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Camp Darby, il nostro viaggio nella base militare americana

di Dania Ceragioli

Il governo italiano a seguito di un accordo internazionale consegnò mille ettari di terreno all’esercito USA e così, nella macchia mediterranea che si estende fra Pisa e Livorno, nacque nel 1952 la base americana di Camp Darby, dedicata al generale William O. Darby, fondatore degli US Army Rangers, deceduto in guerra nel 1945.

Oggi la base, seppure ridimensionata a seguito di un accorpamento con la Caserma Ederle di Vicenza, occupa circa 1500 persone fra civili e militari e fa parte di altri 7 insediamenti militari americani in suolo italiano, fra cui l’aeroporto di Capodichino in provincia di Napoli, l’aeroporto di Aviano a Pordenone, la base di Gaeta a Latina, la base dell’isola della Maddalena, la stazione navale di Sigonella fra le province di Siracusa e Catania, l’osservatorio di attività solare in San Vito dei Normanni in provincia di Brindisi e le Caserme di Vicenza e Longare.

La base, quando è sorta, vantava circa 8000 unità che potevano variare nel tempo in relazione alle esigenze. Principalmente adibita a funzione logistica, vi sono state stoccate armi convenzionali di ogni tipo.

Seppure riproporzionato, per la sua posizione strategica, Camp Darby rimane uno degli avamposti militari più importanti d’Europa, trovandosi in un’area geopolitica culturale ed economica di estremo fermento e risultando dislocato a pochi chilometri dall’aeroporto militare di Pisa, dal porto di Livorno, e adiacente all’autostrada, alla ferrovia e a un canale navigabile.

Il Bagno degli Americani o American Beach

In passato la base disponeva anche di un’area ricreativa molto vasta e di una spiaggia, dove i militari si dirigevano da tutto il Vecchio continente per trascorrervi le ferie. Questa porzione di terreno pari a 35 ettari è stata restituita all’Italia.

Adesso è chiamato il Bagno Degli Americani, anche se per tutti resta l’American Beach. Un piccolo lembo di spiaggia sul litorale, dove una schiera di bandiere a stelle e strisce sventolano alte, issando i valori della speranza e perseveranza. Dopo alcune vicissitudini, ma non la perdita indiscussa del fascino che fu, lo stabilimento, seppure reso più informale è adesso accessibile anche ai civili, non risulta essere omologato a tutti gli altri presenti sulla marina. Un luogo esclusivo in Italia, in cui ancora oggi è possibile, grazie alla perseveranza di Davide il suo gestore, celebrare il 4 luglio godendo di un magnifico spettacolo pirotecnico. La base americana si presenta come un microcosmo dove permangono usi, costumi e tradizioni che fanno parte del bagaglio personale, delle radici di chi la popola. 

Il ruolo della famiglia nella base

Attraverso questa inchiesta stiamo cercando di indagare quale sia il ruolo della famiglia all’interno di questa comunità allargata. Come il binomio fra famiglia e militari possa essere coniugato attraverso diverse forme, rappresentando un fenomeno sociale specifico. Si tratta infatti di una relazione fra due istituzioni fondamentali, le famiglie luogo e fulcro della centralità dell’uomo, che confluiscono e interagiscono l’una all’interno dell’altra. Quanto dover vivere e soprattutto crescere, in una base militare, possa determinare il ruolo di ogni suo membro, quanto la logica di rigore, di disciplina, il continuo trasferirsi possa implicare trasformazioni e cambiamenti al suo interno. La famiglia militare e in modo particolare la famiglia militare americana è una famiglia come le altre?

Abbiamo intervistato al riguardo Trang Cline e Leslie Brady mogli di due militari e impiegate all’interno di Camp Darby che ci hanno raccontato la loro esperienza

A Trang Cline

Il vostro lavoro porta a una forma di nuovo nomadismo. Ci vuoi raccontare gli aspetti in positivo e in negativo di questa esperienza?

