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La “rete” psicologica per gli adulti di domani

Intervista a Laura Tagliaferri, Informagiovani Bologna

di Lorenza Cianci

Rete: è la parola che, più di ogni altra, ha caratterizzato la recente intervista, che vi proponiamo, con la dottoressa Laura Tagliaferri, responsabile dell’Informagiovani multitasking, il polo di servizi del Comune di Bologna dedicati alla fascia d’età compresa tra i 18 e i 35 anni.

Richiamare il concetto di rete, anche fuori dal dettato delle sue parole, ci aiuta a sottolineare una necessità di cui ci siamo ormai resi consci allo stato dei lavori di questa inchiesta sul supporto psicologico ai e alle giovani adulte, durante l’emergenza sanitaria, in città: che la politica si assuma davvero il compito di mettere al centro della sua agenda occasioni d’incontro strutturali con gli innumerevoli servizi, già presenti sul territorio, che si occupano di tutela psicologica dei e delle giovani. A vari livelli: dal Terzo Settore, al Welfare, alla Sanità pubblica di territorio. Che fornisca percorsi sempre più interconnessi tra loro, comunicanti e chiari. Aprendo la strada a una tutela psicologica di prossimità territoriale a maglie più strette. Perché un e una giovane adulta non possa cadere in quell’altro lato della medaglia: la matassa dello smarrimento e della solitudine, sociale e psicologica.

Dottoressa Tagliaferri. Lei è, da molti anni, responsabile dei Servizi per i giovani” del Comune di Bologna. Come sono cambiati i e le giovani, in questi anni?

«Per quel poco che posso dire, rispetto alla mia esperienza: i giovani sono sempre più soli, più isolati. Quando ero giovane, si faceva più gruppo: si stava più in comunità, si facevano più progetti insieme. Il ragazzo, negli ultimi anni, è cresciuto stando, sempre più, da solo. Anche la scuola va un po’ chiamata in causa. Non sono tutti uguali, gli insegnanti: non possiamo lamentarci, generalizzando. Bisogna lavorare tantissimo, secondo me, per far tornare i ragazzi a favorire loro le relazioni sociali».

Secondo Lei, sta venendo a mancare la comunità, per i e le più giovani?

«I giovani, in realtà, sono ancora troppo poco considerati. E le politiche a favore dei giovani sono ancora troppo poche e anche mal organizzate, mal studiate. Recentemente, l’Ufficio giovani del Comune di Bologna ha vinto un bando ANCI (lAssociazione Nazionale Comuni Italiani, ndr), che era proprio dedicato ai giovani. Il bando si chiama “Fermenti in Comune”. Abbiamo sviluppato questo percorso, che si chiama “Impronte digitali”, rivolto a 32 ragazzi, dai 16 ai 19 anni. Perché è la fascia che ha sofferto di più durante la DAD (la didattica a distanza, ndr) ed è quella, anche, meno coperta dalle Istituzioni: quella che riceve meno servizi, quella meno coinvolta. Invece, su questi ragazzi, bisogna lavorare: bisogna renderli protagonisti e cittadini attivi. Perché sono il nostro futuro. I bandi ANCI, che noi vinciamo, ci servono per sperimentare delle progettualità a favore dei giovani. Se queste progettualità funzionano, poi, noi creiamo delle buone pratiche: da replicare, anche, su altri territori. Da replicare, anche, come seconda, terza edizione».

Parliamo della situazione nazionale, sullo stesso tema. Lei come la vede?

«Io, quando vado agli incontri ANCI, mi confronto con altri operatori, uguali a me, di altre città. Ci sono delle realtà che non hanno l’Ufficio Giovani: questo, la dice tutta. Vuol dire che non c’è un’attenzione di un’Istituzione: il Comune, che è l’istituzione più vicino al cittadino. Ma perché? Perché non investe in risorse sulla figura del giovane. Poi… “giovane”: cosa vuol dire? Noi lo consideriamo un under 35. Però il giovane è una categoria: lo dico tra virgolette, uso un termine un pocosì, (Nel senso che, ndr) lo leggi trasversalmente: giovane vuol dire scuola, vuol dire salute, vuol dire lavoro. Vuol dire mobilità all’estero. Vuol dire competenza. Vuol dire tante cose. Adesso, anche con i finanziamenti del PNRR (il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ndr): è una buona occasione, secondo me, per le Regioni. Che, poi, a loro volta, si relazionano con le Città metropolitane. Che, poi, a loro volta, si relazionano con i Comuni. È una buona occasione per impostare qualche politica strutturale a favore dei giovani. A partire anche da progetti sperimentali, come il nostro. Che sono cose piccoline: però hanno in nuce un modello che può funzionare».

Una notizia recente è listituzione, in Campania, di uno psicologo di base nei vari distretti sanitari e Asl. Lei cosa ne pensa della possibilità di istituire una psicologia di base?

