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Freddie Mercury trent’anni dopo, lessico familiare di un mito moderno

di Lorenza Cianci

Come si commemorano i trent’anni dalla morte di un mito moderno?

Me lo sono chiesta tante volte, preparando questo lavoro. Il mio pensiero al riguardo, lo ha dichiarato, qualche giorno fa, il giornalista Paolo Zefferi durante la rubrica Rai di musica e spettacolo “Tutti frutti”, in uno speciale dedicato. Cioè che quando sono nata io, negli anni Novanta, i Queen erano già «l’essenza stessa del pop, una musica che non esiste senza il consenso del pubblico».

Ecco. L’impresa di commemorare questa essenza, a trent’anni dalla sua morte, in onestà, mi sembrava infattibile. Ero perfettamente al corrente che tante e tanti, a ragione, ne avrebbero continuato a onorare la memoria. Sapevo anche che l’emittente londinese BBC, sabato 27 novembre, avrebbe mandato in onda un documentario, in prima serata.

Una storia di pieni e di vuoti, quella degli istanti finali di vita di Freddie Mercury, al secolo Farrokh Bulsara. Clock finale dodici minuti alle sette della sera del 24 novembre 1991, all’uno di Logan Place a Kensington. La Garden Lodge, la sua villa londinese. Una voce che riempie le cornette dei telefoni, e il globo: «Hes gone». È morto.

Una situazione strana, dicevo, quegli ultimi istanti: trovarsi nel mezzo, tra un dentro e un fuori. Tra il pieno e il vuoto.

Dentro Garden Lodge, una scatola magica di stanze e vetrate, di ispirazione, speranza e malattia, si sentono le intime voci di chi tiene la mano a Mercury sulle ultime note di vita. Fuori Garden Lodge, il mondo chiacchiera, ad alta voce. E affida al muro esterno all’abitazione l’estremo viatico del cordoglio.

Raccontare il pieno e il vuoto di quei momenti finali, senza esserci stati. Ascoltando, leggendo, guardando anche nei vuoti di memoria della storia. Impossibile.

Ho letto che per la ricorrenza del Natale, la Garden Lodge era una casa piena: di amici, di compagni e compagne di una vita, di stelle filanti, un grande albero, cene pantagrueliche. Natale era, con ogni probabilità, una delle ricorrenze più amate da Mercury. Di quelle cene natalizie, lo chef era Peter Freestone, assistente personale del cantante per dodici anni: i suoi preparativi partivano a settembre o a ottobre, con il pudding della festa.

Sui regali, scrive Freestone, «Freddie dava importanza più al pensiero che al regalo vero e proprio (…). Chi conosceva Freddie non ignorava la sua passione per gli animali domestici (gatti o pesci)». Freddie Mercury amava i gatti. Amava le koi giapponesi, una varietà orientale di carpe ornamentali. Se n’era innamorato durante i suoi soggiorni in Giappone: nuotavano in un laghetto artificiale, nel suo giardino di Garden Lodge.

Il valore dell’amicizia doveva essere una cosa che riempiva il bicchiere della vita, per Freddie Mercury.

L’ho capito, anche, leggendo di un evento memorabile. Qualche tempo prima di quei fatidici minuti alle sette del 24 novembre, una grande macchina di casa Bentley, si era piazzata al cancello di Garden Lodge. Rimase ferma, per quaranta minuti. Ai giornalisti che chiedevano cosa ci facesse lì, Elton John, scendendo dall’automobile, rispose candidamente: «Ive just come to see my friend», «sono solo venuto a trovare il mio amico». Non era la prima volta che faceva visita a Mercury, in quel periodo. Dopo quella visita, partì per Parigi, lasciando però i suoi recapiti, nel caso fosse successo qualcosa, mentre lui era via.

Il giallo era, con probabilità, il colore preferito di Freddie Mercury. Infatti, mi ritorna alla memoria proprio con quella giacca in pelle gialla disegnata da Diana Moseley, costumista e sua amica. La giacca gialla: quella del concerto al Wembley Stadium dell‘86, durante il Magic Tour.

Aveva, innegabilmente, un concetto preciso di stile. Dopotutto, si era laureato nel settore moda all’Ealing Art College di Londra. Durante quegli anni di studente, aveva anche una bancarella al Kensington market, dove vendeva, tra le stoffe e le sciarpe, anche i suoi disegni di modelli.

La sua istruzione di ragazzo era partita molto prima. A otto anni i genitori decisero di farlo studiare alla St. Peters Boys School a Panchgani, nello stato indiano di Maharashtra. Un grande salto, rispetto alla sua città natale, Stone Town, nell’arcipelago di Zanzibar, all’epoca sotto protettorato britannico

Il papà, la mamma e la sorella furono l’altra metà di quel “pieno della vita”, per Freddie Mercury. Una sua lettera, all’epoca del St Peters pubblicata dal profilo Instagram FreddiemercuryClub, e poi diffusa da vari giornali online, lo testimonia:

«Cari mamma e papà, spero che stiate tutti bene e il raffreddore di Kashmira sia migliorato. Non preoccupatevi per me, sto bene. Io e i miei amici alla Ashleigh House siamo come una seconda famiglia.
Gli insegnanti sono molto severi e la disciplina è molto importante qui al St. Peter. Sono molto felice di farvi sapere che mi è stato assegnato un grande trofeo, Best All Rounder Junior. Ho ricevuto un grande trofeo e hanno persino scattato una fotografia, che verrà pubblicata sulla rivista scolastica annuale. Sono molto orgoglioso e spero che lo siate anche voi. Baciate Kashmira da parte mia. Amo la mia sorellina come amo tutti voi. Farrokh»

Fu Mary Austin, una delle donne più importanti nella vita dell’artista, moglie spirituale, a ereditare la casa a Garden Lodge. Fu lei che, due anni dopo la sua morte, sparse le sue ceneri, come da sua volontà.

Freddie Mercury è morto dodici minuti alle sette di sera del 24 novembre 1991 di AIDS, malattia conclamata dell’infezione causata dal virus dell’HIV, che aveva contratto. Ho letto che in una delle ultime visite della mamma e della sorella, chiese, con un gesto di premura estremo, se qualche giornalista le avesse importunate. Accanto a lui, in quel momento, c’era anche il suo compagno, Jim Hutton.

È in questo lessico familiare che ha riempito la vita di Freddie Mercury che sono riuscita, alla fine, a completare il mio lavoro e a scrivere di lui. Un mito moderno, a 30 anni dalla sua morte.

Sulle mie fonti, per approfondire, si legga:

FREESTONE 1999, Peter Freestone, Freddie Mercury. Una biografia intima, Arcana Edizioni (prima edizione digitale 2017)