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Beni confiscati alla mafia, cosa prevede il Pnrr tra polemiche e soluzioni

di Roberta Caiano

L’ondata pandemica Covid-19 ha reso necessaria l’attuazione di un piano economico e sociale al fine di risollevare il Paese, ma soprattutto ha posto l’accento su alcuni temi e obiettivi che i fondi europei possono aiutare a raggiungere. Come si può leggere dal sito ufficiale del governo, il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza “è parte di una più ampia e ambiziosa strategia per l’ammodernamento del Paese”. In quest’ottica, infatti, esso comprende un ambizioso progetto di riforme tra cui quelle sulla pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza. In quanto parte di un progetto molto più ampio per il risanamento dei settori economici, produttivi e sociali della Penisola, se da un lato il Piano ha trovato approvazioni, dall’altro non mancano critiche e un continuo scetticismo comune. Gli argomenti sul piano di lavoro sono tanti, ma alcuni non mancano di essere sotto i riflettori già da prima dell’epidemia e del conseguente lockdown che ha bloccato il Paese. Uno di questi riguarda l’accelerazione dei procedimenti relativi ai beni confiscati alle mafie, con riferimento all’articolo 60 bis del decreto legge 31.05.2021, n.77. Infatti, come si può leggere nello stesso articolo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, sono state apportate delle modifiche all’articolo 48 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al comma 3, lettera  c), al comma 13 e al il comma 15-quater con il fine anche di garantire il tempestivo svolgimento delle attività connesse all’attuazione degli interventi di valorizzazione di questi beni previsti dal Pnrr. 

In merito si è espresso il IX Comitato della Commissione bicamerale antimafia nella relazione finale dell’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati, approvata all’unanimità a inizio agosto dopo un lavoro di stesura di oltre due anni. Nella relazione si legge come due terzi dei Comuni con beni sottratti alla criminalità organizzata sul loro territorio non hanno accesso alle informazioni che li riguardano, mentre più di 18 mila immobili e quasi tremila aziende aspettano di essere destinati correndo il rischio di deteriorarsi. Infatti, spesso i motivi del mancato utilizzo dei fondi per i beni oggetto di provvedimento giudiziario sono da attribuire alla lentezza delle procedure lunghe e complesse. Se si pensa che soltanto il 16% dei 68 milioni previsti dal Pon legalità 2014-2020 ha “trovato effettivo impegno o pagamento”, o ancora che il numero dei beni da destinare tra i beni sequestrati e confiscati è di 18.518 immobili e 2.929 aziende distribuiti in 2.176 Comuni, il problema diventa ancora più cospicuo da gestire. Per questo, il Pnrr entra in gioco attraverso lo stanziamento di 300 milioni di euro per la riqualificazione di almeno 200 beni confiscati al fine di garantire la rigenerazione urbana, il potenziamento dei servizi socio-culturali a favore dei giovani, il rafforzamento dei servizi pubblici di prossimità e l’aumento delle opportunità di lavoro. Un altro nodo da sciogliere è rappresentato dal deterioramento e dalla chiusura delle aziende colpite dai provvedimenti giudiziari, che riguarda anche imprese vitali e recuperabili. Difatti, come sottolinea la stessa relazione, il processo di ritorno alla legalità diventa difficile dal momento che le banche vedono nelle misure giudiziarie un aumento della rischiosità e i crediti rappresentano un miraggio. 

Sul tema della vendita immobili confiscati, delle elargizioni pubbliche ad associazioni e sul recupero dei 200 immobili confiscati è intervenuta anche l’Associazione per onorare la memoria dei Caduti nella lotta contro la mafia. Il segretario Andrea Piazza e il presidente Carmine Mancuso hanno reso nota la loro posizione in un comunicato piuttosto critico soprattutto in riferimento alle procedure discrezionali di assegnazione dei beni confiscati sottratti alla criminalità organizzata. In questo senso, chiedono di far cessare “il sistema di elargizione pubblica, favorendo le iniziative etiche portate avanti dal terzo settore antimafia consentendo l’accesso e l’utilizzo temporaneo in forma gratuita di strutture pubbliche funzionali a manifestazioni e/o attività di aggregazione”. Questo, nella prospettiva di “tutelare, preservare ed efficientare il patrimonio illecitamente realizzato nell’ambito dell’attività criminale” possibile solo grazie alla messa a punto della riforma della normativa che regola la gestione dei beni confiscati privilegiando in via ordinaria la vendita del patrimonio mobiliare ed immobiliare acquisito in forza di provvedimento definitivo di confisca. Infatti, l’Associazione suggerisce al legislatore di “rivedere l’impianto normativo, privilegiando la vendita del patrimonio illecito con procedure trasparenti agevolando preferenzialmente le società con fine mutualistico in forma aperta o, in alternativa, la vendita del patrimonio a singoli privati con modalità pubbliche”. Infine, la maggior preoccupazione è rappresentata dall’inserimento nel Pnrr di attività per la riqualificazione e valorizzazione di oltre 200 immobili confiscati: “Rammentiamo – concludono Piazza e Mancuso – che ogni bene immobile o mobile acquisito in forza di provvedimento ablatorio non è più soggetto a tassazione patrimoniale, determinando indirettamente una ricaduta negativa sulla fiscalità generale”.