Perché la Russia era nel mirino dell’Isis-k

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Perché la Russia era nel mirino dell’Isis-k

«Vi promettiamo, per grazia di Allah, che tutti coloro che partecipano alla guerra contro di noi la pagheranno. Quindi: oh America, aspettaci. Oh Europa aspettaci. Oh Russia, aspettaci! Oh sciiti aspettateci. Oh ebrei, aspettateci».

Queste furono le parole di al-Baghadi, leader storico dello Stato islamico, ucciso a Ottobre 2019.

Una promessa, più che una minaccia.

Dopo le drammatiche notizie provenienti da Mosca, nel pomeriggio di venerdì 22 marzo, sconvolta da un sanguinoso attentato terroristico in pieno centro-città, il dibattito pubblico è tornato a ricordarsi dell’esistenza dei jihaidisti islamici che, in realtà, non sono mai andati in vacanza.  

Chi è l’Isis Khorasan

A rivendicare il massacro nella capitale russa, infatti, è stato l’Isis Khorasan, noto anche come Wilayat Khorasan, un gruppo terroristico affiliato all’Isis attivo soprattutto in Afghanistan, tanto da essere considerato responsabile dell’attentato all’aeroporto di Kabul nell’agosto del 2021, durante i caotici giorni dell’evacuazione occidentale.

Che cos’è la “terra del Sole”

Per Khorasan si intende “terra del Sole”, una regione storica che comprende anche parti dell’Iran e del Pakistan. Il loro obiettivo dichiarato è fondare un nuovo califfato che riunisca questi tre Paesi, ma anche ma anche alcune ex repubbliche sovietiche, come il Turkmenistan, il Tagikistan e l’Uzbekistan. Non a caso uno degli attentatori fermati dalle autorità russe era in possesso di passaporto del Tagikistan. Secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il loro leader è Sanaullah Ghafari. A differenza di altre organizzazioni, l’Isis-K combatte palesemente anche altre organizzazioni islamiche estremiste, come i talebani. Attualmente, lo Stato Islamico afghano è il più attivo nelle operazioni all’estero. Di recente, sono stati scoperti e impediti progetti per compiere attentati sia in Germania, sia in Austria. L’Isis-K è lo stesso responsabile dell’attentato a Kherman, in Iran, che all’inizio dell’anno ha fatto almeno cento vittime. Per i miliziani dello Stato Islamico, un francese morto al Bataclan è cosa buona come un russo morto al Crocus City o un iraniano in marcia sulla tomba del generale Soleimani.

L’Isis-K era pronta ad attivarsi anche contro le comunità ebraiche, come ritorsione contro le operazioni israeliane a Gaza. E questo stava per avvenire proprio a Mosca.

Solo due settimane fa, infatti, i servizi segreti russi avevano eliminato una cellula di questo gruppo nell’area di Kaluga, dove si stava pianificando un attacco contro una sinagoga nella capitale russa. E, ancor più recentemente, le ambasciate statunitensi e britanniche avevano messo in allerta sulla possibilità di imminenti attentati terroristici nei territori della federazione.

Perché la Russia era tra gli obiettivi dell’Isis-k

L’Isis-k ha nel suo mirino la Russia da almeno due anni secondo gli osservatori più autorevoli. Negli ultimi anni Putin era un bersaglio privilegiato nei loro materiali di propaganda e proselitismo. Il Cremlino è accusato per il suo pugno duro contro i musulmani-sunniti, a causa degli interventi militari in Afghanistan, in Cecenia e in Siria. Conflitti con radici assai diverse ma con quel comune filo conduttore.

Putin è accanto al Presidente siriano Al-assad sin dall’inizio del conflitto, quando aveva la fattezze di guerra civile tra regime e opposizione, prima delle infiltrazioni dei jihadisti di Isis, la cui sconfitta è stata principalmente attribuita a Mosca.

