Iran, il boia non si ferma: una mattanza di esecuzioni

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Iran, il boia non si ferma: una mattanza di esecuzioni

In queste ultime due settimane vi è stato un drammatico incremento di esecuzioni capitali soprattutto verso prigionieri politici o appartenenti alle minoranze, come l’etnia kurda.

Una mattanza che non accenna ad arrestarsi, ma che, anzi, sembra aumentare giorno dopo giorno nell’indifferenza generale; mi riferisco alle, ormai giornaliere, esecuzioni capitali ordinate ed eseguite dal regime della Repubblica islamica dell’Iran. In queste ultime due settimane infatti si è registrato un drammatico incremento di esecuzioni capitali soprattutto verso prigionieri politici o persone appartenenti alle cosiddette minoranze, in special modo di etnia kurda.

Le nuove esecuzioni: prigionieri kurdi nella morsa del boia

Non c’è stato nemmeno il tempo di piangere per l’esecuzione del giovanissimo, appena 23enne, Mohammad Ghobadlou, giustiziato martedì 23 gennaio nella prigione di Qazalhessar a Karaj, che in queste ultime ore è giunta la conferma di altre uccisioni.

Secondo un rapporto ricevuto dall’Organizzazione Hengaw per i diritti umani, la mattina del 29 gennaio è avvenuta l’esecuzione delle condanne a morte per Pejman Fatehi (28 anni, di Kamyaran), Mohsen Mazloum (27 anni, di Mahabad), Vafa Azarbar (26 anni, di Bukan) e Mohammad Faramarzi (28 anni, da Dehgolan) nel carcere di Ghezel Hesar a Karaj. Dopo 18 mesi di detenzione, questi quattro prigionieri politici hanno avuto il loro primo e ultimo incontro con le loro famiglie nella prigione di Evin domenica 28 gennaio, per poi essere trasferiti al di Ghezel Hesar a Karaj per l’esecuzione della condanna a morte, tra rigorose misure di sicurezza.

Le accuse mosse verso questi quattro cittadini kurdi, così come espressa dalla sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, guidata dal giudice Iman Afshari il 18 settembre 2023 e confermata recentemente nella sezione 9 della Corte Suprema dell’Iran, presieduta dal giudice Qasim Mazinani, sono per il reato di efsad-fil-arz (corruzione sulla Terra) e la cooperazione e lo spionaggio per Israele. Oltre a queste accuse i prigionieri sono stati ritenuti colpevoli di aver progettato un’esplosione presso gli impianti industriali di Isfahan per conto del Partito Komala del Kurdistan iraniano di cui fanno parte, e per questo condannati a 10 anni.

Accuse respinte dal partito che definisce infondate e false le affermazioni del governo; per gli esponenti del Komala del Kurdistan iraniano infatti il regime si serve di fallaci ricostruzioni per silenziare e impaurire i cittadini, in particolar modo gli oppositori; la Repubblica islamica inoltre ricorre alla tortura per estorcere confessioni che vengono registrate e poi diffuse nelle tv nazionali.

Abdullah Mohtadi, segretario generale del Komala del Kurdistan iraniano (organizzazione indipendente da lui fondata insieme ad altri studenti kurdi a Teheran nel 1969) nonché esponente della resistenza kurda iraniana, tramite il social network X, ha commentato con una poesia in lingua kurda che il Kurdistan non rimarrà in silenzio e che: 

“Non c’è bisogno di piangere per il martire della patria; coloro che sono vivi nel cuore della nazione non moriranno”.

Le minoranze etniche e religiose nel mirino del regime 

KOLBAR

Purtroppo le violenze contro le minoranze etniche sono continue e ripetute, non si tratta quindi di singoli episodi, di tragiche fatalità. Per i cittadini appartenenti alle minoranze il regime iraniano riserva un “trattamento speciale”, in quanto vengono uccisi non esclusivamente tramite esecuzioni capitali, ma anche attraverso agguati messi in atto dalle forze di sicurezza. È il caso, ad esempio, di quanto avviene ai kolbar, commercianti transfrontalieri, attaccati non solo dal regime iraniano ma anche dalle forze irachene. Kurdistan Human Rights Network informa che il 20 gennaio le guardie di frontiera iraniane hanno sparato a distanza ravvicinata e senza preavviso contro un gruppo di kolbar nella zona di confine di Nowsud, nella provincia di Kermanshah, uccidendo il kolbar Sadegh Mirzaei e ferendone altri due. Secondo le statistiche eseguite da KHRN, tra il 21 dicembre e il 21 gennaio, almeno 41 kolbar sono rimasti feriti, colpiti da colpi di arma da fuoco o picchiati dalle forze della Repubblica islamica dell’Iran nelle aree di confine delle province dell’Azerbaigian occidentale, del Kurdistan e di Kermanshah. Una situazione, questa, che dura da molti anni.