Un aspetto positivo è quello di poter entrare in contatto con altre culture. Non mi ero mai spostata dagli Stati Uniti e quando ci hanno trasferiti in Corea ero molto giovane ma questa esperienza mi è stata utile, ho iniziato a capire e accettare aspetti di vita che non conoscevo.  Sicuramente il lato negativo è dover lasciare le persone che hai incontrato e con le quali hai stabilito dei legami profondi. 

Cosa vi manca di più dellAmerica e, al contrario, cosa avete trovato o siete riusciti a integrare nei nuovi Paesi in cui avete vissuto o state vivendo?

Amo l’Italia, ha una storia bellissima, amo la sua cultura, il suo cibo anche se è tanto diversa dagli Stati Uniti. Ho imparato l’aspetto “easy going” degli italiani. La rilassatezza, la fluidità, la tranquillità, lo stile che avete in tutto quello che fate. Mio figlio è nato in Italia, vorrei capisse bene da dove proviene, che ne facesse esperienza. Stiamo cercando di integrare gli aspetti di entrambi questi Paesi, in modo da rendere la nostra vita familiare migliore. 

Come riuscite a conciliare la vita familiare con quella più rigorosa militare?

Occorre tempo per riuscire a trovare un equilibrio tra la vita militare e la vita familiare. Cerchiamo di dividere queste due realtà, dedicandoci distintamente a seconda delle situazioni o all’una, o all’altra. Per ogni famiglia è diverso ma per noi funziona così: cerchiamo di non portarci il lavoro dietro quando siamo a casa e viceversa, o almeno ci proviamo. 

Quante volte un militare nella sua carriera può cambiare destinazione?

Dipende molto dalla posizione ricoperta. Mio marito, si deve spostare ogni due anni. Ci sono invece alcuni militari che stanno in un luogo anche per nove anni, dipende da quello di cui l’esercito necessita e il ruolo che riveste. I tre comandanti che sono in questa installazione, sono molto aperti cercano di confrontarsi con tutti, sia all’interno dell’unità che fuori da essa, cercando di costruire relazioni tra i militari e le famiglie. I nuclei familiari sono sempre una priorità, perché il principio è che se le famiglie stanno bene, stanno bene anche i soldati. La protezione delle famiglie per la protezione del soldato. 

Cosa si racconta a un figlio quando si deve partire per una missione pericolosa?

In Paesi come l’Italia le missioni sono civili, ma i militari sì possono anche andare al fronte, in un teatro di guerra. La differenza è rappresentata dalla sua pericolosità, se mio marito fosse sulla linea frontale sarei sicuramente spaventata, sapendolo costantemente in pericolo. Ci affidiamo molto ai comandanti di unità, per ricavare le informazioni necessarie. Molte giungono dai leader di SFRG (service family readiness group), di cui di solito è responsabile la moglie del comandante. Se c’è uno scenario di guerra con problemi di comunicazione, le informazioni saranno trasmesse a loro e diffuse ai diretti interessati. Spesso le missioni, oltre a essere complicate sono anche lunghe, alcune possono durare nove mesi o un anno. 

Spesso entrambi i genitori sono militari, in questo caso come viene gestita la quotidianità familiare? É prevista una sorta di alternanza nelle missioni?

Sì assolutamente. Mio marito ha 39 anni, e la sua missione è quella di viaggiare molto. Quest’anno è stato a casa solo 7 settimane e quando era distante il nostro comandante si è presentato più volte per assicurarsi che tutto stesse andando bene. Anche le altre mogli sono sempre disponibili a aiutarci, a dedicarci il loro tempo. 

Come vengono festeggiate le più importanti festività americane nelle basi?

Quando ricorrono le festività americane come il Ringraziamento, mio marito che ha molti locali nella sua unità li invita a casa e festeggiamo tutti assieme. Facciamo un grande pranzo, per noi è davvero un’immensa famiglia. É una straordinaria esperienza vivere qua, e sono davvero dispiaciuta al pensiero di dover ripartire per un’altra destinazione a giugno. Ma questa è la vita militare, ogni volta cerchi di riprendere da dove avevi interrotto. 

