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La banalità del male, sessant’anni fa

L’edizione originale del libro della Arendt fu pubblicata nel 1963, l’edizione italiana uscì l’anno dopo.


Poche settimane sono passate dalla ricorrenza del Giorno della Memoria che ogni 27 gennaio commemora le vittime dell’Olocausto, in quel giorno del 1945, infatti, l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz. A quasi ottant’anni di distanza da uno dei più tragici avvenimenti che la storia dell’umanità ricordi, oltre a ricordare il genocidio perpetrato tra il 1933 e il 1945 è interessante e doveroso ricordare alcuni avvenimenti successivi, come la cattura e il processo ad Adolf Eichmann, uno dei militari tedeschi ritenuto tra i maggiori responsabili dello sterminio del popolo ebraico. Abbiamo ereditato una straordinaria testimonianza del processo dalla politologa e filosofa Hannah Arendt, che seguì il processo celebrato a partire dal 1961 a Gerusalemme come inviata del settimanale New Yorker. Dal suo resoconto del processo prese vita l’opera “Eichmann a Gerusalemme: resoconto sulla banalità del male”. 

La banalità del male uscì nel 1963, sessant’anni fa

Non si tratta di un semplice e asettico racconto delle varie fasi del processo ma di un insieme di riflessioni e analisi da considerarsi preziose non solo dal punto di vista storico, ma anche giuridico e soprattutto psicologico. Il quesito di fondo a cui la Arendt provò a rispondere è come degli uomini comuni e mediocri come Eichmann potessero compiere degli atroci delitti senza battere ciglio, eseguendo semplicemente degli ordini superiori. Bisogna fare uno sforzo mentale per uscire dallo schema che indica “i mostri” che hanno eseguito dei crimini così efferati e analizzare il contesto e le dinamiche psicologiche che hanno portato questi individui a diventare degli ingranaggi senz’anima di una macchina della morte e capire la vera genesi del male, proprio la sua banalità.

Chi era Adolf Eichmann?

Otto Adolf Eichmann nacque nel 1906 a Solingen, nella Germania settentrionale. La famiglia si trasferì in Austria nel 1914, dopo la morte della madre. Quello che sappiamo di Eichmann è che sicuramente fino a quando non divenne una pedina del regime nazista, non fu una persona che si può definire di successo, anzi fu un individuo decisamente ordinario. Abbandonò la scuola superiore e non ottenne il diploma, nel 1923 cominciò un corso per diventare meccanico ma abbandonò anche questo e iniziò a lavorare nell’azienda di estrazione mineraria di proprietà del padre. Svolse successivamente altri impieghi come agente commerciale e, per ultimo, come agente distrettuale presso la compagnia petrolifera Vacuum Oil Company AG. La Arendt riporta che, raccontando al processo la sua storia, Eichmann apparì come il figlio declassato di una famiglia borghese. La sua vita iniziò a cambiare radicalmente solo nel 1932, quando con noncuranza si iscrisse al Partito Nazionalsocialista e più tardi entrò nelle SS.

La sua iscrizione avvenne su invito dell’avvocato Ernst Kaltenbrunner. Eichmann non si iscrisse per convinzione ideologica, quando gli veniva chiesta la motivazione dava giustificazioni generiche e sfoggiava luoghi comuni sul trattamento riservato alla Germania nel Trattato di Versailles e sulla disoccupazione in Germania. Eichmann raccontò al processo di essere stato inghiottito dal partito senza accorgersene e senza avere tempo di capire e di decidere. Da una vita che lo portava a considerarsi un fallito agli occhi di se stesso e della sua famiglia, era di colpo entrato in azione, poteva sentirsi apprezzato e parte di un grande progetto sempre in movimento.

Dapprima Eichmann lavorò nell’SD, organismo che in prima battuta aveva il compito di sorvegliare i componenti del partito, poi diverrà un centro di investigazioni al servizio della Gestapo. Come dichiarò al processo, Eichmann credeva che sarebbe stato parte del servizio di sicurezza degli alti funzionari, una sorta di guardia del corpo. Fu una grande delusione quando scoprì di essere invece destinato a raccogliere informazioni sui massoni. Successivamente venne trasferito al settore degli affari ebraici.

