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I gioielli dei Savoia restano in Banca d’Italia

Fallita la prima mediazione, i reali annunciano battaglia

di Antonella Testini

“La Banca d’Italia è mera custode delle gioie, che stanno in un plico chiuso e sigillato, e non può disporne senza un coordinamento con le Istituzioni della Repubblica coinvolte. L’incontro  di mediazione che si è svolto il 25 gennaio su istanza degli eredi Savoia e con la partecipazione della Banca d’Italia e dei Savoia si è concluso con la attestazione che non esistono le condizioni per proseguire utilmente la procedura. La Banca d’Italia non conosce il valore venale dei gioielli che non sono stati mai sottoposti a perizia”. Sulla vicenda inerente i gioielli di casa Savoia, da Banca d’Italia hanno preferito non lasciare dichiarazioni sintetizzando nero su bianco la propria posizione da “mera custode”. L’Istituto, dopo il primo incontro con i Savoia, si è tirato fuori dalla controversia rispedendo i reali al cospetto delle “Istituzioni della Repubblica”.

Un finale che ovviamente ha infastidito Emanuele Filiberto e cugini, pronti a scomodare anche la Corte europea per tornare in possesso delle gioie di famiglia.

La storia dei gioielli di Casa Savoia

Per capire meglio la vicenda occorre riavvolgere il nastro della storia e tornare al 1943, due giorni prima dell’8 settembre quando Vittorio Emanuele III era pronto a fuggire a Pescara. Lo stesso sovrano, circondato solo dai suoi fedelissimi, convocò a Villa Savoia il conte Vitale Cao di San Marco chiedendogli di custodire i gioielli reali sino al suo ritorno.

Con l’arrivo dei tedeschi, pronti a saccheggiare Roma, i preziosi furono murati nel cunicolo sotterraneo che collegava il ministero della Real Casa con la chiesa di Sant’Andrea del Quirinale. Con il ritorno del Re in Italia, i gioielli tornarono nella disponibilità di Umberto II (ultimo re di Italia) che, all’alba della nascita della Repubblica ovvero poco prima di partire in esilio, affidò il cofanetto all’allora governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi. Nel verbale di consegna del 1946 del ministro Lucifero è scritto: «Si affidano in custodia alla cassa centrale, per essere tenuti a disposizione di chi di diritto, gli oggetti preziosi che rappresentano le cosiddette gioie di dotazione della Corona del Regno».

E lì sono custoditi da 75 anni nel corso dei quali pochissimi fortunati sono riusciti a vederli.

La proprietà dei gioielli, a differenza di altri beni immobili e mobili appartenuti ai Savoia in territorio italiano fino al 1946, è una questione aperta poiché non sono mai stati confiscati, a differenza del resto del patrimonio dell’ex casa regnante avocato dallo Stato dopo la nascita della Repubblica.

Una mancata confisca a cui si aggiunge una frase vaga apposta dall’allora governatore Luigi Einaudi proprio sul cofanetto: “a chi ne ha diritto”. Ancora adesso fior fiori di avvocati si interrogano se quel “diritto” rivendicato sul cofanetto si riferisca ai discendenti di casa Savoia in quanto eredi o se il diritto è dell’intero popolo italiano che scegliendo la Repubblica ha il diritto di appropriarsi di tutti i beni appartenuti alla casa regnante.

I Savoia

Una lettura che non convince affatto i discendenti dell’ultimo re di Italia, persuasi che quei gioielli siano stati acquistati dalla famiglia o siano il frutto di regali privati. Secondo i Savoia nel cofanetto custodito a Banca d’Italia non ci sarebbero corone, collier e altri preziosi tramandati di sovrano in sovrano quali elementi del potere regale. Ma semplici doni di famiglia. Con questa convinzione, gli ex reali hanno intenzione di citare in giudizio la presidenza del Consiglio, il Ministero dell’Economia e la Banca d’Italia per la restituzione dei gioielli della Corona.

