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Errori giudiziari. La storia di Giorgio Magliocca, 315 giorni agli arresti da innocente

False accuse e ingiusta detenzione: la discesa all’inferno e la risalita del Sindaco di Pignataro Maggiore 

di Paolo Trapani 

Lo scorso 4 ottobre Giorgio Magliocca, 46 anni, è stato eletto sindaco di Pignataro Maggiore per la quarta volta. I 2.267 voti, pari al 60% dei consensi, gli hanno permesso di succedere a se stesso e mantenere la fascia tricolore. Dal 2017, dopo la riforma delle Province, è anche Presidente di quella di Caserta. La prima volta che Magliocca divenne sindaco del suo Paese correva l’anno 2002: appena 27enne trionfò col 58% e 2.686 voti. Salvo una breve interruzione nel 2005 con il commissariamento del Comune, Magliocca in quella fase storica è stato sindaco fino al 2011. Era venerdì 11 marzo di quell’anno, quando venne arrestato con una accusa gravissima: concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo un collaboratore di giustizia, alla vigilia delle comunali del 2006, Magliocca aveva incontrato un boss. Già consigliere provinciale di Caserta e consulente del Ministro delle comunicazioni Mario Landolfi, nel 2011 Magliocca faceva parte anche dello staff di Gianni Alemanno, sindaco di Roma, di cui era considerato il delfino.

L’inchiesta e le accuse (infondate)

Secondo l’inchiesta che lo portò in carcere nel 2011, Magliocca aveva siglato un patto politico-mafioso per gestire i beni confiscati in cambio di voti dai clan. Le accuse al politico erano tutte basate sulle dichiarazioni di un pentito del clan Ligato, una cosca vicina ai Casalesi. Dinanzi ai pm della Direzione distrettuale antimafia, il pentito sostenne di aver saputo di un presunto colloquio riservato, a cena, tra il politico e il boss della zona, appena pochi giorni prima delle comunali del maggio 2006. Queste accuse (del tutto infondate) segnarono per Magliocca l’inizio di un incubo. Complessivamente ha subito 315 giorni di detenzione, tra il carcere e i domiciliari. 

60 volte nel registro degli indagati 

Sul suo blog personale scrive il primo cittadino: “La mia vicenda personale non è così importante. Al contrario, potrebbe essere un valido paradigma di come nel nostro Paese sia necessario ripensare una parte del sistema giudiziario. Sono stato iscritto nel registro degli indagati per oltre 60 volte. E, sempre, a seguito di una denuncia di un avversario politico, mai per un’indagine autonoma e spontanea delle autorità inquirenti. Per più di 30 volte i relativi procedimenti sono stati archiviati su richiesta dello stesso Pubblico Ministero. Inoltre, per una quindicina di questi provvedimenti sono stato prosciolto dal Giudice dell’Udienza Preliminare, mentre per i restanti ho dovuto affrontare processi che si sono chiusi tutti con assoluzioni piene, con la più ampia formula il ‘fatto non sussiste’. Cioè, i fatti contestati non sono mai esistiti in rerum natura. È stato un percorso difficile, tortuoso, a tratti frustrante, soprattutto perché da un punto di vista umano sentirsi ogni volta accusato ingiustamente ti segna nel profondo, logora la tua vita intima, personale, i tuoi rapporti affettivi e familiari”. 

L’incontro impossibile col boss 

Il teorema accusatorio, nei processi che Magliocca ha avuto, è andato in crisi soprattutto sul punto del fantomatico incontro col capoclan. Proprio nel periodo storico indicato dal pentito, il boss era detenuto in carcere. Dall’ottobre 2004 al luglio 2007, dunque anche durante la campagna elettorale del 2006 sotto la lente degli investigatori, il capoclan era sottoposto al regime del 41bis. Il presunto incontro col politico non poteva avvenire e infatti non era mai avvenuto. Anche sull’altro fronte delle accuse mosse al Sindaco, nel dibattimento processuale sono mancate le prove. Anzi la verifica degli atti dell’amministrazione Magliocca ha dimostrato che proprio per la sua incisiva azione i beni confiscati alla criminalità erano stati recuperati e riconvertiti per finalità sociali, raggiungendo risultati utili come la produzione dei “succhi di frutta della legalità” e  dei “Paccheri di don Peppe Diana”, prodotti dall’associazione Libera di don Luigi Ciotti col grano raccolto a Pignataro Maggiore.

Le sentenze: piena assoluzione e risarcimento

È nel 2013 che arriva la sentenza di primo grado per Magliocca: assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Poco prima, la Cassazione aveva annullato la custodia cautelare: non c’erano i presupposti né per il carcere né per gli arresti domiciliari. Nel 2014, anche la Corte d’Appello di Napoli assolve pienamente il politico. Nel 2016 riparte la sua attività politica e Magliocca torna Sindaco di Pignataro Maggiore per la terza volta. Ad aprile 2019, i giudici della Cassazione hanno accolto la richiesta del suo avvocato Filippo Trofino: 90 mila euro di risarcimento per quasi 11 mesi di ingiusta detenzione.

La clava giudiziaria contro l’avversario politico 

Nel fare un resoconto della sua dolorosa vicenda, scrive Magliocca sul suo blog: “Più di una volta, in verità, mi sono chiesto, in particolare nei momenti di maggior sconforto, se fossi una vittima di un caso di mala giustizia. No, è stata sempre la mia risposta. Non è questo il tema, la magistratura e le forze inquirenti fanno il loro dovere. Il problema vero da affrontare e sul quale è necessario aprire una riflessione, è come schermare il procedimento penale dalle lotte politiche, la tutela dell’azione giudiziaria dal virus della politicizzazione. Quando la giustizia diventa lo strumento principale che le parti politiche utilizzano nella contesa per aver la meglio dei propri avversari, allora siamo di fronte alla negazione stessa del principio etico a fondamento della Legge. Questa devianza della politica nella giustizia e di quest’ultima nel campo avverso per raggiungere un fine politico è la morte della democrazia”. 

Leggi qui gli altri approfondimenti di www.laredazione.net sugli errori giudiziari italiani