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Giorgetti e Salvini, due Leghe in una. Il Carroccio fra Europa, sovranismo ed estrema destra

di Marco Bellinzona

E alla fine dei giochi, ha confessato di non saperci fare coi giornalisti. Il che è curioso, dopo aver quasi innescato una crisi interna al suo stesso partito. Ma in effetti non è mai stato un grande comunicatore. Di recente, per esempio, ha definito Salvini «un campione di incassi nei film western». Se non fosse che l’epoca delle scazzottate à la Bud Spencer è finita e il leader della Lega, a suo dire, farebbe bene a ripiegare sul ruolo più umile di «attore non protagonista, ma in un film candidato agli Oscar». Inevitabilmente, ci si perde. Ma è una vicenda curiosa quella del leghista Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico che, in queste settimane, ha fatto tanto parlare di sé. Nella sua ventennale esperienza a Montecitorio, il veterano della Lega è sempre stato un politico moderato e taciturno. Se non fosse che, dal mese scorso, hanno iniziato a parlarne come di un oppositore, ribelle nel partito.  

La “tregua”

Il leader del Carroccio ha lasciato fare per qualche settimana, ma alla fine è dovuto intervenire. Convocato il consiglio federale della Lega, una riunione straordinaria con gli esponenti del partito, il 4 novembre Salvini ha rimesso le cose in chiaro. Sbrigativo coi giornalisti, che all’ingresso di Palazzo Chigi lo hanno interrogato sulle aspettative del meeting, il segretario si era detto fiducioso di poter ritrovare pace e concordia fra i suoi. E così pare sia stato. Come se si fosse ripreso da un lungo svarione, Giorgetti alla fine ha ammesso che «la Lega è una, è la casa di tutti noi e Salvini ne è il segretario. Saprà fare sintesi, porterà avanti la linea». Ma al di là delle parole, le incomprensioni fra il segretario e il ministro dello Sviluppo nascondono ragioni più profonde. In ballo c’è tutta l’agenda politica del partito, le prossime presidenziali e, soprattutto, l’Europa.

Le due anime della Lega

È vero, si è parlato di tregua. Ma la parabola di Giorgetti, nel frattempo, ha fatto proseliti nel Carroccio: non tanto fra i vertici, fedelissimi di Salvini, bensì fra gli amministratori locali (soprattutto i governatori Zaia, Fontana e Fedriga) e vari deputati. Una schiera di non allineati alle posizioni di Salvini, con un’altra visione della Lega. Meno populista, meno sovranista e più moderata, centrista. Meno incentrata sul leader, più sul partito. Per riprendere la metafora, meno western – così da potersi presentare agli Oscar, cioè la maggioranza in Consiglio. Tant’è che qualcuno, a questo punto, ha parlato di due anime della Lega: l’una salviniana, l’altra giorgettiana. 

All’origine della scissione c’è un equivoco mai risolto, su cui Giorgetti ha richiamato più volte il segretario. Qual è la posizione della Lega sull’Unione europea? Per i bossiani, sarebbe certamente una domanda retorica. Risponderebbero che nel DNA della Lega non c’è mai stata una vocazione europeista. Ma la presidenza di Mario Draghi, da febbraio di quest’anno, ha costretto a un cambio di rotta.

Europa?

O meglio, dal 13 gennaio. Data in cui Italia Viva apre la crisi di governo, costringendo Conte a dimettersi. Crisi aperta per le divergenze sulla gestione dei 200 miliardi del Recovery Fund, a cui i renziani avrebbero preferito il MES. Scartata l’opzione delle urne, impraticabile in piena pandemia, Mattarella propone Mario Draghi al Consiglio – dopo un primo mandato esplorativo per il vice-presidente Roberto Fico, fallimentare. Votano la fiducia ben 535 deputati, contro 56 contrari e 5 astenuti. È un enorme successo, come del resto in Senato: 262 favorevoli, 40 contrari e 2 astenuti. Un margine che rappresenta una delle maggioranze più ampie mai registrate nella storia repubblicana– maggioranza tanto folta quanto instabile, basata esclusivamente sull’unità nazionale per far fronte alla pandemia.

Si deve quindi ricomporre la coalizione di governo. I componenti di Fratelli d’Italia, impuntati su posizioni euro-scettiche, vanno all’opposizione assieme a Liberi e Uguali. Ci si aspettava di ritrovarci anche la Lega, ma Salvini compie una “giravolta moderata”: il Carroccio sceglie di andare al governo. «Io preferisco esserci e controllare – dichiara a febbraio il leader leghista -. Ci sono i famosi 200 miliardi che riguardano i nostri figli. Preferisco essere nella stanza dove si decide se quei soldi vengono usati bene o usati male piuttosto che stare fuori [all’opposizione, ndr]».

