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Big Tech e i licenziamenti: dalle stelle alle stalle

Come e perché Twitter, Amazon e Meta stanno facendo grandi tagli di personale

Successo, investimenti e Big Tech sono tre parole che in questi anni sono state quasi una il sinonimo dell’altra, perché durante i confinamenti avvenuti a causa della pandemia da Covid-19 queste aziende hanno registrato un’impennata di vendite e di iscrizioni, e il motivo non è così difficile da immaginare. Una crescita, tuttavia, che non è resistita al “ritorno alla normalità”, e che ha condotto le Big Tech, così assuefatte al successo, a un calo delle partecipazioni sulle piattaforme e a una diminuzione delle entrate. Fattori, questi, che vanno uniti alle varie problematiche presenti in ciascuna azienda; per quanto riguarda Meta, ad esempio, l’introduzione dell’App Tracking Transparency (ATT) richiesta da Apple ha limitato la capacità delle piattaforme di social media di indirizzare gli annunci pubblicitari, provocando la riduzione degli investimenti in pubblicità sulle app per iOS da parte degli inserzionisti.

Tale recessione ha condotto ai massivi licenziamenti (di Meta, Twitter, Amazon, Microsoft) di cui si parla in queste settimane; non a caso questo periodo è stato definito come la “stagione dei licenziamenti” e se si visita il sito TrueUp la differenza con i mesi scorsi è eclatante. 

I licenziamenti di massa di Twitter

Partiamo da Twitter. Con il passaggio della società a Elon Musk, l’azienda è diventata privata e non più quotata in borsa, permettendo a Musk un ampio raggio d’azione, tra cui anche i licenziamenti. Su 7.500 lavoratori dell’azienda, Musk ha licenziato circa 3700 dipendenti. Una scelta a suo dire obbligata, in quanto Twitter stava perdendo oltre $ 4 milioni al giorno. A subire i tagli maggiori compaiono importanti aree quali quelle della sicurezza, dell’intelligenza artificiale, ingegneristica, dell’apprendimento automatico, ma anche della moderazione dei contenuti.

Le pratiche, spesso discutibili, adottate da Musk oramai sono note; e anche questa volta la metodologia usata dall’imprenditore per avvisare i suoi dipendenti dei licenziamenti in corso è stata il riflesso delle sue pratiche aziendali passate. Il Washington Post ha reso pubblica la mail con la quale il proprietario di Twitter avrebbe comunicato ai suoi dipendenti che sarebbero stati licenziati. In un passaggio si legge: «Se il tuo impiego non è interessato, riceverai una notifica tramite la tua email di Twitter. Se il tuo impiego è interessato, riceverai una notifica con i passaggi successivi tramite la tua email personale. Se non ricevi un’email entro le 17:00 PST di venerdì 4 novembre, invia un’email».

Quindi tutti i 7500 dipendenti avrebbero dovuto, per conoscere il loro destino lavorativo, controllare la mail, non avendo alcuna idea di cosa sarebbe potuto succedere. Ma c’è di più: lo stesso Washington Post ha comunicato che ben prima di venerdì alcuni lavoratori avevano iniziato ad avere problemi d’accesso ai sistemi interni, come ad esempio con il servizio Slack.

Lclass action contro Twitter

I lavoratori però non sono stati passivi, e appellandosi alla Federal Worker Adjustment and Retraining Notification Act (WARN) e al California’s WARN Act, hanno avviato una class action, sostenendo che non hanno ricevuto un preavviso sufficiente del loro licenziamento. Il WARN infatti prevede che le aziende debbano comunicare il licenziamento di massa ai dipendenti con almeno 60 giorni di preavviso. Consultando l’elenco delle notifiche visibili sul sito della WARN Act della California, invece, non compare nessun deposito al 31 ottobre da parte di Twitter.

Anche per chi rimane a lavorare in Twitter comunque si preannunciano tempi duri: lo smartworking sarà eliminato e già dal suo arrivo Musk ha fatto intendere che chi resta deve sottoporsi a lunghe ore ad alta intensità; e come riporta il The Guardian, da alcune stime interne risulterebbe che almeno 1.200 dipendenti a tempo pieno si sarebbero già dimessi.

I tagli di Amazon e i cattivi investimenti di Meta

Twitter non è la sola Big Tech in crisi, a farle compagnia anche Amazon e Facebook. Per quanto riguarda l’azienda di Jeff Bezos, si prevede un taglio di circa 10.000 posti di lavoro, uno dei maggiori tagli che Amazon abbia mai fatto. Tra icomparti che subiranno le perdite più grandi risultano esserci le divisioni di vendita al dettaglio e le risorse umane di Amazon, ma anche il gruppo di dispositivi di Amazon, responsabile degli altoparlanti intelligenti Echo e dell’assistente digitale Alexa.

E poi c’è Meta. Mark Zuckerberg il 9 Novembre ha comunicato che, a causa della recessione che sta colpendo le aziende tecnologiche, è costretto a licenziare più di 11.000 dipendenti, circa il 13% del suo team. Nel caso di Meta  i licenziamenti hanno riguardato tutte le sue sezioni, compresi FacebookInstagramWhatsApp e la divisione VR. I tagli da parte di Meta giungono quasi inaspettati al grande pubblico, soprattutto perché in questi ultimi periodi l’azienda di Zuckerberg ci aveva abituato a forti campagne promozionali sul Metaverso, con i fari accesi verso la sua creatura Horizon Worlds che però, evidentemente, non si è rivelato un prodotto così avvincente e ben realizzato. Le perdite massive di Meta dunque, oltre alle motivazioni già esposte all’inizio di questo articolo, sono da ricondurre anche a investimenti non andati a buon fine.