Matteo Messina Denaro, il super latitante e quella fallita missione che cambiò la storia

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Matteo Messina Denaro, il super latitante e quella fallita missione che cambiò la storia

Torna adesso paradossalmente alla ribalta giudiziaria, per gli omicidi di Falcone e Borsellino, nonostante sia irreperibile per lo Stato italiano da circa trent’anni. Ricercato dal 1993, solo ora potrebbe subire in secondo grado una condanna come mandante degli omicidi dei giudici e delle loro scorte. Del latitante si parlerà domani mattina, a Roccamena.

Continua anche in questi giorni, senza sosta in Sicilia, la caccia al super boss Matteo Messina Denaro. Nelle scorse ore sono state controllate case, aziende e uffici di soggetti ritenuti vicini alla mafia del Belice. Nello specifico si cercavano anche delle armi. 

Le perquisizioni sono state effettuate a Mazara del Vallo, Campobello di Mazara, Partanna e Castelvetrano, la città di Messina Denaro. Il boss ad oggi rimane uccel di bosco: ormai è un latitante di lungo corso, visto che ha fatto perdere le sue tracce dal lontano 1993. 

Il libro di Bova

E proprio sulla lunga ricerca, finora infruttuosa di Messina Denaro, si terrà domani 11 novembre, presso l’Auditorium comunale a Roccamena (provincia di Palermo), la presentazione del libro di Marco Bova dal titolo “Matteo Messina Denaro latitante di Stato”. Nella sua opera di denuncia, interamente dedicata al super-ricercato di Cosa Nostra, Bova ripercorre nei dettagli ogni tentativo, ogni strada sbagliata, ogni inciampo, che hanno finora determinato la mancata cattura del mafioso. Attraverso un lavoro di indagine, inedito e con l’apporto di fonti dirette, Bova mette in evidenza gli errori, le dispute e le gelosie interne, le interferenze, la cronica mancanza di coordinamento nelle operazioni di ricerca per la cattura del boss. Oltre a questi aspetti, l’opera pone in evidenza come la mafia sia cambiata rispetto al passato, ottenendo legami con la massoneria e con i ‘salotti buoni’, fino alle infiltrazioni nel mondo dell’alta finanza. 

Roccamena, luogo simbolo

Il libro di Bova viene presentato in un luogo simbolo: Roccamena, Comune a 36 km da Palermo e vicino a San Giuseppe Jato, è tristemente legato ad una storia di mafia e violenza. Qui qualche anno fa venne ritrovata una foiba di Cosa Nostra: vi erano diversi scheletri di persone scomparse e finite nelle mani dei mafiosi (https://www.laredazione.net/la-foiba-della-mafia-i-cadaveri-restano-senza-nome-e-il-territorio-senza-verita/).

La missione romana di Cosa Nostra

Proprio in queste settimane il boss di Castelvetrano è tornato alla ribalta anche della cronaca giudiziaria per la cosiddetta missione romana. Era il febbraio 1992 ed alle stragi di Capaci (23 maggio) e via D’Amelio (19 luglio) mancavano diversi mesi. A Roma in quell’inverno era operativo un commando mafioso che voleva uccidere Giovanni Falcone, Claudio Martelli e Maurizio Costanzo. A organizzare il complotto era stato Totò Riina in persona: il capo dei capi aveva affidato la delicata missione agli uomini di cui si fidava di più. Tra Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro. 

La Supercosa contro la Superprocura

Il commando siciliano inviato a Roma apparteneva alla cosiddetta ‘Supercosa’, ovvero la risposta dei boss alla Superprocura, la Direzione nazionale antimafia nata da un’idea di Falcone. Nella capitale il giudice siciliano non aveva la scorta. Doveva quindi essere un bersaglio facile, ma clamorosamente i picciotti sbagliarono le mosse. Ai mafiosi, infatti, avevano riferito che Falcone andava spesso a mangiare al Matriciano, in via dei Gracchi, nei pressi della corte di Cassazione. I boss iniziarono sopralluoghi e appostamenti ma non trovarono il giudice. Le informazioni ricevute erano completamente sbagliate. 

Falcone andava spesso a mangiare a Campo dei fiori, al ristorante La Carbonara, locale di piatti tipici romani ma in tutt’altra zona rispetto a quella attenzionata dagli uomini di Riina. Fu un errore banale che però cambiò la storia e l’evoluzione, tragica, dello scontro tra Cosa Nostra e i due simboli dell’antimafia Falcone e Borsellino. 

La mafia stragista

Potrebbe essere stato proprio l’errore romano a far cambiare idea e approccio alla mafia che, dopo il fiasco nella Capitale, “scelse” la via terroristico/stragista pianificando e mettendo in atto prima il bagno di sangue di Capaci, poi quello di Via d’Amelio. 

Il superlatitante Matteo Messina Denaro, irreperibile per lo Stato italiano dall’estate ’93, già condannato per la stagione delle stragi (Roma via Fauro, Georgofili Firenze, via Palestro Milano, San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro Roma), fino a pochi anni fa non era stato mai processato per le eliminazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ora potrebbe subire, anche in secondo grado, una condanna quale mandante degli omicidi dei giudici e delle rispettive scorte.