E così, la Lega si inserisce fra PD, M5S e Forza Italia. Prima all’opposizione nel Conte bis, ferocemente anti-europeista, accetta ora la maggioranza con il centro-sinistra. Accetta di discutere il Recovery Fund, accetta i fondi europei. Pace fatta con l’Europa? No, perché la svolta europeista di Salvini, secondo Giorgetti, rimane di fatto incompiuta

Gli inconvenienti dell’euro-scetticismo

Qui torniamo al presente. Torniamo a Giorgetti, che ora chiede al suo partito di andare fino in fondo. Accettare l’Europa, allineando il partito a posizioni centriste per restare al governo; evitare di ritrovarsi di nuovo all’opposizione, facendosi perno di un’alleanza di centrodestra – raccogliendo l’eredità di Berlusconi. Una virata che però costringerebbe a rinnegare le origini euro-scettiche del Carroccio, e allentare le posizioni sovraniste.   

Ma è a Bruxelles che si gioca la partita più importante. Giorgetti ha messo in guardia Salvini sui rischi dell’alleanza di estrema destra cui la Lega, in Europa, vorrebbe associarsi. Il leader della Lega ha già avviato la costruzione di un euro-partito di estrema destra, sovranista e anti-europeista, con i premier di Ungheria e Polonia, Viktor Orban e Mateusz Morawiecki, e Marine Le Pen. Il tempo stringe, visto che il neo-partito dovrebbe essere pronto entro un mese, prima dell’elezione del nuovo presidente europarlamentare. 

Ovviamente contrario, Giorgetti sa che questa alleanza avrebbe ripercussioni a Montecitorio. Gli inquilini di Palazzo Chigi non accetterebbero serenamente una maggioranza con un partito così schierato, laddove uno shift verso posizioni centriste, nell’ipotesi di Giorgetti, aprirebbe a un ventaglio di possibilità più ampio per non tornare all’opposizione – per non finirci proprio ora, con i miliardi del PNRR da gestire. 

Uno shift che, in Europa, collocherebbe la Lega tra le file dei conservatori moderati del Partito Popolare Europeo – avvicinandosi a Forza Italia, anch’essa militante nel PPE. È la direzione sostenuta da Giorgetti, ma che Salvini ha già bocciato per via delle inclinazioni “di sinistra” del partito europeo. 

L’intreccio con Mattarella

C’è un ultimo scenario, poi, a complicare ancora di più la situazione della Lega. Esattamente le dimissioni di Mattarella, che ha già riferito di non voler intraprendere un secondo mandato. Al momento, la soluzione più plausibile sarebbe la “promozione” di Draghi al Quirinale. Che perderebbe inevitabilmente la carica al Consiglio. A questo punto, Giorgetti auspica a una forma di semi-presidenzialismo, dove Draghi di fatto continuerebbe a guidare il Parlamento – magari posizionando un suo fidatissimo alla presidenza della Camera. 

In questo modo, si scongiurerebbe anche il voto. Giorgetti ha fatto bene i calcoli, e sa che non sarebbe il momento migliore per la Lega. Uscita sconfitta dalle amministrative di ottobre, dove il centro destra non è riuscito a presentare un piano condiviso fra i suoi candidati, la Lega potrebbe non ricavare grande beneficio dalle urne. A giovarne, se mai, sarebbe FdI, che avrebbe occasione di capitalizzare l’aumento dei consensi dell’ultimo anno – chiaramente a danno della Lega.   

Dulcis in fundo, anche un padre fondatore quale Maroni ha voluto schierarsi con i giorgettiani, in un’intervista per La Repubblica, invitando Salvini a farsi carico di in un’alleanza di centro nelle veci di un nuovo Berlusconi. «Diventare così il leader di un centrodestra moderato, in grado di dialogare con le forze di centro che non hanno tanta forza. Lasciando a Giorgia Meloni il ruolo della destra». Una soluzione per non pestare i piedi a FdI, appunto, vista la forte crescita del partito con cui la Lega condivide parte dell’elettorato.   

Dove si incaglia il Carroccio?

Tutta questa vicenda si concentra sulla questione europea. Salvini intende tener fede alle origini sovraniste del Carroccio, promuovendo un’alleanza europea di estrema destra. Rivendicare una posizione solida, rischiando però di marginalizzarsi nel bacino delle destre spinte. In Italia, vorrebbe dire relegarsi nuovamente all’opposizione. Ma nello stesso partito è cresciuta un’ala moderata che, al contrario, vorrebbe rivedere l’agenda politica, ripiegando su posizioni centriste e pro-Europa.

L’anima salviniana e quella giorgettiana. Per ora, ha vinto la prima. Ma le divergenze nel partito ci informano che la Lega non è coesa. Non tutti condividono la linea dura imposta da Salvini, ribadita anche al congresso. Con un’agenda dettata dal vertice e ripetuta, verticalmente, dai fedelissimi. Ma quantomeno la critica di Giorgetti ha costretto il segretario a calare le carte, a prendere una posizione esplicita sull’Europa. Dichiarare, finalmente, una posizione unica, al di là di “giravolte” e cambi di rotta. 

Fra giorgettiani e salviniani, il Carroccio rischia di incagliarsi. Si è parlato di una ritrovata unanimità, ma una cosa è certa: non può esistere una tregua fra visioni così diverse. Né il segretario pare disposto a negoziare le sue posizioni. Il genere di punta della Lega, al momento, rimane il western.