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Iran, al via le elezioni “farsa”

In Iran il 1° Marzo andrà in scena uno spettacolo già visto e di cui si conosce il finale: le elezioni. Venerdì infatti gli iraniani voteranno sia per le elezioni Parlamentari che per l’Assemblea degli Esperti, ruolo di quest’ultima è quello di scegliere e supervisionare nominalmente il lavoro del leader supremo del Paese (attualmente l’ayatollah Khamenei).

Elezioni che avvengono in un clima sociale teso dove la popolazione ha perso fiducia nelle istituzioni, da una parte per l’incapacità di gestire la crisi economica e l’inflazione galoppante, a riguardo ricordiamo che all’inizio dell’anno gli operai (in particolar modo i petrolchimici) hanno scioperato per settimane, sostenuti dai membri delle corporazioni e dai pensionati, preoccupati anche loro della crisi in corso. Dall’altro lato tale divario tra il governo e il popolo trova il suo germe nelle proteste nazionali del 2022, in cui le istituzioni oltre non saper rispondere alle richieste dei cittadini, ha cercato, e cerca, con ogni mezzo di silenziare le voci del dissenso. 

Scarsa affluenza: il regime cerca di “convincere” l’elettorato

Per questi motivi per le elezioni di venerdì ci si aspetta un’affluenza molto bassa. Un recente sondaggio condotto dall’istituto olandese Gamaan ha rilevato che il 77% degli intervistati non intende votare alle prossime elezioni dell’Assemblea consultiva islamica, mentre l’8% è indeciso, inoltre il 39% di coloro che hanno votato alle elezioni dell’Assemblea del 2019 non intendono votare quest’anno. Tra coloro che votano per la prima volta, il 65% non pensa che andrà a votare, mentre circa il 27% sì. 

Lo stesso sondaggio informa che se si tenesse un referendum, quasi il 75% degli intervistati direbbe no alla Repubblica islamica.

A dare supporto a questi dati anche il recente comunicato firmato da 275 attivisti politici, sociali e culturali iraniani che, definendo “manipolate” le prossime elezioni nel Paese e in contrasto con il diritto generale di sovranità del popolo, dichiarano che non andranno a votare, sottolineando l’urgenza di riformare il sistema elettorale per garantire una reale partecipazione e rappresentanza. 

Per capire meglio il contesto ho chiesto a Jalal Saraji, portavoce dell’Associazione Democratica degli Iraniani – Venezia, e tra i primi rifugiati iraniani politici in Italia (venne ricevuto dal Presidente Pertini nel 1979 dopo essere fuggito dal regime dello Shah) cosa ne pensa di queste elezioni: «Mai nella storia in Iran si era visto una così dilagante convinzione ad astenersi e una chiamata generale tra i cittadini al “non andare a votare”, a parer mio questo voto è un consenso al massacro e l’inchiostro per il voto lo vedo come il sangue del mio compatriota, quindi ovviamente sostengo tutti quegli iraniani e quelle iraniane che non andranno a votare».

Ovviamente la Repubblica islamica dell’Iran non lascia nulla al caso, e per questo, informa Iran International, i funzionari iraniani stanno utilizzando varie argomentazioni per convincere l’elettorato esitante a non astenersi dal voto. Per invogliare le persone a votare i funzionari stanno cercando di fare leva sul sentimento nazionale,  sull’odio verso i nemici (Stati Uniti in primis), e sul fatto che votare sia un “dovere religioso” 

«Nonostante le diverse affiliazioni politiche, funzionari e sostenitori del regime convergono sulla convinzione che l’affluenza alle urne, piuttosto che la selezione dei singoli candidati, rivesta un’importanza fondamentale nelle elezioni» riporta Iran International. 

L’affluenza alle urne rappresenta quindi la parte più importante di queste elezioni, in quanto un’adesione alta legittimerebbe maggiormente l’esistenza del regime, e una sua approvazione, al contrario un basso numeri di votanti destabilizzerebbe l’immagine delle istituzioni e delle rappresentanze del Paese, per altro già in crisi. 

A pensarla in questo modo è anche Mirza (nome di fantasia), un iraniano attualmente in Italia: «Gli iraniani sono consapevoli che queste elezioni sono simboliche e non reali; e che servono al regime per fare propaganda e far vedere che la popolazione va a votare e che, dunque, il popolo crede ed accetta le sue istituzioni. Tuttavia, oltre provare a convincere le persone a recarsi alle urne, il regime ha molti poteri per costringere le persone a votare minacciandoli, ad esempio, che se non vanno perderanno il lavoro». 

A questo punto chiedo a Mirza se è solo un fatto di numeri oppure se ha, in qualche modo, anche importanza il candidato che viene in maggioranza votato; la risposta di Mirza non lascia spiragli a interpretazioni: «Il voto non ha molta importanza, primo perché i candidati sono tutti affiliati a Khamenei, di conseguenza non interessa ciò che votano le persone, poi conta che in Iran, non essendo una democrazia, il voto può essere truccato e per far vedere che c’è stata affluenza il regime potrebbe perfino usare le carte di identità delle persone defunte». 

A far eco a questo pensiero di Mirza è Farnaz (nome di fantasia), una ragazza iraniana: «Tutti i candidati sono approvati dal governo e tutti i candidati accettano questo regime islamico al cento percento e nessuno di loro fa niente contro gli ordini di Khamenei. Un candidato vale l’altro, perché sono tutti uguali. Anche le persone responsabili del conteggio dei voti sono scelte dal governo, e alcuni di loro lavorano per i Basij. A questo punto credo che non contino nemmeno i voti. Vedi da sempre in Iran funziona così quindi non mi stupisce più nulla».

Candidati scelti dal regime e un sistema elettorale non trasparente

Candidati “facciata” e un sistema elettorale non trasparente, come enunciato anche da Mirza e Farnaz e nel comunicato dei dissidenti, sono le irregolarità che oppositori, cittadini e attivisti contestano in queste elezioni.

Partiamo da quest’ultima: il sistema di voto cambiato. Per la prima volta nelle elezioni iraniane, i certificati di nascita degli elettori non verranno timbrati e per votare potranno utilizzare anche i documenti di identità, le patenti e i passaporti. Se ne deduce che una persona può votare più volte, presentando di volta in volta tipi diversi di documenti. A queste perplessità ha risposto, tramite il giornale Hayat, Hashem Kargar, capo dell’organizzazione iraniana del registro civile e membro della task force elettorale affermando che l’organizzazione ha fornito dati elettronici al ministero degli Interni per autenticare i documenti d’identità degli elettori e le schede elettorali.

Sui social gli oppositori e i cittadini però ribattono che in Iran non esiste un sistema locale di registrazione del voto, e che quindi tale nuovo metodo potrà permettere facilmente brogli, e poi, come ricordava Farnaz i funzionari pubblici sono tutti interni al regime 

Affiliati al regime sono anche i candidati che, informa Iran International: “Sono stati sottoposti ad un approfondito controllo da parte di vari organismi di sicurezza, tra cui l’organizzazione di intelligence delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC) e il Ministero dell’Intelligence. Questo processo garantisce l’esclusione dei rivali politici dalla competizione”.

Non sorprende dunque che a essere esclusi dalla candidatura siano stati i riformisti, ma anche i conservatori più moderati, o addirittura l’ex Presidente Hassan Rouhani (in carica dal 2013 al 2021) perché considerato “troppo liberale”; mentre il Fronte Nazionale dell’Iran ha rinunciato a candidarsi, descrivendo le elezioni come “distorte, irrealistiche e malsane” in quanto in Iran non esistono partiti politici liberi.