A rilanciare la vicenda nelle ultime ore è stato il nipote dell’ultimo Re di Italia, Emanuele Filiberto con una lunga intervista al Corriere: “Su questa battaglia la famiglia è molto unita. Anche perché, 75 anni dopo quel 1946, era tempo di venire allo scoperto per chiedere indietro quanto è di Casa Savoia. Non chiediamo indietro nulla agli italiani, solo la restituzione di beni privati di famiglia. Come è stato restituito negli anni alle ex famiglie regnanti di Jugoslavia o Bulgaria, persino agli eredi degli zar di Russia”, spiega Emanuele Filiberto, annunciando che ricorreranno alla Corte Europea, se sarà necessario.

Ma cosa c’è nel cofanetto? E quanto valgono i preziosi della Casa reale italiana?

Fondamentalmente diamanti e perle. Il grande diadema della regina Margherita, prima sovrana d’Italia. Spille, due grandi bracciali, un chocker, una grossa rivière di brillanti, un raro diamante rosa montato su una grande spilla, una grossa catena e cinque fiocchi preziosi che la sovrana Margherita indossava come spilla. Per un totale di 6.732 brillanti e 2.000 perle di varie dimensioni. Un tesoro il cui valore si attesta sui 300 milioni di euro e che gli eredi Savoia vorrebbero esporre in Italia per mostrarli al popolo perché “fanno parte della storia d’Italia”.

I Monarchici contro i Savoia

A complicare le lingue ci si è messo di recente Alessandro Sacchi, presidente dell’Unione monarchica italiana per spiegare che i Savoia non hanno alcun diritto da rivendicare su quel cofanetto. Secondo Sacchi, il Re Umberto II li consegnò alla Banca d’Italia proprio perché consapevole che quei gioielli erano della Corona e non dei Savoia.

“Gli occorrevano soldi, che si fece prestare dal Papa al quale poi li restituì – spiega Sacchi al Corriere – ma aveva l’assoluta certezza che di quei beni non poteva disporre. Non era roba sua e non è roba degli eredi”. Sacchi sostiene infatti che i gioielli di famiglia “li portò via. Da poco è stata venduta da Maria Gabriella, a un’asta internazionale, una tiara di brillanti del valore di diversi milioni che era di proprietà dei Savoia. La storia è piena di re andati in esilio con in testa la corona che poi hanno smontato e rivenduto a pezzi. Ma Umberto no: nel suo stile è stato rigoroso e costituzionalista. Se avesse avuto un benché minimo dubbio, si sarebbe regolato diversamente: era ossequioso delle norme in maniera esasperata”.

Una vicenda intricata su cui è facile immaginare che ci sarà da discutere. E ovviamente da scrivere.

Il primo incontro di mediazione è andato in scena martedì 25 gennaio, ma non è andato a buon fine. Bankitalia, infatti, ha respinto il tentativo di mediazione, rispondendo che la decisione spetta alle istituzioni della Repubblica. Il figlio di Vittorio Emanuele ha aggiunto: “Sono gioielli ricevuti come dono di nozze o acquistati dai Savoia oppure ancora ricevuti come donazione. Tant’è che la XIII disposizione transitoria finale che ha avocato allo Stato altri beni di Casa Savoia non ne parla”.

La famiglia Savoia, ha spiegato Emanuele Filiberto, è pronta a portare avanti la battaglia per i gioielli “fino alla Corte Europea, se sarà necessario”. Il nipote dell’ultimo re d’Italia ha poi ricordato che “già al tempo dei Giochi invernali di Torino 2006 anche la Regione Piemonte s’interessò per poter esporre a Torino i gioielli. Da Bankitalia non ci furono questioni ma tutto si bloccò perché serviva il nullaosta della presidenza del Consiglio”. 

Quale futuro per il “tesoro” dei Savoia nel caveau della Banca d’Italia?

Emanuele Filiberto, nell’intervista rilasciata al ‘Corriere della Sera’, ha parlato anche dei possibili piani futuri per i gioielli attualmente custoditi nel caveau della Banca d’Italia, in via Nazionale a Roma. Il suo annuncio: “L’importante è che, dopo averli tenuti sotto chiave per 75 anni tornino alla luce, possano essere visti. Il primo passo è che ce li restituiscano, poi decideremo in quale forma renderli di fruizione pubblica. Penso anche a un museo. Intanto adesso andiamo avanti, pronti a portare la cosa alla Corte Europea”.