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Potevate dirlo prima, ma prima quando? La storia del Superbonus

Il nuovo capitolo si arricchisce con la soluzione di spalmare i crediti da portare in detrazione su dieci anni, anziché su quattro.

Come il Vajont. Le parole del Ministro Giorgetti a margine dell’audizione in Senato della scorsa settimana hanno rimesso al centro del dibattito il tormentone Superbonus 110%.

Il nuovo capitolo si arricchisce con la soluzione proposta dal titolare dell’Economia di spalmare i crediti da portare in detrazione nelle dichiarazione dei redditi su dieci anni, anziché su quattro. «Non una possibilità, ma un obbligo». Ha fatto sapere il 57enne di Cazzago Brabbia.

L’estensione dell’arco temporale su cui spalmare i crediti relativi alle spese sostenute favorirebbe i contribuenti con bassa capacità fiscale, ma soprattutto darebbe fiato alle casse dello Stato, diluendo l’impatto di quei crediti sui conti. Su questo fronte, proporrà una modifica mirante a imporre l’obbligatorietà e non la volontarietà, come contemplato da molti emendamenti, di fruirne in dieci anni e non più in quattro. Tanto è bastato per mandare in tilt il Governo con una netta contrarietà espressa dal vice-premier Antonio Tajani, leader di Forza Italia, che ha portato Giorgia Meloni a ricorrere alla questione di fiducia in Aula pur di permettere alla norma di essere approvata. L’infatuazione di Forza Italia per il Superbonus 110% non è nuova e risale già ai tempi del Governo di Mario Draghi, quando insieme al Movimento 5 Stelle era fra i più irriducibili paladini della misura eccezionale, introdotta in pieno lockdown.

Paladini, ma senza ammetterlo. Tutti gli istituti di analisi sono d’accordo sul fatto che il Superbonus 110% abbia pesato e continui a pesare sul debito pubblico, come mai nessun altro provvedimento. Anche Paolo Gentiloni, Commissario agli Affari Economici dell’Unione Europea ha letteralmente dato ragione a Giancarlo Giorgetti, definendo quella misura «molto, molto pericolosa».

Uscendo dalla cronaca quotidiana, ci interessa oggi soffermarci su un aspetto, che in questi anni non è mai emerso davvero.

Il peso del bonus

Nessuno vuole prendersi la responsabilità di 160 miliardi caricati sui conti pubblici, che diventano 220 se si contano gli altri bonus e che ora lo Stato fa fatica a sostenere.

C’è chi rivendica con orgoglio di aver inventato un incentivo più alto della spesa che deve sostenere: Giuseppe Conte che, ai tempi del suo Governo, andava in giro annunciando che gli italiani avrebbero potuto ristrutturarsi casa gratis. Ha fatto comodo, tuttavia, anche a tanti altri partiti girarsi dall’altra parte, anche quando i segnali che qualcosa non andava erano chiari. Quando a Palazzo Chigi sedeva Mario Draghi, il suo Ministro dell’Economia, Daniele Franco sentenziò che il bonus rappresentava «una truffa fra le più grandi che la Repubblica abbia mai visto» e inoltre il conto per le uscite dello Stato già aveva iniziato a lievitare rapidamente.

Già all’epoca l’Enea aveva avvertito che in soli sei mesi la spesa era triplicata, da 6 a 18 miliardi. Di fronte a questi allarmi, il Governo provò a bloccare le cessioni multiple del credito. Con un decreto stabilì che se ne poteva fare solo una. Poi però, iniziarono le recriminazioni del Movimento Cinque Stelle e di Forza Italia e le cessioni diventarono due e poi tre, rimettendo in moto l’allegra giostra. Mario Draghi finì per prorogare la misura a tutto il 2023 e strutturare un decalage delle misure di sconto da inizio 2024. Il pilastro principale di quell’esecutivo era proprio il Movimento Cinque Stelle, che sin dalle prime consultazioni mise in chiaro come la proroga del Superbonus fosse indispensabile per la transizione ecologica  e che proprio la transizione ecologica fosse la materia che aveva fatto nascere il governo.

Al punto che vi fu dedicato un dicastero, con tanto di Super-Ministro. Probabilmente fu dopo queste rassicurazioni che Vito Crimi, l’allora leader pro-tempore del Movimento, poté affermare negli studi di La7 «Draghi più grillino di così non lo potevamo immaginare». In realtà, non esisteva persona più indicata di Mario Draghi per spiegare che una agevolazione con un’aliquota superiore al cento per cento non esiste in nessun Paese del mondo. Il Superbonus sarebbe dovuto esser una misura di breve durata, ma che per esigenze politiche nessuno è riuscito a bloccare. Un classico all’italiana. Le responsabilità devono ricadere anche sui tecnici, a partire dalla Ragioneria generale dello Stato, accusata di aver sottostimato l’impatto sui conti pubblici inizialmente previsto in soli 35 miliardi. Lo spiega molto bene Luciano Capone, in un approfondimento sulla rivista economica di Tito Boeri. In tal senso, a Giorgetti non sono piaciute neanche le recenti memorie di Bankitalia, laddove chiede di mettere subito fine all’incentivo se anche il nuovo decreto del Governo dovesse fallire nella stretta. «Sarebbe stata gradita se fossero arrivate nel 2022 o nel 2023, mentre arriva nel 2024 quando il Governo sta esattamente facendo questo», ha risposto Giorgietti.

Potevate dirlo prima, insomma, ma prima quando?

Quando per esempio si iniziò a comprendere che la misura creata durante il lockdown del 2020 per rilanciare l’edilizia, aveva delle maglie così larghe da consentire truffe inimmaginabili. Le continue proroghe del 110 per cento sono state rese possibili sino ad oggi dalla sospensione delle regole europee sui conti pubblici. Quelle stesse regole che ora, in una nuova versione, stanno tornando in vigore e costringono a fare i conti con il principio di realtà. Arrivati a questo punto, però, chiudere il bonus è ben più doloroso che se fosse stato fatto qualche anno fa. La valanga è partita.