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Intervista a Carlo Cottarelli. Fra crisi, inflazione e la sua Inter

carlo cottarelli

Oggi direttore dell’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica di Milano, mentre prima dirigeva il Dipartimento Finanza Pubblica del FMI. Ma Carlo Cottarelli è più conosciuto per un’esperienza come Commissario per la revisione della spesa pubblica, sotto il governo Letta nel 2013. Cinque anni dopo, stava quasi per diventare presidente del Consiglio: Mattarella si oppose alla nomina dell’euroscettico Paolo Savona, che i giallo-verdi avrebbero voluto Ministro all’Economia, quindi conferì a Cottarelli l’incarico di formare il governo. Alla fine, però, si trovò un’intesa per Conte.

Ci chiama da Washington, ma Cottarelli ha parlato con noi di Italia ed Europa. Certo, di politica ed economia, dalla crisi di governo al reddito di cittadinanza, ma anche della sua amata Inter e, perché no, di cosa avrebbe fatto se fosse diventato premier.

Sergio Mattarella incontra Carlo Cottarelli nel 2018

Partiamo dall’attualità. Come andrà a finire questa crisi di governo? Gli italiani ne pagheranno le conseguenze?

Sicuramente non ci viene nessun beneficio dalle dimissioni di Draghi. Era meglio andare alle elezioni a marzo, aspettare la fine della legislatura. Ci sono molte pratiche in corso, su tutte il PNRR che sarà ovviamente rallentato. Entriamo in una situazione di incertezza, ma non è una novità per gli ultimi anni…

Condivide quanto ha fatto il governo Draghi?

Sì, Draghi è stato una figura importante in un momento delicato. Però non è neanche la fine del mondo, siamo realisti: la tensione fra i partiti della maggioranza era inevitabile, vista la natura così eterogenea della coalizione. È stata una larga intesa basata solo su un’emergenza, tant’è che quando è venuto meno il problema del covid, era naturale che si arrivasse a questo epilogo.

Dalla pandemia in avanti, sono stati approvati diversi aiuti agli italiani: taglio delle accise, reddito di cittadinanza, bonus psicologo… Qual è la sua opinione su questi provvedimenti?

Io credo che le varie misure siano necessarie, ma dovremmo concentrarci sul dare soldi a chi davvero ne ha bisogno. Alcuni provvedimenti sono stati distribuiti a tappeto: il taglio delle accise, per esempio, ha fatto bene a tutti, anche a chi ha la Ferrari e che non avrebbe avuto bisogno di pagare meno tasse. Invece dovremmo puntare a misure più mirate: il bonus da 200€ sulla base della retribuzione dei lavoratori, il taglio dei contributi in proporzione alle fasce di reddito…

A proposito di calibrare i provvedimenti, abbiamo lo stesso problema anche con il reddito di cittadinanza.

Il problema del reddito di cittadinanza è che è uguale per tutti, ed è sempre la stessa cifra in tutta Italia. Ma dovrebbe essere adattato al costo della vita locale: un conto è vivere in una grande città, un altro in un piccolo borgo. I provvedimenti sociali vanno sempre calibrati.

E il salario minimo?

Questo è un altro discorso. Anzitutto non è più un tabù, visto che tutti i paesi avanzati ce l’hanno. Dovremmo allinearci anche noi, stando attendi a fissarlo a un livello che non sia così basso da essere irrilevante, ma nemmeno troppo alto – altrimenti in alcune aree del paese potrebbe ostacolare la creazione di nuovi posti di lavoro.

Torniamo in Parlamento. I sondaggi favoriscono una maggioranza di destra, ma come si concilierebbe con gli impegni europei, come il PNRR? FdI, Lega e Forza Italia accetterebbero posizioni più europeiste?

Al di là della campagna elettorale, i sovranisti sono sempre stati per l’Europa, ma per un’Europa che rispetta di più l’Italia, in cui dobbiamo battere i pugni sul tavolo se non ci ascoltano, eccetera. Il governo giallo-verde, per esempio, aveva cominciato con posizioni fortemente populiste ed euroscettiche per poi fare dei grossi passi indietro.

Allo stesso tempo, ci sarebbe un effetto sorpresa: i sovranisti non sono mai andati realmente al governo. Noi in questo saremmo il primo paese in Europa, non possiamo sapere cosa accadrà.

Mentre Berlusconi, che è sicuramente il più europeista fra i suoi alleati, come si gestisce?