Come sono i vostri rapporti con le comunità che vi ospitano? Vi trovate bene in Italia?

I nostri rapporti sono ottimi. Abbiamo dei vicini italiani fantastici. Una sera stavo cercando di tagliare il prato da sola, mio marito non c’era e i bambini non collaboravano, quindi il vicino si è offerto di falciare l’erba al posto mio. Addirittura dopo un paio di settimane rientrando ho trovato l’erba già tagliata.  Vivere in una comunità dove non ci sono persone che condividono la tua stessa esperienza ti permette di conoscere meglio usi e tradizioni inaspettate. 

A Leslie Brady

Cosa significa per la tua famiglia appartenere all’USA Army?

É un tale privilegio e onore far parte di questo “Bene più grande”. Ho incontrato mio marito che già stava percorrendo questa carriera, sapevo che questo sarebbe stato il tipo di vita che avrei avuto con lui, è stato un processo di apprendimento e di crescita, non avrei potuto definire la vita militare prima, è stato come miscelare la mia precedente esistenza con la sua. Per mio marito è sempre stato un sogno far parte dell’aeronautica fin da quando ne ha avuto memoria, per lui è la vita, è la sua passione.  È stato un tale viaggio, mi ha aperto la mente, è stato bello, è stato difficile, è stato fantastico. Per me ripeto è semplicemente un privilegio farne parte, lo è ogni giorno, tuttora. (LESLIE)

Come si vive in una base militare come questa? Com’è la tua giornata?

Abitiamo a 20/30 minuti dalla base, in campagna, ci siamo trasferiti nel 2020 durante la pandemia, volevamo più spazio, abbiamo una figlia di 5 anni ed un cane che ne ha 13. La mia giornata inizia alle 5:30/6 del mattino. Alle 7:45 lascio la bambina a scuola sempre in base, dove rimarrà fino alle 4/4:30. La mia giornata lavorativa prevede un’immersione nella comunità, dovendomi assicurare che tutti abbiano gli aiuti di cui necessitano. Verso le 5/5:15 rientriamo a casa, mi sembra di avere una famiglia dentro una famiglia, che a sua volta è dentro a un’altra. Il nostro nucleo che è dentro il 731° squadrone, il quale è dentro la base, la chiamiamo addirittura “FAMMUNlY” a causa delle munizioni (“family” e “ammunition”). Quindi quando noi parliamo di famiglia, ci riferiamo a tutto questo che convoglia nella nostra routine quotidiana. La nostra giornata inizia presto e finisce molto presto. Quella finestra temporale tra le 5:15 e le 7:30 del pomeriggio è colma di rumore, gioia, caos mentre prepariamo la cena, mentre giochiamo, divenendo un momento di decompressione anche per noi adulti. 

Come riesci a conciliare il lavoro con il tempo libero? Se hai tempo libero!

Cerchiamo sempre di creare spazi assicurandoci di aver del tempo libero, poiché come “famiglia militare” in generale abbiamo diversi obblighi e responsabilità, ma abbiamo delle responsabilità anche nei confronti della nostra piccola unità familiare: dobbiamo trovare del tempo di qualità da investire al di fuori dell’installazione. Siamo riusciti anche a costruire rapporti di buon vicinato con la comunità che ci ospita. Ci piace inoltre viaggiare, esplorare la Toscana, non abbiamo più lasciato l’Italia da quando siamo arrivati.  Quindi investiamo nelle relazioni e viaggiamo nel nostro tempo libero. 

Ritornando al vostro lavoro, come conciliate la vita personale con quella comunitaria?

Non è molto difficile per me perché io amo le persone, ne ho bisogno, ho bisogno di questa interazione. Fondere la vita familiare con quella comunitaria per me è un adattamento naturale, ne sono una grande sostenitrice. Ero una persona molto indipendente, incentrata soprattutto su me stessa poi mi sono ritrovata sposata e dipendente dalla vita militare per la prima volta da quando avevo 15 anni. Non avevo un lavoro e non conoscevo nessuno, perché ci siamo sposati e immediatamente trasferiti nel Regno Unito, quindi la mia prima esperienza di servizio è stata in un paese straniero. In un contesto che non conosci è estremamente difficile stabilire queste connessioni senza l’aiuto della comunità militare, da lì è poi possibile creare la tua strada verso l’esterno. 

