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A Casa Leopardi, visita guidata con affaccio sulla felicità 

Tra il manoscritto dedicato a Dante e la Bibbia di Walton, si giunge alla finestra sul mondo

Come uno scherzo del destino, questa volta è stato Dante a farci da guida. Ci ha portati in viaggio, sull’onda dei 700 anni dalla sua morte. Come un ignaro Virgilio. 

Partiti dalla nostra redazione, ci ha condotti a Casa Leopardi, a Recanati. Volevamo vedere a tutti i costi la mostra del manoscritto della canzone “Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze”. Non era mai stato esposto prima. Abbiamo finito per fare il più bel viaggio di questi anni di pandemia. 

Per raggiungere le segrete stanze, l’ultimo miglio già doveva servirci da monito. Intarsi prepotenti di natura, collina e mare, alberi e piccole geometrie di cielo, a dire: occhio che tu – essere vivente in versione 2022 – stai pur sempre in questa meraviglia.   

Ad accoglierci è Francesco, una giovane guida recanatese. Lo troviamo presso la biglietteria a occuparsi dei ticket, in una sede dirimpetto a Casa Leopardi. Pochi minuti dopo, lo stesso ci aspetta all’ingresso della casa. In un istante mi ha fatto pensare a un collega che, quando viaggia con una certa compagnia aerea, scherza, amaro, sul fatto che il personale di bordo che parla un fluente inglese (e chissà quante altre lingue) è poi lo stesso che, prima a terra, ti riceve, ti fa il check-in e tutto quanto, e poi a bordo ti vende pure i “gratta e vinci”. Non c’è però tempo per considerazioni sulle modalità brachettiane del lavoro attuale. Dobbiamo già entrare in biblioteca.

La Bibbia di Walton che parla tante lingue

Il conte Monaldo, la biblioteca, l’aveva voluta aperta a tutti, ai recanatesi che erano 15 mila, 700 erano quelli che sapevano leggere. Era uno slancio democratizzante della conoscenza in un uomo bulimico di libri. Acquistava i volumi quasi a peso, al puro valore della carta, poi però il desiderio di possedere opere su cui far studiare i figli ha reso la ricerca metodica.

Ed ecco in basso a destra i sei volumi straordinari, la Bibbia poliglotta di Walton. Ne avevamo sentito parlare come la grande babele sacra riordinata, tante lingue diverse per narrare un’unica origine. Chi fosse Walton però non lo sappiamo, cerchiamo su Wikipedia. Era un vescovo anglicano di Chester, appassionato di Oriente, che compì l’opera straordinaria di realizzare una Bibbia con un testo in cui convivono, oltre al latino e al greco antico, l’arabo, il caldeo, l’ebraico, l’etiopico, il persiano, il samaritano e il siriaco. Una delle cinque copie esistente in Europa, la vediamo qui. L’opera è fondamentale nella formazione di Leopardi che impara sette lingue, e non senza difficoltà burocratiche: per lettura di questa Bibbia ottenne persino una dispensa cardinalizia ad hoc, in quanto era stata messa all’indice dei libri proibiti. 

La finestra di Leopardi

Già però ci attrae l’affaccio che dà sulla piazza e verso le finestre di Silvia, Teresa Fattorini. Tralasciamo volentieri tutta la storia del famoso componimento A Silvia, che sta al nostro Francesco raccontare, passandola attraverso la soda caustica. Così, per fortuna, elimina quella banalizzazione dell’amore di un Leopardi cupo di pessimismo, che non è mai esistito, come non è esistita una postura ingobbita dalla disperazione, bensì dalla spondilite anchilosante.

Eppure è in quel punto preciso della casa, il più anonimo se lo si guarda verso l’interno, che si realizza il nostro straordinario viaggio. Si possono scomodare da Schopenhauer fino al Lucrezio del De rerum natura, eppure è in quel punto che i pensieri di Leopardi si fondono con i nostri. C’è pure un”apparente interferenza nella nostra testa, ci vengono in mente le parole di Dalla: “Dalla sua cella lui vedeva solo il mare…una donna si affacciava, Maria…E sognò la libertà”. Eppure lo sappiamo esattamente cosa si vede da quella finestra. Il desiderio della felicità. La lectio magistralis, eterna, del “giovane favoloso”, è tutta qui. Di fronte a quella scarica di adrenalina esistenziale, vissuta in quello scorcio di finestra, impallidiscono persino il cortile da cui avrebbe intravisto l’Infinito e le macchie di inchiostro sul comodino su cui ha scritto, fino a notte tarda, le 103 parole più belle.