«Ma magari, ma magari! Cioè, assolutamente. Noi finanziamo questo sportello,PsyInBo, perché lo vediamo dai numeri, lo vediamo anche dai feedback che riceviamo: perché ci viene richiesto. Ma se ci fosse uno psicologo di base, benissimo: noi ci direzioniamo su altri servizi, su altre cose. Benissimo, assolutamente».

Come mai non è ancora arrivato in Città metropolitana? Parlo, soprattutto, a livello di regolamentazione legislativa1

«Perché spesso succede che, in città come Bologna, c’è anche molta offerta. Però, le realtà non dialogano tra loro. Si fa poca rete. Io mi ritrovo a non sapere cosa fa l’Università su questo fronte e l’Università non sa cosa faccio io. Allora lì sta a noi, sta a noi operatori, magari anche con l’aiuto della politica, mettersi in dialogo, mettersi in rete. Noi, quando possiamo, lo facciamo. Non riusciamo, magari, nel modo migliore. Dobbiamo assolutamente ottimizzare le nostre energie, le nostre risorse: lavorando in rete. E questo è un lavoro che stiamo cominciando a fare abbastanza bene, anche grazie alla regione Emilia-Romagna che ci sta aiutando, in questo senso. E ci sta aiutando e favorendo una collaborazione, un lavoro in rete. Questo già noi lo facciamo, in automatico. Ma se hai dietro un’Istituzione che ti supporta, è ancora meglio».

Anche perché, dopo gli incontri con lo sportello psicologico di Dedalus, lo PsyinBo, bisogna decidere con il ragazzo o la ragazza qual è il percorso che dovrà fare successivamente. Quando si lascia andare questo ragazzo dalla tutela di Dedalus, poi magari c’è il rischio…

«Che non c’è la rete. Che cade per terra. Infatti, per noi, Dedalus è importante, per quello: loro non ti danno una terapia. In realtà, ti orientano e ti seguono per offrirti una rete. Perché, soprattutto un ragazzo che viene da un’altra realtà, da un’altra città o da un paesino, non nasce imparato. La cosa che rileviamo, nei ragazzi, è il disorientamento. Noi, con Informagiovani, cerchiamo di dare una prima informazione. Anzi, più che una prima informazione, una serie di informazioni. Poi facciamo anche un primo orientamento, su più fronti: hai bisogno di fare un’esperienza all’estero? Abbiamo uno sportello sulla mobilità internazionale; hai bisogno di essere ascoltato? Abbiamo lo psicologo. Hai un primo lavoro e non sai da dove prendere, da dove cominciare? Abbiamo lo sportello del consulente del lavoro».

«Una cosa che ci caratterizza moltissimo è proprio l’Associazionismo, tutto il mondo del Terzo Settore. Tutto quello che fa l’Ufficio Giovani è proprio una piccola parte. Ma, là dove non arriviamo noi, ci facciamo sostenere in base al principio di sussidiarietà, dall’associazionismo. Non è che può far tutto “il Comune di Bologna”, o “l’Ufficio Giovani del Comune di Bologna” oppure “l’Ufficio X”: dobbiamo riuscire a lavorare in rete. E, noi, questa capacità, un pochino, l’abbiamo sviluppata. Ci deve essere anche molta volontà politica: di spingere in avanti, e favorire anche magari la nascita di associazioni che lavorano con le persone su territorio».

1un passo dal basso, in questo senso, è stato compiuto, a Bologna, a partire dal progetto “Psicologo di base”, nato nel 2015 dalla collaborazione tra il “Centro Studi e Ricerche in Terapia Psicosomatica APS” e un gruppo di medici di base, con il patrocinio del Comune. Dal 2016, è finanziato, in parte, dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. L’ambulatorio di Via Parigi 15, è stato il primo, del progetto, a prevedere, nell’ambito delle cure primarie, lo psicologo di base. Gli sportelli, alla data dello scorso agosto, sono a quota dodici, in città. Un’altra esperienza simile è dell’AUSL Bologna: l’attivazione della psicologia primaria da parte di cinque Case della Salute. In ultimo, la volontà di proseguire con un percorso psicologico di base all’interno delle strutture di assistenza primaria è riportata e auspicata anche nelle Linee di indirizzo alle Aziende Sanitarie in tema di organizzazione dell’area “Psicologia clinica e di. Comunità” (in particolare, si legga a pagina 28-29), che sono state aggiornate (dal 2013, circolare n. 14/2013) lo scorso luglio, anche a fronte dei dati dell’emergenza sanitaria da Covid-19.

CREDIT FOTO: Le foto sono state concesse dalla dottoressa Tagliaferri. Non ne è consentita la riproduzione senza il di Lei consenso espresso.