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La sottile linea tra Revenge Porn e Cyberstalking

Nonostante le normative, sono frequenti condotte persecutorie attraverso strumenti informatici

di Silvia Cegalin

Empoli, Ospedale San Giuseppe. Un gruppo di infermiere finisce il turno di lavoro: c’è chi si dirige nelle docce, chi negli spogliatoi. Ciò che ignorano è che una telecamera abusiva sta spiando ogni loro movimento.

I fatti risalgono ai primi di Maggio 2022.

È il 2015, sul web viene caricato, fino a diventare virale, un video privato che riprende situazioni intime di una giovane ragazza napoletana, il suo nome è Tiziana. Alla diffusione sclerotica del filmato segue una campagna mediatica offensiva e irrisoria nei confronti della giovane. Ormai l’immagine e la reputazione di Tiziana sono compromesse: cambia cognome e appellandosi al diritto all’oblio riesce a rimuovere parzialmente i video, viene comunque condannata a rimborsare le spese legali ai cinque siti da lei citati per un totale di 20.000 euro.

Una storia, quella di Tiziana, finita nel peggiore dei modi, e senza giustizia dato che recentemente il video incriminato è riapparso online, testimonianza di quanto sia difficile far scomparire una traccia dal web.

Questo per l’Italia fu il primo caso definito di Revenge Porn, sebbene nel 2015 non fosse inquadrato come reato.

Revenge Porn: che cos’è e cosa prevede la legislazione italiana

Questi due episodi, pur diversi tra loro, ci raccontano quante varianti può assumere il reato di Revenge Porn, oltre che di un’Italia ancora in lotta per tutelare la sfera privata e sessuale degli individui, di qualsiasi genere o identità sessuale essi siano, o decidano di essere. Nel caso di Empoli, molto somigliante a quanto emerso dall’operazione Rear Window (da noi qui trattata), lo scopo è quello di spiare un soggetto inconsapevole di essere ripreso. Stando a quanto raccolto dalle prime indagini, condotte dai Carabinieri della compagnia di Empoli, è emerso che soltanto chi possedeva il badge poteva accedere nel punto della struttura dove sono state collocate le videocamere: dopo varie ricerche si è risalito a due tecnici, attualmente indagati.

Sebbene le telecamere non potessero registrare quanto ripreso, rimane da chiarire se le immagini, trasmesse a una “sala monitor”, siano state successivamente registrate e diffuse in internet o condivise con terzi. Come si può prevedere è proprio questa la maggiore preoccupazione delle infermiere. Se questo fosse avvenuto, oltre al reato di interferenze illecite nella vita privata, si aggiungerebbe l’aggravante di revenge porn.

Con il termine Revenge Porn si intende la diffusione di foto e/o video dal contenuto pornografico o sessualmente esplicito, con intenti vendicativi, diffamatori o molestatori. La vittima di questo reato è spesso contraria o ignara alla divulgazione delle sue immagini, eppure questo avviene comunque perché le sue foto o filmati sono in possesso di qualcuno (spesso un ex fidanzato o marito) che le pubblica per procurarle un danno psicologico, sociale o reputazionale.

Scrivo ex fidanzato o marito perché stando ai dati emersi dal recente report condotto da Permesso Negato è risultato che il 70% di chi subisce questo reato sono donne, il 30% sono uomini e il 13% fa parte della comunità LGBQT+; ad essere colpite sono dunque maggiormente le donne.

La legislazione in Italia per tutelare le vittime di questi reati ha introdotto con la L. 19 luglio 2019 n. 69, l’articolo 612 ter del Codice penale, che per i trasgressori prevede la reclusione da uno a sei anni e una la multa da 5.000 a 15.000 euro; recentemente però, a Gennaio 2022, anche il Garante   per la protezione dei dati personali è intervenuto per apportare modifiche al Regolamento n. 1/2019 in materia di revenge porn.

Considerati i numeri: le vittime di Revenge Porn in Italia sono circa 2 milioni, mentre solo il 50% denuncia la violazione (fonte Permesso Negato), sarebbe auspicabile intraprendere all’interno delle scuole, dei posti lavorativi e nelle comunità un’educazione alla sessualità e alle relazioni sentimentali così da poter estirpare una certa mentalità del possesso ancora troppo radicata.

Cyberstalking: Italia al secondo posto in Europa

Oltre al Revenge Porn, i mezzi informatici offrono anche l’opportunità di molestare, controllare o perseguitare virtualmente una persona; pratica, questa, definita di cyberstalking. Una forma di violenza e di stalking che principalmente si manifesta attraverso comportamenti insistenti e fortemente invasivi della sfera privata della vittima, tra cui: inviare ripetutamente messaggi minatori e indesiderati, monitorare assiduamente le attività online della persona presa di mira, nonchè, nelle sue forme più gravi, installare dispositivi GPS nelle auto o l’uso di spyware nei telefoni, ma anche costruire ad hoc campagne diffamatorie per screditare la propria vittima.

Sulla base dei dati ricavati dallo studio Lo stato dello Stalkerare 2021 di Kaspersky, è emerso un brutto primato dell’Italia: posizionarsi al secondo posto tra gli Stati europei per numero complessivo di persone cyberstalkerate (611), cifra che viene superata solo dalla Germania (1012). Uno specchio di ciò che avviene anche al di fuori della sfera telematica, in quanto nel nostro paese le vittime di stalking e persecuzioni, come riporta il Rapporto Italia 2021 Eurispes, sono aumentate dell’1,4% rispetto al 2020, con una percentuale di donne vittime che, esattamente come nel Revenge Porn, supera quella maschile, che, in controtendenza con il fenomeno in crescita, invece diminuisce rispetto all’anno precedente: un 14% di vittime nel genere femminile contro il 4,5% nel genere maschile.

Tra i persecutori si trovano, senza sorpresa, principalmente ex partner, o comunque persone “vicine” al soggetto stalkerato, come amici o colleghi.

Dal punto di vista normativo lo cyberstalking ricade all’interno del reato di stalking entrato nel codice penale nel 2009 (art. 612-bis c. p.) e prevede una pena da sei mesi a sei anni, su querela della vittima.