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Il primo vero partito? Quello del non voto


Esperti ed analisti prevedono una astensione record alle politiche 2022.

Quelle di domenica 25 settembre saranno, in Italia, le elezioni politiche con il più basso tasso di partecipazione al voto. Analisti ed esperti stimano che alle urne andranno circa il 65% degli italiani (fonte Youtrend). Se così fosse sarebbe il record assoluto di astensione da quando è nata la Repubblica italiana (1946).

Trend negativo da oltre 15 anni
Cinque anni fa, alle elezioni politiche del 2018 votarono quasi 34 milioni di cittadini (72,9%), confermando un trend di discesa che è in atto dal 2006 (quando votarono 39 milioni di italiani pari all’83,6% degli aventi diritto). Negli ultimi 15 anni, praticamente, oltre 5 milioni di elettori hanno scelto di non partecipare alle consultazioni per la formazione del Parlamento. L’emorragia di partecipazione si accentua ulteriormente guardando i dati sull’affluenza alle politiche del 2001, del 1996 e del 1994: queste ultime furono le prime che di svolsero dopo la bufera giudiziaria di tangentopoli, che aveva spazzato via i partiti tradizionali (Dc, Psi, Pli, Pri) e le prime di fatto dopo l’estinzione del Pci (dopo la caduta del Muro di Berlino). Il 27 marzo 1994, alle prime elezioni politiche con Forza Italia e Silvio Berlusconi in campo, la partecipazione al voto fece segnare la percentuale dell’86%. Una soglia di affluenza oggi irraggiungibile. Under 35 maggiori assenti
Tra meno di un mese, secondo gli esperti, il tasso più alto di disaffezione dalle urne si registrerà tra gli under 35: addirittura un elettore su due, in questa fascia di età, potrebbe completamente ignorare i seggi elettorali. 
Questi dati, piuttosto preoccupanti, fanno il paio con il tema centrale dei social media: la campagna elettorale appena iniziata è sicuramente la più accesa e partecipata di sempre per l’uso dei vari strumenti digitali contemporanei. I dati generali indicano che il social network oggi più diffuso, facebook, registra circa 35 milioni di utenti attivi in Italia, mentre instagram è quasi a 30 milioni e Youtube a circa 35 milioni. 
Social media: molto rumore, poca mobilitazione ?
Nonostante questi imponenti numeri, la democrazia liquida, come è stata definita la nuova era della politica digitale, non sembrerebbe mobilitare materialmente gli elettori. Sui social media si discute, si litiga, si scambiano idee, si accendono polemiche improvvise, si fa molta propaganda, ma nel concreto, secondo le previsioni, il tumultuoso parlare e discutere di politica e di temi di attualità non determina una effettiva partecipazione al voto dei cittadini. E men che meno le nuove generazioni  cittadini under 35) sono indotte alla partecipazione elettorale sebbene siano quelle che più usano i social per informarsi, esprimere opinioni e discutere. 
Scarsa rappresentanza, bassa partecipazione
Ma come si é determinata questa ormai strutturale tendenza al non voto ? Probabilmente per il motivo più semplice e basilare: gli elettori non si sentono pienamente rappresentati dai vari leader, dai partiti e dagli schieramenti. Dunque scelgono l’astensione. Al tempo stesso, la ridotta partecipazione alle urne genera un altro effetto collaterale negativo: alle elezioni ne trae diretto vantaggio quel leader, partito o coalizione che meglio è organizzato e più riesce a mobilitare i propri elettori. Dunque la vittoria va alla “minoranza” politica meglio strutturata. Se tutte le previsioni verranno confermate, il primo partito di maggioranza relativa tra gli italiani, domenica 25 settembre, sarà quello del non voto (circa il 35% pari a oltre 17 milioni di cittadini). 

L’evanescenza delle leadershippolitiche
Un ulteriore fenomeno molto recente non va sottovalutato. Negli ultimi anni le leadership politiche hanno registrato clamorosi boom elettorali che sono poi evaporati in poco tempo. È il caso di Matteo Renzi che nel 2014 alle europee guido’ il Pd di allora al 41% di consensi, e di Luigi Di Maio, capo politico del M5S che nel 2018 giunse al 32% di voti. Oggi entrambi guidano formazioni politiche molto marginali in termini di consenso e alle elezioni del 25 settembre c’è in ballo la loro stessa sopravvivenza politica. Analogamente,  anche Matteo Salvini ha attraversato un percorso simile: alle europee del 2019 la “sua” Lega balzo’ al 34%, oggi i sondaggi più ottimisti la danno massimo al 14/15%. Un dimezzamento ed oltre di consensi che ha del clamoroso, considerando che sono passati appena tre anni. 

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