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Iran, si condannano a morte anche i minori

Dall’inizio della guerra a Gaza, in Iran le esecuzioni capitali sono aumentate, con almeno 176 persone giustiziate dal 7 ottobre, tra cui anche un minore.

Mentre i fari dell’attenzione della maggior parte dei media sono accesi sul conflitto in Medio Oriente tra Israele e Palestina, più sfuocato, ai bordi appare invece l’Iran, Paese che, al contrario dell’anno scorso quando sono scoppiate le proteste contro il regime e in memoria di Jina Mahsa Amini, attualmente non sembra suscitare molto interesse. Un silenzio che potrebbe far pensare che tutto si sia risolto e che la Repubblica islamica abbia attenuato i propri metodi repressivi, e invece, purtroppo, è vero il contrario. 

In questi mesi di silenzio, la dittatura degli ayatollah iraniani ha considerevolmente aumentato il numero delle esecuzioni capitali, a dirlo è Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore di Iran Human Rights.

IHR infatti riporta: “Le esecuzioni sono aumentate dall’inizio della guerra a Gaza, con almeno 176 persone giustiziate dal 7 ottobre. Iran Human Rights ha registrato 707 esecuzioni nel 2023. Di questi, 390 sono stati condannati a morte per reati legati alla droga e 238 per omicidio. Tra le persone giustiziate ci sono anche un bambino, 17 donne e sei manifestanti”. 

Il direttore, Mahmood Amiry Moghaddam, ha inoltre aggiunto: “La comunità internazionale e in particolare i paesi europei, devono rompere il silenzio sull’esecuzione arbitraria di più di tre persone al giorno da parte della Repubblica islamica. La situazione critica dei diritti umani in Iran, e in particolare la pena di morte, non deve essere compromessa per considerazioni politiche e regionali. Il silenzio della comunità internazionale sulle esecuzioni è considerato un via libera dalla Repubblica islamica”.

Oltre all’aumento delle condanne a morte, nella Repubblica islamica dell’Iran si è in alcuni casi anche proceduto alle esecuzioni in modo segreto, senza quindi comunicare alla famiglia del detenuto la data in cui sarebbe avvenuta la procedura di esecuzione e, di conseguenza, senza dare la possibilità alla famiglia di vedere e salutare il condannato prima che morisse. Tra questi figurano Hossein Ali Dil Baluch, un uomo beluci di 27 anni condannato a morte per accuse legate alla droga, pena che era stata ridotta per mancanza di prove prima di essere improvvisamente giustiziato nella prigione centrale di Birjand il 19 ottobre. Mentre il 26 ottobre altri 5 uomini di etnia beluci sono stati condannati a morte, riconfermando l’accanimento che il regime iraniano riserva alle minoranze etniche. 

Un altro detenuto che è stato giustiziato in segreto è stato Milad Zohrevand (21 anni). Arrestato il 27 ottobre 2022 durante le manifestazioni contro il regime, secondo la BBC Persian è stato giustiziato segretamente nella prigione centrale di Hamedan il 22 novembre 2023. 

Milad Zohrevand era stato condannato alla Qisas (punizione in natura paragonabile al concetto di “occhio per occhio”) per omicidio in relazione alle false accuse di “uccisione” di un ufficiale dell’IRGC di nome Ali Nazari durante le proteste di Donna-Vita-Libertà. Iran Human Rights denuncia che: “Gli è stato negato il diritto a un giusto ed equoprocesso, e che l’esecuzione di Milad è stata eseguita in segreto, negandogli il diritto di dire addio alla sua famiglia”.

Milad Zohrevand è l’ottavo manifestante di “Donna-Vita-Libertà” ad essere stato giustiziato.

In questo caso, oltre l’esecuzione segreta ed improvvisa, a rendere drammatico questo caso è il fatto che alla famiglia è stata negata la sepoltura in un cimitero musulmano, Milad Zohrevand è stato quindi sepolto in un  cimitero armeno. Inoltre durante la sepoltura (che non può di certo definirsi un funerale considerato che le celebrazioni funerarie per i dissidenti sono vietate) le forze di sicurezza sorvegliavano i famigliari e i presenti, vietando loro qualsiasi manifestazione di dolore; la madre, Afsaneh Zohrevand, è stata arrestata per aver pianto.

Hamidreza Azari, il minore condannato a morte

In questo anno abbiamo imparato che la crudeltà della Repubblica islamica non ha limiti, e che non si ferma nemmeno davanti ai minori. Tra le recenti esecuzioni troviamo anche un minore, il 17 enne Hamidreza Azari, giustiziato nella prigione di Sabzevar il 24 novembre. Secondo la documentazione ottenuta da Hengaw, Hamidreza Azari aveva 16 anni, 8 mesi e 18 giorni al momento del crimine e 17 anni, 3 mesi e 14 giorni al momento dell’esecuzione, diversamente quindi da quanto sostenevano i media di regime che hanno falsamente indicato l’età di 18 anni quando hanno riportato la notizia della sua morte.

Un caso, questo, che riaccende in Occidente, ma non certo in Iran, il dibattito sulle condanne a morte di minori. Come scritto in un mio precedente articolo: “L’Iran è uno tra i pochi Paesi in cui è prevista la pena di morte per individui di età inferiore ai 18 anni. Secondo il codice penale, i maschi sopra i 15 anni e le femmine sopra i 9 possono essere giustiziati e, sebbene nel 2013 sia stato modificato il codice penale che vietava l’esecuzione di minori di 18 anni, il decreto non è stato rispettato.

Se si aggiunge a questo aspetto il fatto che, stando alle dichiarazioni di Moein Khazaeli, avvocato per i diritti umani di Dadban, un centro per la consulenza e l’educazione legale degli attivisti, il 95% degli imputati non hanno diritto né auna rappresentanza legale né ad un avvocato che li sostenga, lo scenario si complica. Nel caso di Azari, ad esempio, il ragazzo è stato costretto ad una confessione forzata.

Toomaj Salehi, il cantante rilasciato e subito reincarcerato

Il 18 novembre la soddisfazione per il rilascio su cauzione del cantante dissidente Toomaj Salehi fu molta, putroppo questa bella notizia durò un battito di ciglia, infatti Toomaj verrà riarrestato il 30 novembre. 

L’arresto, privo di qualsiasi ordine giudiziario, sarebbe avvenuto in modo violento presso una strada di Babol, Iran del Nord, provocando gravi danni fisici al ragazzo, come riporta Radio Farda: “Sulla base di informazioni non confermate, agenti in borghese hanno picchiato Toomaj e lo hanno ferito usando i calci dei Kalashnikov e delle pistole”. 

Il rapper dissidente Toomaj Salehi è stato quindi sequestrato e per diversi giorni è stato detenuto in una località segreta, dopodiché è stato trasferito nella prigione di Dastgerd a Esfahan.

Il 27 novembre, dopo il suo rilascio, sul suo canale YouTube il cantante aveva denunciato le torture subite in detenzione e durante gli interrogatori, asserendo che gli è stata fatta un’iniezione al collo probabilmente di adrenalina molto probabilmente per non svenire e per sopportare il dolore provocato dalle torture; per poi aggiungere: “Durante la mia carcerazione mi hanno rotto braccia e gambe e mi hanno colpito ripetutamente al volto e alla testa, ho cercato di fermare i colpi con le mani ma le mie dita si sono rotte”.

Questi video di denuncia potrebbero essere la causa della nuova incarcerazione.