Iran: quei suicidi sospetti dei detenuti dopo il rilascio

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Iran: quei suicidi sospetti dei detenuti dopo il rilascio

Mohsen Jafari-Rad, Atefeh Na’ami, Yalda Aghafazli, Arshia Emamgholizadeh Alamdari (16 anni), Sarina Esmaeilzadeh, Nika Shakarami,  Maryam Salimian, Abbas Mansouri, Siavash Bahrami (prigioniero politico curdo) e Kavous Seyed-Emam (accademico iraniano canadese): sono alcune delle persone i cui suicidi sono sospetti.

Quando si affronta la questione iraniana ad impressionare sono i numeri. Da quando sono iniziate le proteste, il 16 settembre, a seguito della morte di Jina Mahsa Amini, la Human Rights Activists News Agency (HRANA) ha stimato che, dal 17 settembre al 23 gennaio, sono stati uccisi oltre 525 manifestanti, 71 bambini, mentre il numero degli arresti è di circa 20.000. Ora, oltre i numeri, che appaiono comunque alti, sono anche i metodi usati dal regime per reprimere chi manifesta il proprio pensiero che dovrebbe catalizzare la nostra attenzione, e a chiederci, di nuovo: se l’Europa stafacendo tutto il possibile per sostenere e aiutare il popolo iraniano.

In questi mesi gli agenti di sicurezza hanno adottato condotte per silenziare e fermare i cittadini iraniani che definirle “condotte aggressive” non è abbastanza. I manifestanti sono stati attaccati con proiettili in acciaio in direzione delle parti intime e degli occhi (provocando in questo caso l’accecamento), con gas lacrimogeni e armi da fuoco, mentre una volta essere stati imprigionati hanno subito torture e, in alcuni casi anche violenze sessuali

Il caso dei suicidi sospetti

Se di queste violenze si è scritto abbastanza, meno è stato trattato il tema di chi si è “suicidato” dopo essere stato rilasciato dal carcere. A metà gennaio il direttore esecutivo del Centro per i diritti umani in Iran (CHRI), Hadi Ghaemi, ha dichiarato: «Stiamo assistendo a una serie di morti sospette di detenuti rilasciati che sono stati chiaramente torturati mentre erano in custodia statale, con le famiglie costrette a seppellire rapidamente i propri cari dopo che gli era stato impedito di eseguire autopsie indipendenti». 

Il CHRI denuncia che le morti etichettate come “suicidi” in realtà sarebbero avvenute per altre cause, e il suicidio sarebbe una “messa in scena”. A far sospettare di queste morti è soprattutto il fatto che alle famiglie è stato vietato di svolgere autopsie indipendenti da quelle statali, oltre la certezza che i detenuti durante la loro incarcerazione sono stati vittime di gravi maltrattamenti e, forse anche di iniezioni forzate di droghe al momento sconosciute. Per questo, per avere giustizia e fare luce su quanto accaduto, le famiglie hanno presentato controdenunce.

In altri casi, si legge sempre nel comunicato del CHRI: «Le indagini di organizzazioni per i diritti umani e giornalisti hanno prodotto prove che i presunti suicidi erano insabbiamenti di omicidi da parte delle forze di sicurezza dello stato. In molti dei casi, ci sono seri dubbi sugli eventi che hanno preceduto il presunto suicidio, comprese forti prove di torture durante la detenzione, che avrebbero causato un estremo disagio emotivo». 

Al centro dell’attenzione ci sarebbe la somministrazione, durante la detenzione, di droghe (al momento non è saputo quali) o di psicofarmaci. La brusca interruzione dell’assunzione di tali medicinali una volta usciti dal carcere avrebbe provocato astinenza e potuto condurre a tendenze suicidiarie. Per questi tipi di farmaci, dicono i medici, è infatti consigliato una riduzione graduale e monitorata. 

A proposito il dottor Maziar Ashrafian Bonab, genetista forense e medico con sede nel Regno Unito, ha dichiarato all’inizio di dicembre Iran International che probabilmente dietro queste morti non c’è alcuna droga misteriosa, ma il trauma psicologico delle feroci torture subite ha provocato danni psichici irreversibili a questi detenuti. Tuttavia, ha citato alcuni rapporti secondo cui l’ideazione suicidaria aumenta dopo l’assunzione di derivati dell’aspartato di potassio. Tale medicina può portare alla morte istantanea in dosi elevate e pensieri suicidi in dosi più basse.

Chi sono i detenuti morti dopo essere stati rilasciati

Tra i suicidi considerati sospetti c’è quella del regista e critico cinematografico Mohsen Jafari-Rad, arrestato durante le proteste a Karaj, mentre tornava a casa, solo dopo due settimane di reclusione è riuscito a dimostrare di non essere presente alle manifestazioni, eppure una volta rilasciato si è tolto la vita. 

Atefeh Na’ami, 37 anni è scomparsa il 20 novembre 2022. È stata trovata morta nella sua casa il 26 novembre. Il suo sembra un suicidio, ma sul suo corpo sono stati trovati segni di tortura. Per il fratello, che vive a Londra, questo suicidio è una pura messa in scena. La sua famiglia crede che le autorità abbiano negato di averla arrestata per non destare sospetti sulla sua morte, tra l’altro anche la richiesta di ottenere un’autopsia indipendente è stata rigettata. Atefeh stava partecipando attivamente alle proteste.

Yalda Aghafazli, 19 anni, è morta cinque giorni dopo il suo rilascio, aveva affermato di essere stata duramente picchiata e maltrattata durante la detenzione, a rivelarlo un suo file audio diffuso suoi social media. Cinque giorni dopo essere uscita dal carcere è stata trovata morta nella sua stanza. Mohammad Shahriyari, che dirige il procedimento penale a Teheran, ha detto che è morta per overdose di pillole. Ma una fonte vicina alla famiglia ha contestato l’affermazione, aggiungendo che la famiglia è ancora in attesa dei risultati di un rapporto tossicologico. 

Arshia Emamgholizadeh Alamdari, 16 anni, è stato incarcerato il 12 novembre per aver ribaltato un turbante sulla testa di un religioso, era stato detenuto per 11 giorni nella prigione centrale di Tabriz. Il 23 novembre è stato rilasciato; ai suoi amici ha confidato che durante la detenzioni gli erano state somministrate delle pillole, pillole che gli erano state prescritte anche una volta uscito di prigione. Morirà due giorni dopo essere stato rilasciato, e sarà sepolto velocemente, il 27 novembre 2022.

Tra i suicidi sospetti anche quelli di Sarina Esmaeilzadeh, Nika Shakarami,  Maryam Salimian, Abbas Mansouri.

Se poi andiamo indietro nel tempo, a insospettire sono anche anche la morti di Siavash Bahrami, un prigioniero politico curdo, morto tre giorni dopo il suo rilascio nel maggio 2022, e dell’accademico e ambientalista iraniano canadese Kavous Seyed-Emami morto “suicida” nella prigione iraniana di Evin il 23 gennaio 2018.