Quali sono gli aspetti psicologici e le difficoltà che riscontri con tua figlia vivendo in un paese straniero?

Il suo primo trasferimento è avvenuto quando aveva 15 mesi, ma ovviamente non lo può ricordare, il secondo quando stava per compiere 4 anni. Ci dicono che sui bambini non si hanno effetti importanti, ma da madre posso dedurre che non è così, li affrontano con modalità diverse e forse riusciranno anche a dimenticare, ma quando noi ci siamo trasferiti qui per lei è stata dura e la situazione è diventata più dura anche per me perché quando tornava da scuola, scoppiava in lacrime. Non voleva lasciare i suoi amici. Psicologicamente un trasferimento può avere molteplici significati: una benedizione o una maledizione, dipende molto da come viene vissuto e raccontato, da come spieghi questa che può senz’altro essere un’opportunità, una nuova avventura. È difficile per i bambini come lo è per gli adulti, noi dobbiamo essere sempre realisti quando presentiamo loro le situazioni. 

Ho sentito che gestite molti programmi, ci potresti spiegare meglio?

Dall’Army community service che essenzialmente è come un’agenzia si sviluppano vari programmi, il suo focus è principalmente mettere in connessione la comunità e i nostri militari. Quindi c’è un intero plateau di possibilità per gestire i servizi più ampi. Qui a Camp Darby ACS il programma principale è quello dei volontari. Il più vasto è quello chiamato “Benvenuti in Italia”. Quest’ultimo porta alla scoperta per chi è appena arrivato, dei servizi essenziali e del territorio circostante. Inoltre esiste un programma anche sulla gestione di prestiti di oggetti per quelle famiglie che al loro arrivo ne sono sprovviste. Ne esiste anche uno di preparazione al trasferimento e uno di preparazione all’impiego. Le opportunità dettate dal SOFA in Italia permettono alle mogli dei militari di lavorare solo all’interno della base. Riassumendo ci focalizziamo molto sul lavoro di volontariato, impiego, preparazione e trasferimento cercando di rendere tutte le persone abili a vivere in una diversa location.

Il mese di aprile è il mese del figlio militare, qual è il suo significato?

Il suo significato risiede in quanto meravigliosi e resilienti siano i figli dei militari. Io vado in pezzi solo a parlarne, noi abbiamo scelto questa vita, ma nostra figlia non ne ha avuto la possibilità. La vita militare presenta situazioni e opportunità fantastiche, ma presenta anche momenti di sfida e il mese del figlio militare sottolinea quanto stupendi siano questi bambini, poiché mettono in valigia le loro vite, e lo fanno così tante volte, per seguire la loro famiglia, ricominciando di nuovo ogni volta. Il simbolo del figlio militare è il dente di leone. I loro semi trascinati dal vento crescono di continuo ovunque, sono veramente un simbolo di forza e tenacia. Ecco perché è stato usato per rappresentare questi bambini. 

La regola morale delle forze armate USA si riassume nel motto dovere, onore, patria”. Anche i figli dei militari fanno propri questi valori crescendo?

Credo che i bambini dei militari vedano il mondo in modo diverso dagli altri, sono abituati a viaggiare fin da piccoli a spostarsi in tante realtà diverse. Iniziano a avere una visione globale, rendendosi presto conto che la loro famiglia ha uno scopo più grande e che questo riguarda anche loro. Alla fine della giornata lavorativa in base risuona l’inno nazionale, non dimenticherò mai quando mia figlia che aveva tre anni, mise la sua mano sul cuore rimanendo in piedi concentrata, in silenzio come tutti gli altri. Vivere in questo contesto lo rende naturale, qui ne incarniamo i valori, lei osservando aveva già imparato che questo è un segno di rispetto nei confronti del nostro Paese, della nostra nazione.

Foto di Dania Ceragioli