animale

Non bisogna sottovalutare poi il tema del benessere degli animali.

In Europa sono più di 300 milioni gli animali (come conigli, galline, maiali e vitelli) allevati a scopo alimentare che trascorrono tutta o gran parte della loro esistenza in gabbia. «Costretti all’interno di questi spazi angusti, gli animali non sono nelle condizioni di esprimere i loro comportamenti naturali – spiega Annamaria Pisapia, direttrice di Compassion in World Farming (CiWF) Italia –, non hanno spazio per muoversi e non riescono a interagire adeguatamente con i loro simili. Tutto ciò provoca loro enormi sofferenze, che ne compromettono il benessere psicofisico». Senza dimenticare le potenziali conseguenze di questa cattività sulla sicurezza e sulla qualità degli alimenti che derivano dagli animali ingabbiati. Condannate ad una vita di prigionia, le galline vivono stipate l’una sull’altra in gabbie che contengono fino a 13 animali e dove ognuna ha per sé meno spazio di un foglio A4.

Alle galline tutto questo costa caro, subiscono mutilazioni: il debeccaggio consiste nel taglio della parte iniziale del becco delle galline. Viene praticato entro i primi 10 giorni di vita per ridurre le ferite che gli uccelli, stressati da una vita di costrizione, possono procurarsi tra di loro. È una pratica estremamente dolorosa e invalidante per le galline, considerato che il becco è per loro un organo fondamentale. Vivono in gabbie sovrappopolate, spesso in condizioni igieniche rivoltanti. Non di rado gli allevamenti sono colpiti da infestazioni di blatte o di acari rossi: insetti che tormentano gli animali giorno e notte per nutrirsi del loro sangue, infestazioni che possono portare anche a gravi contaminazioni delle uova.

Uno degli alimenti più diffusi e consumati nel nostro paese sono proprio le uova. Da una stima pare che la media annuale per persona sia di circa 13,7 Kg considerando sia quelle mangiate direttamente che utilizzate nelle varie preparazioni. Chiunque avrà notato che su ogni uovo è stampato un codice, ma di cosa si tratta? Come si leggono le etichette delle uova?

Come si leggono le etichette delle uova?

Il codice posto sul guscio delle uova è formato da numeri e lettere (ad esempio “2 IT 027 BS 002”) e contiene tutte le informazioni che servono al consumatore per conoscerne i dettagli. Diventato obbligatorio nel 2004, saperlo leggere serve per poter conoscere l’origine delle uova che si sono acquistate e capire la loro storia. Scopriamo come leggere il codice di tracciabilità delle uova. La prima cifra serve per sapere la tipologia di allevamento in cui vivono le galline che hanno prodotto l’uovo:

0 – Uova da Agricoltura Biologica ovvero un allevamento che usa mangimi e foraggi prodotti da un’agricoltura biologica (cioè che non usa concimi chimici di sintesi e prodotti fitosanitari), integrabili fino al 20% con prodotti tradizionali. Le galline sono libere di razzolare all’aperto. 

1 – Uova da Allevamento all’Aperto: le galline possono girare libere per una parte della giornata, deponendo le uova nei pagliericci o su un terreno loro adibito in un ambiente esterno.

2 – Uova da Allevamento a Terra: questa tipologia permette all’animale di muoversi libero ma in un ambiente chiuso, come può essere un grande capannone. Le galline depongono le uova per terra o in appositi nidi.

3 – Uova da Allevamento in Gabbia o a batteria: le galline non hanno nessuna libertà di movimento, ma trascorrono la loro vita in gabbie e depongono le uova sul fondo della gabbia stessa. Le dimensioni sono quasi claustrofobiche: in un metro quadrato di gabbia possono esserci anche 25 animali.

Nei primi tre tipi di allevamento le uova sono sempre raccolte a mano, mentre negli allevamenti in gabbia le uova finiscono automaticamente nel sistema che porta al confezionamento.

La seconda combinazione del codice è composta da due lettere che stanno a contrassegnare il Paese d’origine delle uova ovvero dove vengono prodotte.

Sulle uova che troviamo al supermercato nel nostro Paese è presente la dicitura IT, che simboleggia la produzione in Italia.

Le tre cifre che si trovano in mezzo al codice sono il codice ISTAT, che identifica il Comune di produzione delle uova. Dopo le cifre sono indicate due lettere che indicano la città in cui sono prodotte le uova.

Per ultima si trova una serie di cifre che identifica l’allevamento di provenienza delle uova: il codice è univoco e viene assegnato ad ogni azienda dalle Asl locali per risalire immediatamente all’esatta azienda agricola di allevamento. Sul guscio dell’uovo e sulla confezione esterna oltre a questo codice alfanumerico vengono riportate anche altre informazioni, come la data di scadenza, la denominazione dell’azienda di origine e/o di imballaggio e la categoria di qualità e di peso delle uova. Ne esistono infatti diverse categorie:

“A”: sono le uova fresche, che possono essere consumate tal quali senza sottoporle ad alcun trattamento. In alcuni casi le uova possono anche essere state preventivamente lavate e avranno la dicitura di “uova lavate”. 

“B”: sono tutte le uova che non fanno parte della categoria “A”: non sono destinate alla grande distribuzione, ma alle industrie di trasformazione (come i produttori di maionese e dolci, pastifici, dove verranno utilizzate previa pastorizzazione) o a quelle non alimentari. 

Si può anche trovare la dicitura Extra Fresche, su tutte le uova fino al settimo giorno dall’imballaggio o il nono dalla deposizione.

Le categorie di peso, invece, variano a seconda delle dimensioni dell’uovo:

“S”: uova piccole, che pesano meno di 53 grammi

“M”: uova medie, dal peso di 53-62 grammi

“L”: uova grandi, dal peso di 63-72 grammi

“XL”: uova grandissime, che pesano più di 73 grammi

Insomma, sapere come si legge il codice di tracciabilità delle uova ci permette di sapere da dove vengono e come sono state trattate le galline che le hanno prodotte: in questo modo il consumatore potrà sicuramente fare delle scelte più consapevoli.

FONTI:  

www.riminitoday.it

www.ravenna24ore.it 

www.guidaconsumatore.com 

www.ilfattoalimentare.it

www.animalequality.it