Fra i guerriglieri anche quelli provenienti della Repubbliche russe del Caucaso, che una volta rimpatriati nel 2018, hanno alzato l’asticella delle minacce. Anche la presenza della Russia in Africa Occidentale viene interpretata dai fondamentalisti islamici come un ostacolo alla propria missione di espansione. Come abbiamo già abbondantemente raccontato nella nostra inchiesta sul continente africano, lì l’interesse del Cremlino è soprattutto economico, per le risorse minerarie e le rotte commerciali, offrendo in cambio sostegno e protezione ai Governi e alle élite locali, come manifestato durante i golpe in Mali, Burkina Faso e Niger.

Africa, terra di business e di armi – La Redazione

Per tutti questi motivi, la Russia non è una novità nelle mappe dell’orrore dei jihadisti. Il popolo russo ha fresche, nella propria memoria, le ribellioni islamiste nel Caucaso settentrionale, con le due guerre degli anni ’90 e una lunga serie di feroci attentati che fecero stragi di civili in varie città. 

I precedenti

Sono trascorsi venticinque anni,  dal settembre 1999, quando Putin era stato appena nominato Primo Ministro e degli attentati dinamitardi abbatterono alcuni grattacieli di Mosca e Volgodonsk. Le bombe furono attribuite ai ribelli della Cecenia e del Daghestan, ma non ci una rivendicazione ufficiale. Nell’autunno di quattro anni dopo, si consumò il drammatico assalto al teatro Dubrovka di Mosca. Un commando ceceno prese in ostaggio 850 persone. Le forze di sicurezza aprirono la strada all’irruzione disperdendo gas velenosi nell’ambiente, che tuttavia provocarono vittime anche fra gli ostaggi. Il primo giorno di scuola di un asilo di Belsan, nel 2004 si trasformò in una tragedia, quando un gruppo di terroristi caucasici prese in ostaggio bambini, insegnanti e genitori. L’assalto delle forze russe portò alla liberazione degli ostaggi ma con un bilancio pesantissimo, almeno 180 furono infatti i bambini rimasti vittime collaterali dell’operazione di salvataggio. Nel 2010 e nel 2011 due combattenti islamiche si fecero esplodere a Mosca, nella stazione metro e nell’aeroporto Domodedovo. Più recente l’ordigno deflagrato in un vagone della metropolitana di San Pietroburgo nel 2017. L’attentato fu rivendicato proprio dal gruppo di Isis-K.

Quale sarà la reazione di Putin?

Adesso, la domanda che più si fa spazio è: quale sarà la reazione di Putin?

Per l’attentato subito ad inizio anno dallo stesso gruppo, l’Iran ha reagito colpendo anche i territori curdi e la regione separatista del Belucistan, approfittando della fame di vendetta per un regolamento dei conti interno, che poco aveva a che fare con i terroristi di matrice afghana. Seguendo lo stesso copione, Putin non ha perso tempo ad accusare l’Ucraina di complicità con gli attentatori di Mosca. Dice che alcuni di loro sono stati catturati mentre cercavano di fuggire proprio verso Kiev. Dirigersi in auto verso l’Ucraina dalla capitale russa, significa percorrere centinaia e centinaia di chilometri proprio verso i soldati russi in trincea ben equipaggiati, stanziati al confine di guerra. Insomma non proprio una via di fuga sicura. Poco credibile, insomma la teoria della connivenza di Zelensky e soci. E, poi, perché escludere che i fuggitivi fossero diretto invece verso la Bielorussia? Lo stato islamico afghano sulla sua rivista ufficiale, nel 2022 invitava tutti i radicalizzati del mondo a non partecipare alla guerra fra Russia e Ucraina, per lasciare che i “crociati” si uccidessero fra di loro. Personalmente, mi pare più probabile, il coinvolgimento di alcuni fra gli ex-combattenti della compagnia Wagner, “licenziati” da Putin e dagli apparati della Difesa del Cremlino, dopo la scomparsa del loro leader Prighozin. Ma è ancora presto per una vera risposta, semmai la avremo. E se la avremo, forse, sarà già troppo tardi, perché la propaganda corre più veloce. Esprimo tutta la mia vicinanza alle famiglie delle vittime dell’attentato del Crocus City di Mosca.