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Usa e Iran, c’è l’accordo per liberare 5 americani

Ritorna l’ombra della politica degli ostaggi. Attraverso l’accordo, Washington potrebbe concedere alla Repubblica islamica 6 miliardi di dollari dai fondi congelati in Corea del Sud.

Il 10 agosto un comunicato emesso dal Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, e firmato dalla portavoce del Consiglio Adrienne Watson, ha annunciato che la Repubblica islamica dell’Iran ha trasferito 5 cittadini statunitensi, detenuti ingiustamente nel carcere di Evin, agli arresti domiciliari (molto presumibilmente presso un hotel) dove rimarranno fino a quando non avverrà lo scambio dei prigionieri.

Le trattative tra Washington e Teheran, riporta NBC News, sono iniziate circa sei mesi fa, a febbraio, quando i diplomatici statunitensi e iraniani hanno tenuto colloqui indiretti, con il Qatar nel ruolo di intermediario, per giungere ad un possibile accordo per liberare 5 cittadini americani; accordo che poi è giunto ad agosto.

Reuters ha comunicato che il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanaani durante una conferenza stampa del 21 agosto ha riferito che il processo di rilascio potrebbe richiedere almeno 2 mesi.

In cosa consiste questo scambio

La negoziazione stabilisce, come si era già ipotizzato a febbraio, che i prigionieri vengano rilasciati in cambio di denaro, denaro proveniente dai fondi iraniani depositati nelle banche sudcoreane, ma attualmente bloccati dalle sanzioni statunitensi. Capiamo meglio.

Dal 2012 al 2019, gli Stati Uniti hanno permesso alla Corea del Sud, e ad altri Paesi, di acquistare petrolio iraniano, tuttavia impedendo a Teheran di accedere ai guadagni delle vendite, tutt’ora congelati. Attraverso l’accordo di qualche settimana fa invece Washington potrebbe concedere alla Repubblica islamica di ricevere circa 6 miliardi di dollari provenienti dai fondi congelati in Corea del Sud. Attenzione però: questo denaro, in teoria, potrebbe essere utilizzato dall’Iran esclusivamente per acquisti umanitari autorizzati, ossia per importare cibo o medicine.

Per quanto, quindi, questo scambio tra prigionieri e denaro non vada ad attingere nelle risorse statali statunitensi (dalle tasse dei cittadini tanto per intenderci), e il denaro non possa (sempre in teoria) essere speso dall’Iran, ad esempio per intenti bellici, è indubbio che questo tipo di accordo faccia immediatamente pensare alla politica degli ostaggi, e alla strategia da parte della Repubblica islamica di detenere illegalmente cittadini stranieri per chiedere concessioni all’Occidente e al Paese d’origine del detenuto.

Infatti, se da una parte la liberazione di cittadini detenuti ingiustamente non può che essere celebrata, dall’altro lato sarebbe ora che l’Occidente iniziasse a riflettere su come evitare accordi con l’Iran e a frenare così la presa di ostaggi, perché continuare a stringere trattative con un regime che, ancora oggi – in queste ore, tortura, uccide e incarcera cittadini innocenti, non può più essere un’opzione.

Questa entrata di denaro, riporta Iran International, secondo vari legislatori, ex funzionari e molti iraniani americani fornirebbe appunto un sollievo finanziario al regime iraniano che, imperterrito, continua a violare i diritti umani.

Come c’era da aspettarsi, anche i repubblicani hanno sollevato critiche su tale patto. Venerdì 18 agosto un gruppo di 26 senatori repubblicani statunitensi hanno inviato una lettera destinata ai segretari Blinken ed Yellen esigendo chiarimenti sull’accordo.

Nella lettera si legge: «Mentre noi crediamo fermamente che gli Stati Uniti debbano utilizzare ogni risorsa adeguata per garantire il rilascio dei cittadini americani detenuti ingiustamente all’estero, questa decisione rafforzerà un precedente incredibilmente pericoloso e consentirà al regime iraniano di aumentare le sue attività destabilizzanti in tutto il Medio Oriente», e più avanti: «Come possono i vostri dipartimenti garantire che i fondi verranno utilizzati solo per scopi umanitari e non libererà invece ulteriori risorse che il regime iraniano potrà utilizzare per sostenere le sue reti terroristiche, gli armamenti o per incentivare le proprie attività di arricchimento nucleare?».

Stando alla trattativa, sarà lo Stato del Qatar a supervisionare la gestione dei fondi, altro aspetto che insospettisce i senatori repubblicani (ma non solo loro), in quanto il Qatar è uno stretto alleato iraniano e perciò non è del tutto chiaro quanta influenza avranno gli Stati Uniti nel supervisionare l’erogazione dei fondi.

Chi sono i cittadini americani ingiustamente incarcerati

Tra i 5 cittadini statunitensi incarcerati con accuse false dal regime iraniano, e che dovrebbero essere rilasciati ci sono: Siamak Namazi, Morad Tahbaz, Emad Sharqi, mentre gli altri due americani hanno desiderato rimanere anonimi.

Siamak Namazi: cittadino iraniano-americano con doppia cittadinanza e uomo d’affari di 52 anni, fu arrestato il 13 ottobre nel 2015 con accuse infondate di spionaggio dall’IRGC. In carcere ha trascorso la maggior parte del tempo in isolamento, dormendo sul pavimento, e non avendo accesso ad una consulenza legale adeguata. Il padre, Baquer Namazi, venne arrestato nel 2016 durante una visita al figlio, furono entrambi condannati a 10 anni di carcere per “collaborazione con Stati nemici”. Baquer venne rilasciato per motivi di salute nell’ottobre 2022 dopo essere stato detenuto in Iran per oltre sei anni.

Morad Tahbaz: business man di 67 anni avente cittadinanza iraniana, britannica e statunitense, è stato arrestato con altri nove ambientalisti dell’organizzazione iraniana Persian Heritage Wildlife Foundation nel gennaio 2018 con presunte accuse di spionaggio e condannato a 10 anni di reclusione. Tahbaz venne rilasciato dal carcere “in licenza” il 16 marzo 2022, ma riportato in prigione due giorni dopo.

Emad Sharqi: è un uomo d’affari iraniano-americano di 58 anni incarcerato nel 2021 (ma già arrestato dalle autorità iraniane nel 2018 dove era uscito su cauzione). È stato condannato a 10 anni di prigione senza processo, pure per lui sono state avanzate accuse di spionaggio senza avere alcuna prova.