In ottica UE, è sicuramente un elemento frenante per la coalizione, però per quanto possa essere pro-Europa sta perdendo terreno. Molti deputati di Forza Italia sono usciti dal partito, contrari alla mancata fiducia a Draghi [su tutti i ministri Brunetta e Gelmini, ndr]. Berlusconi quindi resta lì, ma è in posizione di minoranza rispetto ai suoi alleati.

In Italia viviamo la crisi, ma nel frattempo la situazione sul fronte ucraino non si sblocca. Però la strategia dell’UE è chiara: sanzionare. Ma si vince con le sanzioni?

I dati pubblicati dagli stessi russi confermano che la Federazione è entrata in recessione, per il secondo semestre consecutivo. Anche il Fondo Monetario aveva stimato una decrescita del PIL russo dell’8% quest’anno – forse un po’ alto, noi [Osservatorio Conti Pubblici, ndr] siamo arrivati al 5%.

Le sanzioni quindi indeboliscono, ma porteranno i russi a negoziare? No, non credo. Putin può andare avanti per tanto tempo, senza doversi preoccupare di negoziare. Se mai, le sanzioni gli servono da capro espiatorio: se ci sarà la crisi in Russia, sarà colpa degli europei che sanzionano… è difficile pensare a una mediazione in questo scenario.

Questa vicenda ha un legame con l’inflazione?

Non ha realmente a che fare con la guerra, c’era anche prima – fatta eccezione per il gas, ovviamente. Ma il petrolio, per esempio, è già ritornato ai livelli pre-guerra, come i prezzi dei metalli e dei cereali, se escludiamo il frumento. L’inflazione non è dovuta alla guerra, ma a politiche erroneamente troppo espansive. Certo, l’anno scorso servivano, ma poi si è esagerato.

Ora è difficile riportare l’inflazione a livelli più contenuti [siamo all’8,6%, ndr] se non attuando politiche restrittive col rischio di una recessione, che poi è quello che l’UE ha iniziato a fare alzando i tassi di interesse.

Quarant’anni fa, quando gli Stati Uniti toccarono i livelli di inflazione odierni, ci era voluta una recessione per abbassare i prezzi, con tassi d’interesse dell’ordine del 15%. I tassi europei ora sono allo 0,5%, è inevitabile pensare che saliranno ancora…

In ogni caso, credo che abbiamo raggiunto il picco: difficile che l’inflazione vada oltre questi livelli, ma non so stimare quanto tempo ci vorrà per scendere.

Restiamo sull’economia, ma ci spostiamo su un terreno a lei caro: il calcio, e la sua Inter. Che cosa ne pensa del deficit societario dei grandi club europei? Possono continuare ad accumulare debito o si arriverà a un punto di rottura?

Parliamoci chiaro: se continuiamo così, il calcio europeo sarà di proprietà estera, di grandi investitori che ribaltano i bilanci per avere visibilità e sponsor. A me questo non piace perché, per quanto possa essere un economista di area liberal-democratica, il calcio non è soltanto economia. Ci sono valori culturali, per questo vorrei vedere le squadre italiane in mano ai tifosi italiani.

A livello europeo, se non vogliamo andare avanti con società in perdita e dove ogni anno il miliardario di turno ci mette i soldi tanto per pubblicità, ci vuole un financial fair play che funzioni davvero: un tetto agli stipendi, un limite alle oscillazioni finanziarie. Oppure si trovano altri modi per fare entrare soldi, ma io una Superlega non l’andrei mai a vedere!

Infatti all’epoca si era schierato apertamente contro la Superlega.

Anche se c’era in ballo pure l’Inter, vederla nella Superlega solo per un “diritto di nascita”… sarebbe stato totalmente antimeritocratico. Io voglio vedere Inter, Milan, Juventus che se la giocano con la Cremonese, così posso aspettarmi anche dei colpi di scena.

Chiudiamo fantasticando, d’altronde in una crisi di governo si inventano tante fantasie. Lei in realtà ci andò pure vicino: se Cottarelli fosse premier, su quali urgenze si impegnerebbe prima di tutto?

Se parliamo di urgenze, la mia prima sarebbe di sostenere chi ha un reddito più basso davanti al rincaro dei prezzi.

Se parliamo di riforme, invece, ho tre punti: ridurre la burocrazia, perché uno Stato non funziona bene se la macchina burocratica è lenta, poi sicuramente la pubblica istruzione e la sanità. A dire il vero sono tutte tre importanti, scriviamole in ordine sparso!