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Startup innovative e promettenti, eppure si torna dal notaio per costituirle

di Salvatore Baldari

Durante la sua campagna elettorale per le presidenziali del 2017, Emmanuel Macron proclamò con enfasi: ‹‹Voglio che la Francia diventi una Startup Nation!››.

Nell’economia contemporanea il ruolo delle startup è divenuto sempre più determinante. Infatti, stando a molteplici statistiche, l’1% delle migliori startup è stato in grado di generare il 40% dei nuovi posti di lavoro, su scala annuale.  

Anche da questo dato, si comprende il motivo per cui Macron lo pose come una fra le priorità della sua agenda di Governo.

Startup Nation

La locuzione “startup nation” deriva dal titolo di un libro di Saul Singer e Dan Senor, che si interrogava sulle ragioni che avevano permesso ad Israele di diventare il Paese con il tasso di insediamento di startup e venture capital più alto al mondo, a livello pro-capite.

Trasportare in Francia, l’ecosistema vincente di Israele per le industrie innovative era una ambizione di Macron che più volte ha voluto chiamare in causa gli operatori economici d’Oltralpe. La sua idea era di trasformare lo Stato in una piattaforma abilitante e per riuscirci ha cercato di intraprendere azioni orientate lungo tre direttrici: incentivi per gli investitori di capitale con propensione a rischio, investimenti in settori strategici e promozione dei partenariati fra aziende giovani e aziende strutturate.

Solo poche settimane fa, ormai a fine mandato, ha voluto dare un ulteriore slancio a questo politiche, presentando “France 2030”, un programma articolato, che impiega oltre trenta miliardi in energie rinnovabili (anche il nucleare), mobilità, agricoltura di precisione e componenti elettroniche. Ma la Francia non è l’unico Stato che sostiene la nascita e la crescita di startup, ciascuno applicando propri modelli ed orientamenti.

Proprio come la Francia, ad esempio, il Regno Unito punta su finanziamenti pubblici e sgravi fiscali. La Germania invece cerca di porsi da mediatore per facilitare le interazioni fra domanda e offerta di capitale. Proprio l’approccio tedesco è un caso emblematico, in quanto si propone di stimolare una cultura imprenditoriale sin dalla scuola, con politiche istruttive indirizzate al business e all’innovazione.

Il 2020 delle startup: un ecosistema da 50 miliardi 

Dal 2010, l’ecosistema startup in Europa ha registrato una crescita esponenziale, capace di attrarre quasi cinquanta miliardi di euro nel 2020, con un incremento di sei volte rispetto a dieci anni prima e generando oltre due milioni di posti di lavoro.

Ciononostante, nel Vecchio Continente la situazione non è uniforme per tutti i Paesi.

Se consideriamo quello che più ci tocca da vicino, naturalmente l’Italia, qui il target di investimenti di venture capital risulta ancora decisamente inferiore, se messo a confronto con gli altri partner europei.

Il mondo delle startup in Italia

Richiamando in causa la Francia, dove nel 2020 sono stati impiegati 20 miliardi in capitale ad alto rischio, per l’Italia la quota è ferma a mezzo miliardo. Se la Francia può vantare ventuno mila startup riconosciute, l’Italia quasi diecimila in meno.

Eppure, già nel 2012 il nostro Paese fu tra i primi nelle economie Ocse a varare un pacchetto normativo finalizzato ad alleggerire il carico burocratico sulle imprese e stimolare lo sviluppo di alcuni settori strategici. Lo “Startup Act” italiano, all’avanguardia per quegli anni, innanzitutto introdusse per la prima volta una definizione giuridica di startup innovativa, riconoscendone l’esistenza legale, poi si concentrò su una serie di interventi ad hoc, su tutti una revisione del diritto fallimentare e un credito d’imposta per chi investe nelle startup. Parallelamente, nello stesso anno, con  il decreto Crescita-bis disciplinò, per prima in Europa, il ricorso al crowdfunding, per favorire la capitalizzazione e il finanziamento delle piccole-medie imprese anche da parte delle entità non bancarie. Nel 2014, poi, il Governo successivo cercò un ulteriore sforzo nell’implementazione di queste misure, mirando al processo di internazionalizzazione delle imprese innovative, con lo Startup Visa, un visto per lavoratori autonomi gratuito, centralizzato, rilasciato rapidamente, richiedibile online, per consentire a figure qualificate provenienti da tutto il mondo di lanciare una startup in Italia o di partecipare ai processi di ideazione e creazione delle stesse. Lo stesso esecutivo arricchì la materia con un nuovo Decreto Legge più noto come “Investment Compact” che estese alcune delle agevolazioni previste per le startup innovative anche alle piccole-medie imprese con le medesime caratteristiche.  

Un altro tassello, venne aggiunto nel 2018 con la creazione del Fondo Nazionale Innovazione, un fondo di investimento in cui far convergere investitori privati e Casse di Previdenza. Tuttavia, di questi, soltanto 600 milioni sono stati adoperati per finanziare startup italiane.

Un passo indietro per le startup innovative, si torna dal notaio per costituirle

Nonostante tutte queste iniziative, solo pochi giorni fa, esattamente il 9 novembre, abbiamo accusato un importante passo indietro, quando il Consiglio dei Ministri ha eliminato la possibilità di costituire online una SRL (e di conseguenza anche una startup innovativa).

Questa determinazione è maturata come conseguenza del ricorso attivato dal Consiglio nazionale del notariato, il quale chiedeva l’annullamento di un decreto del 2016 che consentiva appunto la costituzione di startup innovative senza preventivo atto pubblico notarile. La preoccupazione è che, oltre a risultare in controtendenza rispetto al resto dell’Europa, la diffusione della notizia potrebbe avere un impatto negativo sull’ecosistema startup italiano, già di suo in ritardo rispetto a quello degli altri Paesi Europei.

I numeri ci indicano inequivocabilmente come, sebbene ci siano stati sforzi normativi negli ultimi due lustri, oggi l’Italia sia ancora lontana dal potersi definire una startup Nation. Sarà fondamentale adottare un approccio nuovo, più sistemico, che incoraggi investimenti di capitale di rischio e che proponga focus su settori strategici.

Un impulso potrebbe arrivare dalla Commissione Europea che, con il programma “Startup Europe”, si è posta l’ambizione di potenziare le occasioni di incontro e cooperazione tra aziende tradizionali e startup, così da accelerare l’espansione dell’intero ecosistema.

Al di là di tutte le policies attuabili dai Governi, la leva più influente non può non essere un diverso orientamento culturale, una consapevolezza più matura che permetta di capire le startup, di comprendere che hanno bisogno di soldi per crescere e di tempo per prosperare.

Del resto, non facciamo uno sgarbo a nessuno, se auto-annoveriamo la nostra esperienza, a testimonianza di quanto appena affermato. Il nostro giornale, La Redazione.net, può essere considerato a tutti gli effetti un startup ben riuscita. Nata appena un anno fa, grazie al sostegno di donatori e sponsorizzazioni, in pochi mesi ha costruito una fitta rete di collaboratori operativi un po’ da tutte le regioni d’Italia, i cui lavori ed impegni, ci auguriamo, potranno continuare ad essere apprezzati da tutti voi, nostri affezionati lettori, per continuare a crescere ed affermarci, insieme.