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10-100-1000 Enzo Tortora, il dramma italiano degli errori giudiziari

Le statistiche più aggiornate sono da brividi. E lo Stato sborsa milioni di euro 

di Paolo Trapani 

Quando si pensa alla malagiustizia, il pensiero e la memoria degli italiani va al caso “Enzo Tortora”, il presentatore tv che negli anni Ottanta finì al centro di un clamoroso e drammatico errore giudiziario. Tortora fu arrestato (estate 1983) e restò in prigione per molto tempo (271 giorni): solo dopo un lungo e travagliato iter processuale, passato attraverso i canonici tre gradi di giudizio, vide riconoscersi l’assoluzione. Quella devastante esperienza giudiziaria, accompagnata da una gogna mediatica senza precedenti, minò fortemente la sua salute. Tortora morì per le conseguenze di un cancro nel 1988 (appena un anno dopo la sua definitiva assoluzione). Il suo caso destò molto clamore, essendo Tortora un personaggio molto conosciuto e popolare e da tanti considerato tra i fondatori della tv in Italia.

Insieme al suo fermo, nell’ambito di una vasta operazione anticamorra, in quella drammatica estate furono spiccati oltre 800 ordini di cattura, tra i quali emersero subito decine e decine di errori di persona. Alla fine, i rinviati a giudizio furono 640, dei quali 120 assolti già in primo grado (con l’appello l’impianto accusatorio franò irrimediabilmente con 114 assoluzioni su 191). Tortora subì una condanna a 10 anni in primo grado. Solo in appello fu pienamente assolto. La Cassazione nel 1987 confermò la sua estraneità ai fatti contestati. 

Purtroppo, quel fatto così grave, divenuto simbolo della cattiva giustizia italiana, non é affatto isolato. I numeri più aggiornati sugli errori giudiziari nel nostro Paese mettono i brividi. Indagini e statistiche, curati nei dettagli dal portale specializzato www.errorigiudiziari.com, fanno un resoconto degli ultimi 29 anni e la dimensione del problema fa impressione. 

Secondo l’inchiesta giornalistica a firma di Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, che hanno verificato i dati dal 1991 a tutto il 2020, gli errori che sono stati accertati in Italia ammontano a 29.659 casi. Mediamente, dunque, sono quasi 1.000 all’anno. In questo lasso di tempo, secondo l’approfondimento giornalistico, lo Stato Italiano, tra risarcimenti e indennizzi riconosciuti alle vittime, ha sborsato la cifra-monstre di 869.754.850 euro. Una media, in pratica, di quasi 30 milioni di euro annui di rimborsi. Un dato abnorme. 

Gli errori giudiziari e le vittime sono di due tipologie: coloro che vengono colpiti dalla ingiusta detenzione (ovvero finiscono in carcere o agli arresti domiciliari), ma vengono poi assolti in giudizio; coloro che vengono condannati con sentenza definitiva al terzo grado di giudizio, ma successivamente vengono assolti grazie alla revisione processo.

Secondo le leggi vigenti in Italia, il risarcimento alle vittime viene calcolato  con un criterio aritmetico: la somma risarcitoria, per ogni giorno di ingiusta detenzione, è di 235,82 euro. Questa cifra viene ricavata dividendo l’importo massimo stabilito dalla legge (516.456,90 euro che è il massimo importo risarcitorio) per la durata massima della custodia cautelare in carcere, che è di sei anni. Ovviamente il mero calcolo matematico non basta a risarcire le vittime del dramma umano, psico-fisico e di reputazione che subiscono finendo impigliati nelle maglie della cattiva giustizia. 

In generale, i numeri della vergogna degli errori giudiziari evidenziano un fenomeno grave e profondo, non da Paese civile e da democrazia avanzata. Nel 2020, ad esempio, i casi di innocenti finiti in manette vedono questa triste classifica: la città di Napoli in testa con 101 casi, segue Reggio Calabria con 90 casi, poi Roma con 77 casi. Dopo ci sono Bari e Catanzaro con una sessantina di casi. In totale, lo scorso anno, sono stati riconosciuti 750 errori giudiziari, costati alle casse pubbliche circa 37 milioni di euro. 

Il dato del 2020 é in controtendenza rispetto agli anni precedenti: il trend evidenzierebbe un calo del fenomeno, ma con tutta probabilità è dovuto alla crisi covid. La pandemia, infatti, ha rallentato le attività giudiziarie e anche le procedure di riconoscimento della ingiusta detenzione hanno subito un rallentamento. 

Gli errori giudiziari, naturalmente, nascono da indagini svolte non correttamente, ma anche la stampa e il giornalismo hanno importanti responsabilità. É spesso il tritacarne mediatico-giudiziario a distruggere fisicamente e psicologicamente le vittime, anche più dell’errore giudiziario in sé. La triste abitudine di “sbattere il mostro in prima pagina” è una peculiarità molto italiana ed è estremamente pericolosa. Secondo i dati raccolti dall’Unione delle Camere Penali Italiane, l’80% degli articoli di cronaca giudiziaria non offre spazio alla difesa dell’indagato o dell’imputato, solo il 4% dei titoli di giornale ha una impostazione garantista e, infine, oltre il 60% delle fonti giornalistiche è rappresentato dall’accusa o dalla polizia giudiziaria. 

La spettacolizzazione mediatica della giustizia e delle indagini rappresenta un problema nel problema. Anche la politica ne è stata investita. Ideologie forcaiole e posizioni giustizialiste hanno spesso preso il sopravvento in Italia, divenendo protagoniste indiscusse del dibattito tra i partiti e delle campagne elettorali. Il malcostume politico, inoltre, che spesso caratterizza la vita pubblica, fornisce facili alibi ai teorici dell’equazione “indagato/imputato = colpevole”. Da anni, nell’immaginario collettivo si è radicata la convinzione, a torto o a ragione, che il politico approfitta della sua posizione di potere e, dunque, quando viene indagato è di fatto già ritenuto colpevole. 

Ma in definitiva le statistiche relative agli ultimi 30 anni di cattiva giustizia raccontano una realtà devastante del nostro Paese. Nel tunnel degli errori giudiziari può finirci chiuque, ritrovandosi senza tutela e con la vita distrutta da un momento all’altro. La lungaggine dei processi è poi un ulteriore elemento distorsivo dell’iter giudiziario, oltre che fonte di incertezza assoluta affinché si compia vera giustizia. Spesso, non si riesce ad assicurare certezza della pena per i colpevoli e si verificano casi di innocenti in carcere.