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Terremoto 2016, un viaggio nei Comuni marchigiani del cratere

San Ginesio – Fronteggia con piglio i monti Sibillini e sorveglia le valli dei fiumi marchigiani. È chiamato il “balcone dei Sibillini” per un affaccio che toglie il respiro, tanto è bello. Ha carattere, così come il nome ribelle che appare come la denominazione tipica di un borgo italiano: il nome di un santo indossato con semplice orgoglio. In realtà, Genesio era un mimo e musico romano che subì il martirio sotto Diocleziano. Si rifiutò di irridere la fede cristiana durante i suoi spettacoli. Così inizia la storia di questo paese della provincia di Macerata, su una scelta di libertà. 

Ha carattere ancora oggi, quando tra i suoi diversi nomi va annoverato quello di Comune del cratere, dopo il 24 agosto 2016.

La passeggiata tra gli edifici medievali è surreale. Bellissima, ma venata di rabbia. Oscilliamo tra la salda fierezza della storia e l’immobilismo obbligato di palazzi fasciati dopo il sisma per garantirne a tutti i costi le presenza tetragona. Il tutto è suggellato da ordinanze esposte e comunicazioni ferme ad allora, ai mesi del post sisma. Più che un orologio con le lancette ferme, sembra il cuore pulsante di una città messo in condizione di restare bloccato, ma vivo.

Sono trascorsi 6 anni. I segni della terra che ha tremato tanto forte sono tutti lì. Lo sgomento è inevitabile per noi che siamo visitatori, figuriamoci per chi da sei anni attende tra pietre ingabbiate e tetti squarciati, intravedendo dagli scuri storti gli oggetti, ancora drammaticamente familiari nonostante la polvere di sei anni. 

I pensieri che vagano si fermano  sugli interventi di messa in sicurezza, con enormi intrecci di acciaio e innesti di grandi travi di legno: sono dei prodigi di ingegneria, di studi matematici e di leggi fisiche, frutto di competenze straordinarie. Sono figli della volontà e delle capacità degli esseri umani. E allora perché non possiamo andare oltre? Costruire, curare le ferite. Nelle “tasche” dei grandi tutori in legno a supporto delle pareti, qualcuno ha anche messo dei vasi con fiori rigogliosi: ed ecco anche l’ingegno e la forza di volontà. 

Poi, qualche cartello di cantiere, di inizio lavori, datato 2020 ci fa sperare ancora che qualcosa si possa muovere (una volta passata anche la pandemia). Eppure noi siamo solo visitatori, siamo consapevoli: che ne sappiamo davvero? A ricordarcelo sono anche le casette (container), all’uscita del paese, che ospitano i negozi. Gli striscioni ricavati da lenzuoli che gridano ancora la paura di allora che è diventata rabbia e ora forse anche rabbia mista a rassegnazione. Ci resta solo il non poter tacere che, come Paese, dobbiamo davvero concluderla questa partita.