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Frankenstein, più di duecento anni per il capolavoro della giovanissima Shelley

È considerato il primo romanzo di fantascienza, in bilico tra scienza e pulsioni umane

di Simone Cataldo

Sono trascorsi 204 anni dalla prima pubblicazione di “Frankenstein, ossia il moderno prometeo” scritto da Mary Shelley. Un testo tutt’oggi moderno.

Cari lettori, benvenuti nel 2022. L’1 gennaio non è soltanto la data in cui cade il primo giorno dell’anno, ma anche la pubblicazione nel 1818 di “Frankenstein, ossia il moderno prometeo” con cui si diede un apporto di non poco conto al mondo della letteratura. Seppur, quello di Mary Shelley, per molti rappresenti uno degli ultimi capolavori tra i romanzi gotici, per un altro filone della letteratura lo si può considerare il primo racconto di fantascienza – per impostazione e svolgimento degli accaduti all’interno dell’opera. Seppur ad oggi il nome del testo sia spesso associato a un mostro, Frankenstein è il nome del dottore che ingegnò la creazione della gigantesca creatura al centro delle dinamiche. Un errore veicolato dal messaggio errato passato negli anni durante le riproposizioni del racconto, ed oltretutto dovuto in gran parte alla spettacolarizzazione – ad esempio la sua figura per un certo periodo è stata una delle più celebri durante i festeggiamenti nella serata di Halloween.

Diversi sono gli spunti di riflessione sull’animo umano a cui ci inducono le 280 pagine che compongono Frankenstein, ma a darne una visione analoga, anzi forse più moderna, è stato il mondo del cinema in questi anni. Dopo una serie di film, si è deciso di dar vita ad una serie tv, ovvero “The Frankenstein Chronicles”. Ad oggi disponibile su Netflix e pubblicata in Inghilterra nel 2015, è arrivata in Italia quattro anni fa – proprio in occasione del duecentesimo anno dalla sua pubblicazione. Pertanto il processo di attualizzazione passa anche dagli spettacoli a teatro e dalle pellicole, con alcune di esse che possono aumentare la comprensione dell’opera.

Perché Frankenstein può essere ancora considerato attuale?

Avete mai creduto a quegli insegnati, amici o conoscenti che vi invitano a leggere un classico? Personalmente all’inizio ho sempre creduto che fosse opportuno leggere testi attuali, ma con il tempo mi sono convinto che un’opera del “passato” possa in realtà offrire molti spunti in chiave moderna. Ed è per questo che ancora oggi Verga viene ricordato per la questione meridionale. In tal senso Frankenstein l’ho riletto pochi giorni fa, a distanza di qualche anno dalla prima lettura, e non posso negare di aver ritrovato atteggiamenti e sentimenti ancora vivi dentro di noi in questa epoca.

Lo spunto dominante ci riporta ai moti di pensiero dei primi dell’Ottocento, con il positivismo che infonde fiducia nella scienza e nella tecnologia in voga con la prima rivoluzione industriale, motivo per il quale si raffigura uno scienziato che vuole abbattere i dogmi religiosi e la figura di un “Dio”, cercando di dare vita a una creatura assemblata con parti di corpo di vari cadaveri. E se questo pone il tema della scienza trasgressiva – l’uomo che spodesta Dio e si rende creatore -, dall’altra parte è possibile imbattersi in temi come quello della giustizia, in occasione della condanna a Justine Moritz, le cui conseguenze si abbattono sulla famiglia, oppure il “dramma sanguigno” troppo distante da una nostra realtà e dunque considerato inverosimile.

A proposito di quest’ultimo, a seguito della morte di William (fratello di Victor ed Elizabeth) per mano della creatura, con conseguente condanna inflitta alla badante Moritz, compare un dialogo di Elizabeth. “Una volta, i racconti di crudeltà e di ingiustizie che leggevo nei libri o che mi capitava di ascoltare sembravano storie del passato o mali immaginari; per lo meno erano distanti, più vicini alla ragione che all’immaginazione [..] William e Justine sono stati assassinati, e l’omicida è fuggito; va per il mondo, libero e magari rispettato. Ma perfino se fossi condannata a morire sul patibolo per gli stessi crimini, io non vorrei essere al posto di un simile sventurato”. È interessante osservare come la prima parte sia ricollegabile tutt’oggi a una dinamica a noi vicinissima. Un fenomeno che si verifica e di cui possiamo trovar traccia anche nel contesto nazionale, con il provincialismo più chiuso in Italia che comporta una visione lontana delle tragedie da regione a regione, se non proprio da provincia a provincia.

Un altro fatto che attanaglia Elizabeth è l’ingiusta condanna a Justine che, per come viene raccontata, ci riporta alle ingiustizie sociali di cui abbiamo traccia tutt’oggi. Seppur la burocrazia italiana sia molto lenta, spesso le sentenze si rivelano lontane da una realtà che emerge poi a distanza di anni. Inoltre, è significativo il passaggio in cui Justine prima di essere giustiziata dispera per l’incolumità, dicendosi convinta di voler morire perché ormai marchiata del presunto crimine per cui è andata a processo. Ancora oggi questa “vergogna”, o quello che Goffman chiamava “palcoscenico” , è alla base delle relazioni sociali.

Un’altra chiave di riflessione, non di certo l’ultima offerta dall’opera, ma trattata da noi perché impossibile analizzare il testo in ogni sua sfaccettatura, assume tratti storici: l’uomo all’epoca veniva assalito dalla paura di perdere il controllo sulle macchine, questo tema lo si ritrova nella riproposizione del mostro creato da Victor Frankenstein. In fin dei conti, è ancora oggi un tema attuale che, in parte, parte della scienza – la sociologia – ha ricondotto ai media. Per esempio, McLuhan che non pochi decenni fa tenne a specificare come l’uomo dovesse, rispetto ai congegni creati, “gestirli affinché non venisse sopraffatto da loro”.

E se Frankenstein fosse esistito?

Non è di certo una novità: Mary Shelley, in realtà, ha tratto spunto non solo dalle opere di Jhon Milton (Paradise Lost) e Goethe (il poema in cui lo scienziato Faust è protagonista), bensì da dicerie e fatti reali che raccontavano di scienziati che tentavano, ad inizio Ottocento, di riportare in vita i morti. Una sfida, quella della scienza, che non è certamente morta e che assilla ancora oggi i nuovi Frankenstein. Il nonno del famoso Charles Darwin, Erasmus, fu il primo ad affermare nel XVIII secolo di essere riuscito a rianimare la materia morta assemblando pezzi di cadaveri.

Se ai tempi fu il galvanismo a porre l’idea per un tale esperimento, oggi con tecnologie all’avanguardia è impossibile non pensare che non  esista un qualche dottor Frankenstein nascosto nel proprio laboratorio, intento in un’impresa che, testimonianze ufficiali alla mano, non ha mai avuto esiti positivi. E se dunque questa storia non fosse solo frutto di una ingegnosa ventenne Mary Shelley? Sarà difficile trovare una risposta nei prossimi anni, nel frattempo noi ci accontentiamo di rileggere un’opera affascinante che a distanza di oltre duecento anni è capace di suggestionare ancora l’animo umano.