La sua carriera nelle SS prese il volo quando lesse il libro “Lo stato ebraico” di Theodor Herzl, il fondatore del movimento sionista, imparò l’yiddish e pian piano si propose come esperto di questioni ebraiche. Ebbe la sua grande occasione nel 1938, quando venne inviato a gestire l’emigrazione forzata degli ebrei dall’Austria e nel 1939 in Cecoslovacchia, nacquero così i primi ghetti e più tardi i campi di concentramento. Dal 1942 venne messa in atto dal regime nazista la cosiddetta “soluzione finale” ed Eichmann fu il coordinatore delle deportazioni verso Auschwitz.

La fuga e la cattura

Con la fine della guerra e la disfatta di Hitler, Eichmann venne munito di documenti falsi, grazie ai quali visse in Italia e nel 1950 riuscì a fuggire in Sud America. Eichmann iniziò ad avere i riflettori puntati addosso dopo un’imprudente intervista rilasciata ad un giornalista ex collaborazionista nazista nel 1957, da quel momento in poi fu chiaro che si trovasse in Argentina. Il figlio di Eichmann, nel frattempo si era presentato col suo vero cognome alla sua fidanzata tedesca e si era lasciato andare ad affermazioni sul “mancato genocidio”. Il padre della ragazza, ebreo sopravvissuto all’olocausto, informato del fatto, lo fece sapere al procuratore tedesco Bauer che passò l’informazione al Mossad. Non essendo prevista l’estradizione nell’ordinamento argentino in quegli anni, i servizi segreti israeliani decisero di agire e l’11 maggio 1960, Eichmann venne catturato a Buenos Aires, per essere processato in Israele.

Il processo e la condanna

La Arendt racconta che determinate esigenze politiche (pressioni del primo ministro israeliano Ben Gurion) crearono un clima in cui si voleva processare l’imputato per tutto il dolore e la sofferenza inferta al popolo ebraico dal Reich e non per le singole responsabilità. Sono quindici i capi di imputazione contro Eichmann, divisi in quattro categorie: crimini contro l’umanità, crimini di guerra, appartenenza ad un’organizzazione criminale e crimini contro il popolo ebraico, quest’ultimo è l’unico che consente la pena di morte in Israele. Il processo, che avrebbe dovuto stabilire il ruolo e le precise responsabilità di Eichmann vide una serie di testimoni deportati in varie regioni, che non produssero prove consistenti contro l’imputato, tranne quella di Abba Kovner, un ex partigiano ebreo che parlo di un sergente della Wehrmacht, condannato a morte per aver aiutato degli ebrei, fornendo loro passaporti falsi. La sentenza dichiarò Eichmann colpevole di crimini contro l’umanità e crimini contro gli ebrei e venne condannato a morte. La sentenza d’appello non servì a ribaltare il verdetto, anzi lo rafforzò e Eichmann venne impiccato in una prigione a Ramla il 31 maggio 1962.

La banalità del male

Quello che la Arendt volle analizzare fu proprio come fosse stato possibile che uomini come Eichmann – non considerati affetti da malattie mentali né da fervente antisemitismo, considerati uomini comuni, anzi mediocri (e forse proprio per questo con una volontà di rivalsa e di protagonismo che il Reich gli offrì)-  siano stati capaci di azioni così criminali contro il popolo ebraico. Solo per obbedire ad ordini superiori, come si giustificarono gli imputati nazisti al processo di Norimberga? Anche Eichmann si appellò alla ragion di stato, concetto che non passò, anche perché la ragion di stato si invoca in situazioni d’emergenza al fine di preservare lo status quo, invece il regime nazista aveva fatto esattamente il contrario. Ma come si distingue il bene dal male quando il male è perpetrato dallo Stato? Proprio queste probabilmente sono le basi di tutti i totalitarismi, individui divenuti inconsapevoli, un generale assopimento delle coscienze che produce individui senz’anima, ormai inconsapevoli di giudicare le azioni proprie e degli altri. Naturalmente tutto ciò non può essere considerato una sorta di giustificazione rispetto a gravi e precise responsabilità, ma ci aiuta a porci delle domande approfondite e a portare avanti delle analisi psicologiche e del contesto, fondamentali per capire quanto il male possa essere banale e quanto forse l’umanità debba stare attenta a non sottovalutare eventuali segnali che possano essere da preludio ad abissi passati.