BELUCI

Un report di settembre di Minority Rights invece porta luce su un’altra discriminazione perpetuata dal regime iraniano, quella verso i beluci: tra i gruppi etnici che hanno subito una grave oppressione durante le rivolte, sia attraverso condanne a morte sia tramite aggressioni dirette, ad esempio, verso folle di manifestanti. A proposito ricordiamo la strage avvenuta il 30 settembre 2022, Venerdì di sangue, quel giorno oltre 100 persone furono uccise dalle forze di sicurezza IRGC mentre protestavano dopo la preghiera del venerdì per chiedere giustizia per una giovane donna balucavittima di stupro da parte di un comandante della polizia nella città di Chabahar.

Notizia recente è invece quella diffusa da Hengaw che riporta che domenica 28 gennaio il sistema giudiziario della Repubblica islamica ha eseguito la condanna a morte di due fratelli, Arif Ishaqzahi (30 anni) e Asif Ishaqzahi (24 anni) di Zabul, provincia del Sistan-Belucistan, giustiziati nella prigione centrale di Birjand. Secondo l’agenzia di stampa Haalvsh, comunica Hengaw, l’esecuzione di questi due fratelli è avvenuta in segreto, privandoli del diritto a un ultimo incontro con la loro famiglia.

La vicenda di Mohammad Ghobadlouil giovane detenuto con disturbi mentali condannato a morte

Indignazione e rabbia ha invece sollevato la pena di morte nei confronti di Mohammad Ghobadlou, detenuto a cui era stato diagnosticato un disturbo mentale, per la precisione un disturbo bipolare; la madre, Maasumeh Ahmadi, attraverso un video ha comunicato che il figlio aveva saltato i trattamenti medici diversi mesi prima del suo arresto, nonostante questo il ragazzo è stato comunque giustiziato. Questa esecuzione, riportano molte organizzazioni per i diritti umani (tra cui Hengaw e Amnesty International) viola gli standard internazionali sui diritti umani, compresi i regolamenti dell’Iran.

La sua colpa? Aver partecipato alle proteste organizzate dal movimento “Zan –Zendegi – Azadi” (Donna – Vita – Libertà), è stato quindi accusato di efsad-fil-arz (Corruzione sulla terra), è stato inoltre accusato di aver investito e ucciso con la sua auto un funzionario, Farid Karampour Hasanvand, e sempre in quell’incidente di aver ferito 5 agenti. Ghobadlou è l’undicesimo manifestante giustiziato associato al movimento nazionale “Donna – Vita – Libertà”.

Dopo l’annuncio della morte di Ghobadlou e di quella del prigioniero politico kurdo-sunnita Farhad Salimi giustiziato con l’accusa di moharebeh (inimicizia contro Dio) e efsad-fil-arz nel carcere di Ghezel-Hesar a Karaj il 23 gennaio, moltissimi attivisti e dissidenti iraniani hanno iniziato uno sciopero della fame; tra cui il premio Nobel per la pace Narges Mohammadi e il cantante Toomaj Salehi. The Center of the Human Rights in Iran in più informa che: “Più di 61 prigionieri di coscienza nel carcere di Evin a Teheran hanno iniziato oggi uno sciopero della fame per chiedere la fine della pena di morte”. 

La vicenda di Ghobadlou ha provocato reazioni di sdegno anche negli Stati Uniti e in Europa, in particolare in Germania, tramite Renata Alt, capo della commissione per i diritti umani del Parlamento federale tedesco, e in Francia; al momento però la solidarietà e il sostegno verso i cittadini iraniani da parte delle istituzioni europee rimane a livello di parole e poche azioni concrete.