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Qatar: i mondiali, i lavoratori e la kafala

In quali condizioni hanno operato gli operai degli stadi?

Cos’è la kafala? Agli italiani, come alla stragrande maggioranza degli appassionati di calcio nel mondo, la parola è praticamente sconosciuta. Ma per capire come si è  arrivati a ospitare il campionato del mondo di calcio in Qatar, occorre partire proprio da questo termine, Kafala, e analizzare le condizioni di vita e di lavoro nel Paese mediorientale. Senza migliaia e migliaia di operai tutte le opere pubbliche realizzate, a partire dagli stadi che ospitano le partite, non sarebbero mai state concluse. Tutto questo a quali condizioni è stato reso possibile?

Boom di popolazione (e lavoratori)

I mondiali di calcio sono stati ufficialmente assegnati al Qatar nel 2010: allora la popolazione totale era di circa 1,7 milioni di persone; oggi invece è di 2,9 milioni di cittadini. Un boom demografico mai visto prima, in un Paese grande come la nostra regione Abruzzo, fatto per il 90% di lavoratori. Ma gli operai e le maestranze sui numerosi cantieri sono stati impiegati seguendo la “kafala”: un sistema antichissimo che regola il diritto del lavoro per gli stranieri nel mondo arabo. L’immigrato giunto a lavorare in Qatar (analogamente a quanto avviene in Arabia Saudita, Oman, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait) doveva rivolgersi a una sorta di sponsor, che vantava diritti nei suoi confronti, come forma di tutela per la garanzia offerta. Tra questi diritti, ci sarebbe stata la possibilità di controllare gli spostamenti del lavoratore, per assicurarsi che non abbandonasse il lavoro. In alcuni casi si sarebbe arrivati anche alla consegna del passaporto.

Lavoro e schiavitù moderna?

Il sistema della kafala è il fulcro di un’economia segnata dallo sfruttamento dei lavoratori (migranti), che di fatto non hanno alcun diritto e le cui condizioni non sono molto lontane da una moderna forma di schiavitù. Ma i lavoratori che in dieci anni hanno segnato il boom demografico del Qatar da dove sono arrivati? Spesso si è trattato di maestranze sottoqualificate che sono state impiegate come operai o addetti alle pulizie, provenienti da Paesi dell’Asia meridionale (India, Nepal, Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka e Filippine). Bisogna sottolineare che negli ultimi anni dopo le pressioni internazionali e le proteste delle associazioni Ong, il governo del Qatar ha varato delle riforme del lavoro: a detta delle istituzioni locali e anche della FIFA avrebbero rivoluzionato il sistema della kafala. Ciò nonostante, un anno fa, Amnesty International ha denunciato molti casi di sfruttamento, definendo le riforme qatariote solo di facciata.

L’inchiesta giornalistica inglese

Come se non bastasse, nelle scorse settimane, il giornale inglese “The Guardian” ha pubblicato un’inchiesta con i pareri di alcuni esperti del mercato del lavoro in Qatar: hanno spiegato i punti critici che ancora permangono. Pete Pattisson, che da anni conduce reportage sullo sfruttamento dei lavoratori in Qatar per il quotidiano britannico, ha scritto che “l’abolizione della kafala ha funzionato per i primi mesi, ma oggi il sistema è a tutti gli effetti ancora in vigore”.

Gli operai impiegati sarebbero stati sottoposti anche a turni di circa 10 ore, diurni o notturni, con temperature che nelle ore di punta raggiungevano i 50 gradi.

Il salario minimo (aumentato solo nel 2021) è stato di appena 275 dollari al mese, che salivano di altri 200 con le indennità di vitto e alloggio. I lavoratori hanno vissuto in grandi casermoni alle porte della città. Sempre secondo l’inchiesta del Guardian, nel 2021, si stimava in 6.500 il numero di operai scomparsi nei lavori. Questa cifra è stata contestata dalle autorità locali perché si tratterebbe semplicemente del numero totale di immigrati morti in Qatar dal 2010 a oggi.

https://www.theguardian.com/global-development/2021/feb/23/revealed-migrant-worker-deaths-qatar-fifa-world-cup-2022

The show must go on

Come diceva la famosa canzone dei Queen “lo spettacolo deve continuare” e così i mondiali di calcio sono iniziati sotto le luci dei riflettori, all’attenzione del grande pubblico dei cinque continenti. Le partite assicureranno, si spera, lo spettacolo e l’intrattenimento, ma resta il dato drammatico delle condizioni subite dai lavoratori per arrivare a permettere questo grande show, sportivo e non solo.