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A Pulau Mesa, l’incontro di due Oceani

“Missy, Missy” un gruppo di bambini vocianti inizia a correre vero la barca che non ha ancora attraccato. Il minuscolo isolotto di Pulau Mesa sperduto nelle acque dell’Indonesia, dove Oceano Pacifico e Indiano si incontrano, appare ancora più piccolo visto da vicino.

In questo villaggio di pescatori abitato dal popolo Bajau risiedono circa 1500 abitanti in prevalenza musulmani, che non sono abituati a incontrare viaggiatori. Le loro case costruite su palafitte per cercare di contrastare le alte maree sono tutte dipinte con colori sgargianti, – vengono chiamate “Bajo” felici – ci dicono che le tinte accese aiutino il buonumore e sconfiggano la salsedine.

L’attracco non è facile, il mare piuttosto agitato fa oscillare la piccola imbarcazione che ci ha ospitati, sono necessarie diverse manovre e un po’ di agilità per evitare di cadere. L’odore di pesce che ci accoglie è davvero molto forte, d’altronde la pesca è la principale attività del luogo.

C’è un gran fermento, dovuto in parte al nostro arrivo, sono l’unica straniera con me solo una guida locale e i membri dell’equipaggio che si allontanano velocemente. Assistiamo a una vita semplice e ormai dimentica da noi europei, antichi mestieri, vecchi utensili e i giochi dei bambini improvvisati con sassi e sabbia.

Ci invitano a bere il tè che viene rigorosamente tostato, ci esortano a provare il pesce essiccato, la sensazione rimandata è che nonostante la povertà siano persone molto dignitose, che ancora riescano a provare piacere, a condividere il poco che hanno.

I bambini – alcuni completamente nudi – continuano a seguirci ovunque, mi toccano, mi pizzicano, sono una rarità forse non hanno mai incontrato qualcuno dai capelli biondi. Ci troviamo spinti in un vicolo dove alcune donne allattano piccoli appena nati.

Il miracolo della vita si manifesta anche in questo lembo di terra adagiato su acque cristalline, c’è molta complicità fra le neo-mamme nessuno probabilmente ha insegnato loro come accudire questi bambini, sono ragazze giovanissime che hanno imparato dai gesti e dalle tradizioni antiche trasmesse dalle loro madri.

L’isola sembra avere una gestione matriarcale, pochi gli uomini in giro, e tutti piuttosto sonnolenti. Un richiamo irrompe nelle attività, è il muezzin che invita con il suo canto i fedeli alla preghiera, nel tempio – l’uomo con il volto rivolto alla Mecca – diffonde attraverso un altoparlante il verbo del Profeta Maometto. “Hayya ala l-falah, Allahu Akbar, La ilah illa Allah.”   

Accorrono in pochi l’adhān oggi sembra non suscitare il risveglio voluto, sulle case alcune scritte, una ripetuta più volte “Ada air ada ikan” – c’è acqua, c’è pesce: un antico proverbio indonesiano che racconta la perseveranza e la forza di questo popolo, ovunque si trovino gli uomini è possibile trovare anche il loro sostentamento.

Il sole precipita rapidamente e le barche dei pescatori si preparano a affrontare il mare, ci allontaniamo anche noi da questa oasi di pace, lasciamo che la notte scenda e cali il suo sipario trovandoci grati per tutte le emozioni vissute.